Italia, Sehnsuchtsland

Cosa ci dicono gli editoriali con cui in Germania hanno commentato la vittoria degli azzurri all’Europeo

I tedeschi si sono innamorati di Giorgio Chiellini. 

Certo, i giornali in Germania parlano anche degli altri giocatori italiani. Grandi celebrazioni per Gianluigi Donnarumma, portiere giovanissimo e già così dominante, e per Jorginho, padrone del centrocampo grazie alla sua freddezza e alla sua visione di gioco. Anche Leonardo Bonucci è protagonista, altro pilastro difensivo imprescindibile, così come il formidabile comandante di questa squadra, Roberto Mancini. Ma per Chiellini si smuove qualcosa di più profondo.

Come scrive Cedric Voigt sullo Spiegel, nessuno si è divertito come lui durante tutto il torneo. Dalle scenette con Jordi Alba prima dei rigori contro la Spagna alla gioia evidente ancora prima che Bonucci spingesse in rete il pallone del pareggio in finale, tutto l’Europeo di Chiellini è stato una certificazione di quanto, a 36 anni, continui a divertirsi come un pazzo facendo quello che fa. Persino la sua brusca strattonata alla maglia di Saka, sul finire di Italia-Inghilterra, “nella sua esagerazione grondava dell’ostinato umorismo di Chiellini”. L’Italia ha vinto meritatamente, scrive Philipp Köster di 11Freunde, una delle migliori riviste di sport in Germania, anche perché ha saputo raccontare “le migliori storie” del torneo: e pure in questo Chiellini è stato maestro. Quel fallo contro Saka sembrava il gesto “di un padre infuriato che ha beccato un adolescente nel letto della figlia”.

Ma c’è chi si spinge oltre. Claudio Rizzello è un giornalista tedesco di origini italiane che sulla Zeit si chiede se abbia senso, per uno come lui, cresciuto in un altro Paese e che in fondo ha poco in comune con la squadra che si è presa la coppa, celebrare questa vittoria. “È infantile (kindisch) festeggiare dalla Germania insieme a questi giocatori?”, si domanda. “Al massimo è ‘chiellinico’ (chiellinisch)! La verità è che vorremmo tutti essere come lui. Chiellini non è un difensore, ma uno stile di vita. Guardare alle cose in modo un po’ più leggero. Essere un po’ allegri, un po’ seri, svolgere il proprio lavoro nel miglior modo possibile e nel farlo divertirsi più che si può. Provate il Chiellinismo!”

Foto: Getty Images

La celebrazione di Chiellini è anche una celebrazione dell’Italia, intesa non solo come squadra. Forse la nazionale ha giocato un Europeo così brillante proprio perché la pandemia e il Covid hanno colpito l’Italia in maniera particolarmente devastante. Magari invece no, scrive sempre Rizzello, più probabilmente è solo stata la squadra migliore del torneo. Ma per i tedeschi questa vittoria, il modo in cui è arrivata e la squadra che l’ha conquistata possono essere un esempio per tutti. Secondo Oliver Fritsch, sempre sulla Zeit, nel gruppo guidato da Mancini “la coppa ha trovato il suo unico degno vincitore”. In un contesto difficile e ostile – in casa degli avversari, con di fronte una squadra più forte e più fisica, perdipiù subito sotto di un gol – l’Italia è riuscita a reinventarsi senza snaturarsi. Sul suo storico punto di forza, la difesa, è riuscita a innestare influenze di altre tradizioni calcistiche e ha trovato un nuovo slancio, ha creato un nuovo amalgama efficace ed affascinante. “La vittoria dell’Italia contro l’Inghilterra è stata una vittoria della cultura del gioco”. Chi se lo ricorda più il catenaccio? “Il titolo dell’Italia è una vittoria dell’attacco. Ed è una vittoria del collettivo.” Altre nazionali hanno giocatori più talentuosi, più esperti, più abituati a calcare palcoscenici prestigiosi, ma invece di una selezione Mancini è riuscito a costruire una squadra, che ha saputo trovare una via d’uscita proprio nel momento più complicato – ma d’altra parte “l’Italia non sarebbe l’Italia, se non trovasse soluzioni”.

