L’anno nuovo, o meglio ancora giovane, è l’occasione migliore per uno sguardo in un certo senso bicipite: da un lato rivolto all’anno appena concluso, dall’altro a quello da poco iniziato.
A differenza di bilanci tratti a qualche settimana o giorno dalla notte di San Silvestro, che corrono sempre il rischio di essere sorpassati da notizie col botto prima dei botti, quelli veri, gli annunci ad anno appena iniziato stanno più prudentemente dalla parte non dei botti, ma dei bottoni e, soprattutto, possono permettersi di portare qualcosa dell’anno ormai passato in quello già iniziato.
Questa strategia è stata scelta dalla giuria che in Germania sceglie lo Unwort des Jahres, l’obbrobrio linguistico dell’anno. Si tratta di un gruppo autonominato di critici e studiosi della lingua che vuol fare un po’ da contraltare alla ufficiosa Società per la lingua tedesca (Gesellschaft für deutsche Sprache), la quale invece incorona la parola dell’anno (Wort des Jahres). I criteri per la scelta della – se così vogliamo – parolaccia dell’anno, sono tutt’altro che solo linguistici: certo, le espressioni da additarsi come obbrobri della lingua devono essere eufemistiche, fuorvianti o simulare un significato diverso da quello immediato, essere nell’uso reale ed avervi acquisito rilevanza di recente, ma a connotare la scelta sono soprattutto criteri come la lesione della dignità umana, dei princìpi di democrazia e di non-discriminazione. Insomma una scelta non solo linguistica, ma di critica volutamente e precipuamente socio-politica.
La parolaccia tedesca dell’anno 2024, resa nota il 13 gennaio 2025, è “biodeutsch”. Con questo aggettivo, che – sciogliendo la crasi del neologismo – potremmo tradurre con “biologicamente tedesco”, vengono indicati da alcuni (ci torneremo) nell’uso pubblico, nei media e nei social networks tutti quelli che sono tedeschi “di sangue”, per discendenza, insomma tedeschi “veri”, per differenziarli da tedeschi evidentemente “falsi”, cittadini sì, ma di discendenza “altra”. Che dietro questa parola e questo concetto si celi in realtà una valutazione peggiorativa è il classico segreto di Pulcinella: chi usa “Biodeutsch” per parlare dei “tedeschi veri” vuole ovviamente dire che non tutti i cittadini tedeschi sono uguali fra loro, che ci siano cittadini veri e cittadini meno veri, e che il sangue e la discendenza – biologica appunto – siano il criterio distintivo per distinguere e dividere. Non per caso il corrispettivo di “Biodeutsch”, usato anch’esso negli stessi contesti, è “Passdeutsch”: “tedesco di passaporto”, ad indicare che ci sono persone che sì avranno anche il passaporto tedesco, ma sono solo tedeschi “sulla carta”, di serie B.

Che la critica alla parola sia una critica socio-politica è evidente. Ed è una critica fondata. Perché non solo la costituzione tedesca, ma qualunque costituzione democratica contemporanea vieta categoricamente di distinguere i cittadini in sottogruppi, che siano essi fondati sulla biologia o su altro, e di trarre da tale distinzione una diversità di trattamento di qualunque genere. Per esprimerci orwellianamente, che nessuno sia più (o meno) uguale degli altri è una condizione fondamentale perché la democrazia e lo stato di diritto possano esistere.
Specificamente tedesca è, oltre a ciò, senz’altro l’allusione (e relativa critica) alla distinzione dei cittadini a seconda del “sangue”. Che non è da confondersi, aspetto tutt’altro che irrilevante, con lo ius sanguinis o in generale la trasmissione della cittadinanza per filiazione, poiché né lo ius sanguinis né la cittadinanza trasmessa dai genitori in sé producono una discriminazione dei cittadini fra di loro o una distinzione fra cittadini di serie A e B. La storia, già sinistramente sentita in Germania ma anche altrove, è qui ben diversa. Chi – con parole come Biodeutsch e Passdeutsch – distingua persone con la stessa cittadinanza in sottogruppi su base etnica, biologica, lo fa per dedurre da ciò un trattamento diverso di alcuni cittadini rispetto ad altri, per postulare la superiorità di alcuni e la inferiorità di altri. Per stabilire che l’Edoardo con passaporto tedesco e genitori italiani debba essere trattato diversamente, e peggio!, del Günther alto, biondo, occhi azzurri – tedesco per biologia, dunque vero e dunque superiore. Il che c’entra poco o nulla con lo ius sanguinis e molto – purtroppo – con echi che ci riportano concettualmente agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
Chi sia a prediligere l’uso di parole come Biodeutsch non c’è bisogno che ve lo veniamo a raccontare, i nostri venticinque lettori sono scafati. Sia solo detto che nel finesettimana appena trascorso c’è stato il congresso del partito di AfD, la destra etno-nazionalista tedesca, che ha ufficialmente incoronato come candidata alla Cancelleria per le imminenti elezioni politiche la sua leader Alice Weidel. La quale ha ivi tenuto un discorso di candidatura molto sopra le righe rispetto ai suoi stessi standard, con richieste davvero massimaliste come l’abbattimento di tutte le pale eoliche già esistenti o la chiusura delle facoltà universitarie qualora troppo “di sinistra” (qualunque cosa ciò voglia dire). Un discorso che dimostra la forza di AfD, stabilmente seconda forza politica del Paese nei sondaggi (e anche in elezioni reali, come le europee di mezz’anno fa): un partito che non ha bisogno di mostrarsi moderato e rassicurante per avere successo, ma che si può permettere di mettere in luce un profilo estremo, certo di un consenso elettorale che arriva lo stesso o forse – almeno in parte – proprio per quello. Il discorso di Weidel è stato sopra le righe nel suo massimalismo nazionalista perché la candidata ha ostentato e calcato coram populo la scelta di una parola specifica: “Remigration”. Con questo termine viene inteso, dagli ambienti di destra estrema di lingua tedesca, l’espatrio coatto di persone culturalmente non assimilate, una misura con cui idealmente mettere fine alla migrazione verso la Germania e l’Europa attraverso l’espulsione di milioni di persone indipendentemente dalla legalità del loro titolo di soggiorno ed anche dalla loro nazionalità. Quindi non solo l’espulsione di immigrati regolari, ma anche di cittadini tedeschi, qualora agli occhi del decisore politico essi non siano abbastanza tedeschi. Se qui siete tornati col pensiero a Biodeutsch e Passdeutsch: sì, esattamente questo. E qual era stata la parolaccia dell’anno 2023, un anno fa? Esatto: “Remigration”!
