Israele, Palestina, Fridays for Future ed “eccezionalismo” tedesco

Lo scontro fra Fridays for Future e la sua sezione tedesca rivela una questione al cuore del modo in cui la Germania postbellica ha costruito la propria identità.

La guerra in Palestina occupa le prime pagine dei giornali e il centro del dibattito pubblico anche in Germania, così come nel resto del mondo. L’ansia e la preoccupazione per il conflitto crescono di giorno in giorno, e lo stesso vale per le tensioni.

In una Germania in cui l’antisemitismo (così come la discriminazione razziale) è in crescita, e in cui le manifestazioni a favore della Palestina sono sotto stretto controllo da parte della polizia, venendo spesso annullate, le linee di frattura fra le diverse posizioni si fanno più profonde e più dirompenti.

In mezzo a una di queste linee si è trovato uno dei movimenti ambientalisti più noti ed influenti del Paese, la sezione tedesca di Fridays for Future.

L’organizzazione internazionale ispirata dagli scioperi settimanali di Greta Thunberg si è schierata in difesa della Palestina, attaccando ferocemente le operazioni militari intraprese dal governo israeliano. Anche in questo Thunberg è stata ispiratrice: una decina di giorni fa l’attivista svedese ha postato una foto insieme ad altri membri del movimento, reggendo in mano cartelli “Free Palestine” e “Stand with Gaza”.

Il post di Greta Thunberg su X, o Twitter, o come volete chiamarlo voi. Nei commenti, Thunberg condanna fermamente le azioni di Hamas, e fa chiarezza su un punto su cui c’erano state alcune polemiche – un peluche di un polpo, originariamente incluso nella foto, che secondo alcuni richiamava simboli di propaganda antisemita. Si tratta in realtà di un pupazzo spesso usato nella comunità delle persone autistiche.

In un post pubblicato su Instagram, Fridays for Future ha invocato uno sciopero generale contro il “genocidio” perpetrato dallo “stato coloniale” di Israele nei confronti della popolazione araba di Gaza. In un altro, di pochi giorni fa, l’organizzazione ha diffuso un comunicato ufficiale in cui accusa di Israele di aver implementato un vero e proprio apartheid di stato, privando la popolazione di rifornimenti e bombardando strutture civili. Schierandosi a fianco della lotta, della liberazione e dell’autodeterminazione palestinese, i leader concludono: “giustizia climatica è liberazione palestinese”. “Non c’è giustizia climatica sotto occupazione coloniale. Palestina libera.”

Il comunicato ha scatenato reazioni molto forti, con pesanti accuse di antisemitismo. La situazione è diventata particolarmente delicata per la sezione tedesca del movimento, che ha diffuso in fretta un proprio comunicato in cui ha preso le distanze dalla casa madre.

“No, l’account internazionale, come già spiegato, non parla a nome nostro. No, il post non è concordato con noi. No, non siamo d’accordo con il contenuto.”

I Fridays for Future tedeschi hanno espresso la loro solidarietà a Israele per gli attacchi subiti da parte di Hamas, ribadendo al tempo stesso la propria vicinanza alle vittime civili di Gaza. “I nostri cuori sono abbastanza grandi da provare entrambi i sentimenti allo stesso tempo.” La leader tedesca Luisa Neubauer ha rimarcato la distanza dal gruppo internazionale, in qualche modo riconoscendo la natura antisemita del comunicato e denunciando l’utilizzo dei canali ufficiali del movimento per spargere odio e disinformazione.

Luisa Neubauer (Foto: Soeren Stache / picture alliance / dpa)

Lo scontro fra i due gruppi, anzi fra il gruppo principale e il suo sottogruppo locale, è un esempio molto evidente di ciò che potremmo definire eccezionalismo tedesco, quel particolare sostrato di significati e automatismi che viene innescato ogni volta che in Germania si parla di Israele. 

Per ovvie ragioni storiche Israele non è uno stato come gli altri, per i tedeschi. In un discorso ormai celebre, tenuto nel 2008 davanti alla Knesset (il Parlamento israeliano), Angela Merkel definì l’esistenza e la sicurezza di Israele come “ragione di stato” della Germania, sottolineando il surplus di responsabilità di cui i tedeschi devono farsi carico a causa del loro passato. E lo stesso ha ripetuto Olaf Scholz pochi giorni fa, ribadendo come l’unico posto per la Germania sia “a fianco di Israele”. Questo rapporto speciale fra i due Paesi, basato sulla tragica storia che li unisce, non riguarda solo le relazioni politiche o istituzionali, ma si ancora nel cuore del modo in cui i tedeschi vedono sé stessi, ne costituisce uno dei capisaldi fondamentali. 

Un termine che viene di solito usato quando si parla di queste cose è Vergangenheitsbewältigung, “rielaborazione del passato”. Si tratta di una di quelle lunghissime parole tedesche composte, ed indica il profondo lavorìo di riflessione sulla propria storia su cui la Germania postbellica ha costruito sé stessa e la propria idea di sé. Al centro di questa rielaborazione si trova naturalmente lo sterminio degli ebrei, e l’assunzione collettiva di responsabilità che ne deriva. Per i tedeschi, rispondere alla domanda “chi siamo” implica in buona parte partire da lì, da quel blocco oscuro nella memoria. 

È quindi inevitabile che il tema di Israele non possa venire affrontato in Germania nello stesso modo in cui viene affrontato in un altro Paese, e che specularmente il tema di Israele non sia in Germania un tema come gli altri. Comunque se ne parli, i tedeschi partono sempre da una posizione diversa – non più avanti o più indietro, ma diversa. 

Si può interpretare questo eccezionalismo tedesco come la certificazione di una difesa strutturale contro l’antisemitismo, come un surplus di consapevolezza che – almeno in teoria – dovrebbe scongiurare certe ricadute, rendendo solido e tangibile il nie wieder (“mai più”) su cui è edificata l’identità tedesca postbellica. 

Oppure lo si può leggere come il segnale di una maturità non ancora pienamente raggiunta, come il simbolo di una rielaborazione del passato profonda e implacabile a cui però manca l’ultimo passaggio, la capacità cioè di non dimenticare – anzi, ricordare sempre – senza che però che questo porti ad assumere sempre e di default una posizione, in qualche modo ignorando le altre storie, gli altri contesti. Ed è forse questo il punto centrale, eppure più nascosto, del dibattito tedesco su Israele e Palestina.

Edoardo Toniolatti

@EdoToniolatti

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