La situazione dei Grünen alla vigilia del voto è davvero paradossale.
Hanno passato buona parte degli ultimi anni a essere presi a schiaffi da chiunque, anche dai propri partner nella coalizione semaforo, diventando il bersaglio preferito dai tedeschi scopertisi maestri del Green-bashing. Esponenti di primo piano degli altri partiti fanno a gara nel dichiarare con crescente fermezza che mai e poi mai faranno accordi di governo con loro, dipingendoli come veri e propri appestati della politica tedesca.
Eppure nei sondaggi continuano a oscillare fra il 12% e il 15%, più o meno in linea con quanto ottenuto nel 2021 – anzi, secondo alcune rilevazioni anche qualcosina in più – e risultando l’unico fra i tre contraenti del governo uscente a non registrare crolli catastrofici. E il loro candidato Cancelliere, l’ex Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima Robert Habeck, rimane molto popolare, appena dietro Friedrich Merz nelle preferenze dei tedeschi in un’ipotetica elezione diretta.

Non che vada tutto benissimo, attenzione. Nonostante i numeri tutto sommato lusinghieri la reputazione dei Verdi nell’opinione pubblica tedesca ha subito parecchi danni, in questi anni di travagliata convivenza al governo, e l’idea che si tratti soprattutto del “partito dei no” e del “partito dei divieti” ha fatto breccia in molte teste.
Ma anche internamente le cose non sono molto tranquille. Lo scorso settembre i due co-leader del partito, Omid Nouripour e Ricarca Lang, si sono dimessi, motivando il proprio passo indietro con i pessimi risultati raccolti nelle elezioni a Est, a loro avviso chiari segnali della necessità di un “nuovo inizio” per il partito. E pochi giorni dopo si è dimessa l’intera direzione della Grüne Jügend, la “gioventù verde”, l’organizzazione giovanile, che in polemica con il partito maggiore – percepito ormai come troppo spostato a destra – ha mollato tutto e deciso di fondare un nuovo movimento più orientato a sinistra. Alcuni osservatori hanno sospettato in tutti questi sommovimenti la longa manus di Robert Habeck, che infatti ha subito colto l’occasione per rimodellare la dirigenza nazionale più a sua immagine. I due nuovi co-leader, eletti a metà novembre, sono Felix Banaszak e Franziska Brantner. Banaszak rappresenta l’ala sinistra del partito, che ha guidato in un Land di grande rilevanza come il Nordreno-Vestfalia, ma oltre a questo non ha grande esperienza e non è un volto conosciutissimo Brantner, invece, è esponente dei Realos (i pragmatici, quelli più conservatori) e una collaboratrice strettissima di Habeck, sottosegretaria nel Ministero da lui guidato fino a poco fa e soprattutto ammanicatissima nel partito, detentrice di una rete di contatti con pochi rivali.

