Perché è caduto il governo in Germania

Qualche ipotesi sulle ragioni dietro alla fine del semaforo

La risposta alla domanda “perché è caduto il governo” dipende da a chi la domanda viene posta.

Se lo chiedeste a Olaf Scholz (e a Robert Habeck), il Cancelliere  vi direbbe che è colpa di Christian Lindner, del suo egoismo, della sua visione troppo rigida e ristretta e del fatto che troppe volte, in questi anni di collaborazione al governo, ha tradito la sua fiducia. Se lo chiedeste a Christian Lindner, invece, l’ex Ministro delle Finanze vi direbbe che la colpa è di Olaf Scholz (e di Robert Habeck), del loro immobilismo, del loro costante rifiuto di prendere anche solo in considerazione le proposte fatte dai liberali per rimettere in moto l’economia e la produttività. I tedeschi, dal canto loro, probabilmente vi risponderebbero che era solo questione di tempo, coalizioni a tre con partner storicamente così litigiosi come FDP e Grünen non sono mai una buona idea, e in questi anni i tre partiti hanno passato più tempo a bisticciare fra di loro che a  governare insieme.

Al di là delle dichiarazioni dei leader e dell’atmosfera generale, tuttavia, è possibile identificare alcune ragioni più precise, e più nascoste, dietro alla caduta del governo semaforo, e soprattutto alla tempistica della faccenda – perché ora. Tre ragioni, in particolare.

Foto: Kay Nietfled / Picture Alliance

La prima ha a che fare con una questione cruciale: i soldi. Il budget federale per il 2025 è stato per settimane la pietra del contendere fra i partner della maggioranza, incapaci di trovare un accordo. Da un lato SPD e Grünen aperti all’idea di mettere fra parentesi (di nuovo) lo Schuldenbremse, il freno al debito già sospeso durante la pandemia, per avere fondi disponibili e investimenti, dall’altra Lindner e la FDP che non volevano neanche sentirne parlare, decisi a tenere i cordoni della borsa ben chiusi. Oltre alle posizioni inconciliabili, però, c’è anche un altro fatto da tenere in considerazione: comunque la si voglia vedere, i soldi scarseggiano, e qualunque proposta alla fine fosse stata fatta sarebbe stata piuttosto deludente, per un governo che si presentava come il vero innovatore della Germania. Le infrastrutture, fisiche o digitali che siano, cadono a pezzi, e il denaro per gli investimenti necessari non si trova da nessuna parte. Prendiamo le ferrovie: come scriveva da queste parti Francesca Vargiu qualche mese fa, Deutsche Bahn è in una situazione tremenda, fra debiti, una rete fatiscente e fondi limitatissimi – tanto che già da gennaio prossimo il Deutschlandticket, il biglietto per tutti i mezzi pubblici (tranne gli ICE, i treni veloci) passerà da 49 a 58 euro. Ed è solo un esempio.

L’Haushalt 2025, insomma, sarebbe stato un figlio senza padri – una legge di cui nessuno avrebbe voluto prendersi la responsabilità, nonostante le conseguenze. A questo punto, per gli attori coinvolti, meglio così.

Meglio così certamente per Christian Lindner – e siamo alla seconda ragione. Come dicevamo un paio di giorni fa, per lui e per il suo partito si tratta ormai di sopravvivenza politica, visto che i sondaggi sono oggettivamente disastrosi e la permanenza nel Bundestag è tutt’altro che assicurata. Staccare la spina adesso significa per l’ex-Ministro delle Finanze non dover legare il suo nome a una legge finanziaria che quasi certamente avrebbe ulteriormente deluso l’elettorato liberale, e soprattutto avere mani libere per distanziarsi ancora di più dagli ex-alleati, profilandosi in maniera più radicale e più “di destra” dopo anni di convivenza forzata con partiti percepiti “di sinistra”. La sua unica speranza è riuscire a raggiungere e convincere quegli elettori FDP scontenti del semaforo, che magari in questo periodo si sono spostati verso l’Union (o addirittura verso AfD), ripresentandosi come vero leader di un centro liberale e orientato al futuro – e a quanto pare pronto a riprendere il discorso bruscamente interrotto in una nuova alleanza. Friedrich Merz, infatti, non esclude che Lindner possa tornare alle Finanze in un governo a guida CDU, che da un lato sembra una generosa offerta, dall’altro fa un po’ ridere perché stiamo comunque parlando del leader di un partito che, al momento, è dato al 3%. Insomma, l’offerta di Merz potrebbe giusto essere trollaggio, il contributo conservatore al caos: aumenta la confusione generale, mettendo sul piatto un ulteriore fattore, e al tempo stesso non impegna, perché al momento il destino elettorale dei liberali sembra segnato.

Ma tutto sommato – e veniamo alla terza ragione – si può ipotizzare che neanche Olaf Scholz sia troppo scontento di com’è andata a finire. Elezioni anticipate significa emergenza, significa appelli all’unità del partito in un momento terribilmente delicato, e una specie di effetto “rally ‘round the flag”  che prevedibilmente porterà i socialdemocratici a serrare i ranghi e a compattarsi dietro al loro leader. E a dimenticarsi di ipotetiche staffette nella candidatura alla Cancelleria, come quella di cui si parla da tempo e che vedrebbe l’unico membro del partito e del governo a godere di una certa popolarità, il Ministro della Difesa Boris Pistorius, scendere in campo al posto dell’attuale Cancelliere per cercare di salvare il salvabile. Certo il salvabile è poco, considerato il distacco dall’Union; ma visto che, se andiamo a vedere i numeri, l’esito più probabile delle prossime elezioni sarà una nuova Grosse Koalition fra Union e SPD, restare alla testa del partito implicherebbe avere un ruolo cruciale nelle trattative, e magari anche nel governo a venire. Di tornare alla Cancelleria non se ne parla, ma almeno di prolungare la propria rilevanza politica forse sì.

Edoardo Toniolatti

@EdoToniolatti

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