Tatort – Il sismografo della società è sulla scena del delitto

La cerimonia televisiva della domenica sera tedesca

tatort

Ogni serie tv che duri nei decenni ha i suoi cliché e le sue leggende. Una di queste leggende vuole che, quando nel 1970 il primo canale televisivo pubblico tedesco – l’ARD – concepì “Tatort”, la sigla fosse stata pensata per essere impossibile da fischiettare: la musica d’apertura doveva essere qualcosa di facilmente memorizzabile dallo spettatore, ma non altrettanto facilmente riproducibile, per non rovinare suspense e pathos del genere poliziesco.

Tra pochi mesi Tatort compirà cinquant’anni, la quota mille puntate è stata festeggiata in grande stile a fine 2016, ma quella musichetta infischiettabile montata su una concitata grafica anni ’70 è ancora lì, inossidabile, simboleggiando efficacemente quello che Tatort è: uno degli elementi identificanti della cultura popolare tedesca contemporanea.

Lo schema è semplice e, al tempo stesso, estremamente tedesco. Attraverso casi polizieschi (la parola “Tatort” significa “luogo del delitto”), aventi sempre come oggetto la risoluzione di uno o più omicidi da parte della polizia del luogo, si racconta la società. L’omicidio in sé è sempre al tempo stesso protagonista e sfondo, centro e periferia di un racconto dove caratteri, luoghi, situazioni sociali, temi più o meno sottesi sono le quinte entro cui il dramma si svolge ed al tempo stesso il motivo per cui in realtà il dramma viene messo in scena. Manca quindi un’unità narrativa, dal momento che ogni settimana – sempre la domenica sera dalle 20.15 alle 21.45 – va in onda una puntata di una squadra diversa di investigatori, ma è fortissima l’unità concettuale del caso raccontato (ed inventato) per metterne in luce il contesto. Dal momento che l’ARD è, come la Germania, organizzata in modo federale, ogni emittente regionale produce le serie di una o più squadre di investigatori, basati in una città o in un territorio, ed almeno una volta l’anno ciascuna città contribuisce con una puntata a dare forma al racconto collettivo del Paese. Dal momento che, non molto dopo l’inizio, anche le TV pubbliche austriaca e svizzera si sono unite alla produzione ed alla settimanale trasmissione della serie, si può legittimamente definire Tatort come un momento unificante ed identificante dell’intera area linguistica tedesca, dal Brennero al Mar del Nord.

Le critiche a questo “sismografo della società” non sono certo mai mancate. Sull’argomento dei profughi ad esempio, accolti a metà 2015 secondo l’ormai universalmente famoso motto merkeliano “Wir schaffen das!” (“Ce la facciamo!”) e da allora diventati il tema di più aspro scontro politico nella Repubblica federale, la serie è stata accusata da un lato di aver cavalcato eccessivamente il soggetto, con una frequenza esagerata di episodi su di esso centrati, e dall’altro di essersi fatta deformare da un “topos” anti-populista, dove ricorrentemente (ed esclusivamente) tedeschi cattivi ed estremisti ammazzano o perseguitano innocenti immigrati indifesi. Probabilmente entrambe le critiche colgono almeno in parte nel segno, quello che però ad esse sfugge è la natura intimamente proattiva, se vogliamo promozionale di Tatort: esso non è mai stato un muto specchio, ma sempre il tentativo di promuovere attraverso le varie puntate significati ben precisi. Questa natura si riconosce bene nell’ambizione, non certo celata, di tante città e regioni tedesche di assurgere al ruolo di scenografia per uno o più episodi, per la potente portata identificativa ed anche promozionale (per il turismo ma non solo) che Tatort dimostra di avere. Non casualmente negli ultimi anni si stanno moltiplicando le squadre di inquirenti che diventano “itineranti” o svolgono la loro attività in un’intera regione, al posto del tradizionale schema di indagini circoscritte ai bassi o alti fondi di una sola grande città. Come Tatort svolge dunque una funzione di promozione della pluralità dal punto di vista geografico (e anche dei dialetti, mai stati tabù e ora sempre più valorizzati come elemento di conoscenza ed identificazione locale), così esso promuove senza dubbio anche una visione sociale, quella di una società aperta che affronta esplicitamente le proprie contraddizioni e cerca coscientemente il superamento degli schemi sociali più tipici. Certo non tutto è serietà e, mentre alcuni episodi affrontano tematiche indigeste come criminalità adolescenziale o estremismo politico, altri veleggiano fra il serio ed il faceto con uno svolgimento più “light”, non potendo dimenticare che della società fa parte anche una certa non marginale di misura di semplicità e spensieratezza e che non ogni cosa è sempre ad alta densità discorsiva ed intellettuale.

Molte altre cose si sono collegate al fenomeno Tatort nel tempo: dagli editoriali di interpretazione e valutazione nei quotidiani del lunedì ai sarcastici commenti su Twitter mentre la trasmissione va in onda, dai pub che trasmettono la puntata come fosse una partita di Champions ed offrono la birra a chi per primo indovina l’assassino alla semplice chiacchierata fra colleghi il lunedì mattina davanti al caffè, parlando di impressioni ed idee dell’episodio della sera prima. Un appuntamento collettivo domenicale in cui tutta la società si trova per ricevere guardarsi e guardare uno schema che è sempre lo stesso ma che si rinnova ogni volta: in questo Tatort svolge per la società contemporanea quella funzione della Messa aveva nei paesini della vecchia società rurale. E alla fine quella musichetta sempre uguale è come la campanella della sagrestia: ti entra in testa subito, ma certo non la puoi fischiettare.

 

Edoardo D’Alfonso Masarié

@furstbischof 

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