Con un partito così ridisegnato Habeck ha ottenuto ufficialmente l’investitura, e si trova ora nella complicata situazione di dover gestire questo periodo di transizione. Con il rischio di ritrovarsi protagonista di una singolare beffa. Prendere più di quanto prese la candidata Annalena Baerbock nel 2021, risultato sotto sotto un po’ deludente ma all’epoca celebrato come una gran vittoria, visto che apriva le porte del governo; e tuttavia dover preparare un discorso della sconfitta.
Programma
Anche il programma dei Grünen è bello corposo. 160 pagine divise in cinque sezioni, la prima delle quali è dedicata all’economia e al lavoro. La chiave per rilanciare la produttività tedesca, secondo i Verdi, sta in un enorme piano di investimenti pubblici e in iniziative mirate a stimolare gli investimenti privati, come robuste agevolazioni fiscali, digitalizzazione e semplificazione burocratica. E anche quote rosa nei consigli di amministrazione e di sorveglianza delle aziende. Agevolazioni e snellimenti burocratici sono previsti anche (soprattutto) per le aziende particolarmente virtuose dal punto di vista climatico ed ecologico.
Dove trovare i soldi? I Grünen suggeriscono di “modernizzare in maniera sensata” lo Schuldenbremse, il “freno al debito” croce e delizia della politica economia tedesca, sbloccando così l’accesso a fondi ulteriori, e la creazione di un Deutschlandsfond, un fondo per il governo nazionale e per quelli locali che dovrebbe integrare i budget standard. Questo fondo dovrebbe essere usato non solo per investimenti, ma anche per la ristrutturazione e l’ammodernamento degli edifici, delle infrastrutture, delle reti tecnologiche. Quindi, in realtà, stiamo parlando di un mare di denaro. Ah, e già che ci siamo: si vuole anche alzare il salario minimo, che ora è di 12,82 euro all’ora, a 15 euro entro la fine dell’anno.
Nel programma si parla anche molto di energia e mobilità. Gli obiettivi climatici non cambiano: la rete elettrica tedesca deve diventare climaticamente neutrale entro il 2035, lo stesso anno entro cui deve cessare la produzione di veicoli a combustibile fossile. La Germania, tradizionalmente Autoland, deve diventare Bahnland, terra dei binari: e per questo sono previsti massicci investimenti per migliorare lo stato (catastrofico, come sapete bene se frequentate queste parti) delle infrastrutture ferroviarie. E guai a chi tocca il Deutschlandticket, il biglietto per i mezzi pubblici valido su tutto il territorio nazionale (ad eccezione dei treni veloci, come gli ICE), il cui prezzo va riportato a 49 euro.
Ma veniamo al tema cruciale di questa campagna elettorale, l’immigrazione. I Verdi la vedono come “una parte della nostra forza sociale ed economia”, e intendono quindi potenziare gli strumenti già esistenti per rafforzare l’integrazione. È però anche necessario, secondo loro, lavorare all’origine, cioè “combattere le cause della fuga”, ciò che porta migliaia di persone a lasciare il proprio Paese – tramite diplomazia, collaborazione allo sviluppo, aiuti umanitari e accordi commerciali. In questo modo si otterrebbero flussi ridotti, e più regolati. Ma non tiriamo in ballo i controlli alle frontiere, la cui apertura è “un pilastro della nostra economia”. Frontex, l’agenzia europea per il controllo dei confini, deve essere “sviluppata in linea con lo stato di diritto” – al contrario di quanto sostiene l’Union, che vorrebbe garantirle “poteri sovrani”. E un altro principio i Grünen intendono sottolineare con forza: le persone in mare si salvano, punto, e possibilmente in maniera coordinata a livello europeo.
Prospettive
Da certi punti di vista i Grünen si trovano di fronte a un bivio. Ipotizzando che riescano a prendere abbastanza voti, dovranno scegliere se accettare di trattare con l’Union, con Friedrich Merz Cancelliere in pectore, o andare all’opposizione.
Entrare in una coalizione nero-verde a guida Merz, però, offrirebbe probabilmente più svantaggi che altro. Significherebbe dare credito alla narrazione secondo cui i Verdi hanno perduto l’anima, hanno abbandonato i propri valori fondativi e si piegano di buon grado compromessi che, non avessero abbandonato la retta via, avrebbero trovato assolutamente inaccettabili.
Da molti punti di vista, meglio scegliere di restare all’opposizione e ricaricare le batterie. Il rischio di ritornare ai livelli pre-2018, sia a livello numerico che di dimensione “politica”, è assolutamente minimo: ormai lo status dei Grünen come partito responsabile, partner affidabile e intriso di cultura di governo non sembra essere in discussione. La maturazione verso una forma adulta, da vero e proprio Volkspartei, è stata con ogni probabilità irreversibile. Meglio dunque farsi un giro all’opposizione, soprattutto quando al governo c’è un bersaglio polemico ideale come Friedrich Merz, e provare con rinnovato slancio a puntare alla Cancelleria nel 2029.
Certo, resta da vedere con chi. Sempre con Robert Habeck? O di nuovo con Annalena Baerbock, il cui lavoro come Ministra degli Esteri è stato piuttosto apprezzato, nonostante situazioni complicatissime come l’invasione russa dell’Ucraina o gli scontri a Gaza? Oppure con qualcun altro – ma chi? L’enorme successo riscosso negli anni passati dal duo Habeck-Baerbock, infatti, ha iniziato ormai da tempo a svelare il rovescio della medaglia: e cioè la gigantesca difficoltà di trovare chi potesse davvero prenderne il posto al vertice.
Curiosità e cose buffe
Lo abbiamo scritto molte volte in questi mesi, l’abbiamo detto anche poco più su: in questi anni di governo semaforo i Grünen sono diventati il punching ball preferito della politica tedesca, presi a schiaffi un po’ da tutti, anche dai compagni di coalizione. Quando il governo è caduto, la sezione francofortese del partito ha colto la palla al balzo e, in preparazione dell’imminente campagna elettorale, ha realizzato dei manifesti che giocavano proprio su questo aspetto. In città sono quindi apparsi cartelloni che si rivolgevano direttamente ai cittadini, invitandoli a diventare militanti con offerte francamente irresistibili. “Vuoi anche tu essere reso il responsabile di tutti i problemi degli ultimi trent’anni?” “Vuoi anche tu essere odiato perché fai la cosa giusta?” O “Vuoi esserci anche tu, quando saremo di nuovo colpevoli di tutto?” In caso, non resta che iscriversi!

Qui di seguito le schede uscite finora:

2 pensieri riguardo “Verso il 23 febbraio – I Grünen”