Stefan Ulrich, sulla Süddeutsche Zeitung, indica addirittura tre lezioni che questa Italia può dare a tutti: all’Italia non calcistica, al suo governo e alla sua politica, ma anche all’Europa. Terra in cui abbondano i “realisti magici” – categoria a cui appartiene anche Mancini – l’Italia dubita sempre di sé stessa, non crede mai di potercela fare. È anche comprensibile: quante volte viene compatita o irrisa dagli altri paesi? Eppure non è difficile ricordarsi di quante volte l’Italia è stata un esempio per l’Europa. Non c’è bisogno di scomodare il Rinascimento o il Grand Tour dei tempi di Goethe: basta ripensare al secondo dopoguerra, quando una nazione distrutta dai bombardamenti e screditata dal fascismo è riuscita a realizzare il suo miracolo economico e a tornare ai vertici dei paesi industrializzati. O agli anni Sessanta e Settanta, anni in cui l’Italia ha conosciuto la violenza del terrorismo ma ha anche rappresentato uno straordinario laboratorio politico e sociale, che ha affascinato intellettuali e non solo. A questi periodi di dirompente energia sono seguiti però decenni di triste declino, in cui è diventato chiaro che la “colpa” non era solo dei “politici”, ma anche delle cittadine e dei cittadini, che da questi politici si sono sempre lasciati ingannare e hanno comunque continuato a votarli.

Ora però la squadra di Mancini è riuscita, almeno per la durata di un torneo estivo, a far tornare alla mente quei tempi gloriosi, e a riportare Roma nel cuore d’Europa, perdipiù proprio nella terra della Brexit. Leonardo Bonucci ha detto che “l’Italia ha dato una lezione”: ma quale, si chiede Ulrich?

Secondo lui ce ne sono tre. La prima è un classico: l’Italia e gli italiani sono artisti della sopravvivenza. Quando le cose si mettono male e tutto è sul punto di crollare, gli Italiani sanno andare oltre se stessi e superare le avversità. Non è mai saggio mettere una croce sopra l’Italia, che si tratti di sport, di economia o di politica.

La seconda lezione: la stabilità, quella che Mancini ha dato alla squadra e che i governi di Roma possono solo sognarsi. Le 34 vittorie di fila, un ciclo cominciato nel 2018, dimostrano che la notte Wembley viene da lontano, ha basi solide.

La terza, forse il contributo più importante di Mancini: dai suoi giocatori l’allenatore ha saputo creare un insieme, il cui “gioioso senso di comunità” ha dato un’impronta a tutto il torneo. Ogni volta che scendeva in campo, l’Italia lanciava un messaggio chiaro e univoco: noi siamo una squadra. Questo spirito, scrive Ulrich, è esattamente ciò di cui ha bisogno l’Europa. “Unita nella diversità” è il motto dell’Unione Europea: gli azzurri hanno fatto vedere come si fa. 

A rileggere queste righe, tratte da alcuni editoriali tedeschi a commento della vittoria all’Europeo, viene un po’ da sorridere. Spirito di squadra, leggerezza, arte della sopravvivenza, scaltrezza nel trovare soluzioni immaginifiche davanti alle avversità: stiamo chiaramente navigando in un mare di stereotipi. Lo riconoscono gli stessi autori di questi articoli, e persino la tendenza a trasformare una partita di pallone nel simbolo di qualcos’altro è in fondo anch’esso un cliché consumato.

È interessante però notare il tono in cui questi stereotipi vengono usati, il quadro – inevitabilmente abbozzato – che disegnano: l’immagine di un ideale a cui tendere, di un’ispirazione da seguire. Un modello in potenza per tutta l’Europa. Ed è significativo che quasi sempre, nel descrivere ciò che Mancini è riuscito a fare, venga accostato il fallimento di Joachim Löw: l’allenatore dimissionario della Mannschaft non ha saputo trovare soluzioni, non è stato in grado di dare forma a un insieme coeso, non ha creato una squadra. Un confronto che fra le righe sembra spingersi anche al di là dell’Europeo, al di là del calcio, come se in questi stereotipi i tedeschi riversassero non solo il modo in cui vedono l’Italia e gli italiani, ma anche e soprattutto il modo in cui non vedono sé stessi, e invece magari vorrebbero. D’altra parte lo sappiamo: gli stereotipi rivelano molto più di chi li usa rispetto a ciò a cui si riferiscono. E forse è proprio vero quello che Markus Söder, Ministerpräsident bavarese, scriveva una decina di giorni fa su Facebook, annunciando il suo sostegno alla squadra azzurra visto che la Germania era stata fatta fuori dall’Inghilterra: per noi l’Italia è una Sehnsuchtsland – terra della nostalgia, del desiderio.

Pensavamo di leggere cosa pensano i tedeschi dell’Italia dopo la vittoria all’Europeo, e invece abbiamo trovato cosa pensano di sé stessi.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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