La Berlino dei dorati anni Venti è una “Germania sull’orlo dell’abisso”, come titola l’americano Weekly Standard, oppure una meravigliosa boccata d’aria fresca e libera prima della barbarie nazista? Entrambe! Dopo decenni di tabù, nei quali per gli anni Venti c’era posto solo in qualche romanzo o ai convegni di storiografia, finalmente la Germania di Weimar – che ancora si faceva chiamare Reich ma era già una repubblica – irrompe fra il grande pubblico e fa colpo alla grande.

A darne l’occasione è la serie “Babylon Berlin”, coprodotta dall’austera tv pubblica tedesca ARD insieme alla spavalda e privatissima Sky e diffusa, oltre da quest’ultima, dai canali pubblici di Germania, Austria e Svizzera, nonché oltreoceano da Netflix. Il trionfo di pubblico è stato grande e, come si dice oggigiorno, intermediale: per la prima volta in Germania la trasmissione tradizionale via etere è stata superata dalla diffusione digitale attraverso la Mediathek dei canali pubblici, mentre per Sky s’è trattato della seconda serie più di successo di sempre, dietro solamente a “Game of Thrones”.
Ad intrigare è già il titolo, che fa da un lato riferimento alla società della spettacolo – il Babylon era un cinema cult nella società berlinese dell’epoca, e dall’altro allo spettacolo di una società tarlata dagli abissi morali e politici di un miscuglio inscindibile di mafie, crimini ed estremismi politici d’opposto ed egualmente intenso colore. A tale società sembrano cucite addosso le parole bibliche su Babilonia: “Volevi salire in cielo, oltre le nuvole, e invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!”. Ancor più affascinante è il fatto che il racconto di questo clima avvenga con gli occhi di chi lo combatteva. La forma del racconto poliziesco – ne avevamo già parlato a proposito di “Tatort” – si conferma la preferita fra le Alpi ed il Mar del Nord, anche se per “Babylon Berlin” la società viene narrata non attraverso gli occhi della squadra omicidi, bensì attraverso quelli più intriganti (ed innovativi, se vogliamo) della polizia politica e della “buoncostume”. Protagonista della serie è appunto un commissario di polizia, Gereon Rath, approdato da Colonia a Berlino per indagare su un giro d’estorsione a sfondo erotico che rischia di coinvolgere niente meno che Konrad Adenauer, allora sindaco della città sul Reno che nel 1949 diventerà poi Cancelliere. Adenauer non è però l’unico cancelliere della Germania contemporanea evocato da questa serie solo apparentemente storica: il talento investigativo di Rath viene infatti presto scoperto dal capo della polizia politica prussiana, August Benda, che se ne serve per stanare e sventare un colpo di stato dell’estrema destra nazionalista ai danni della giovane e fragile Repubblica. Ad interpretare, superbamente, August Benda è Matthias Brandt, figlio del Cancelliere e leader SPD Willy Brandt.

Quella di August Benda è – come nota l’assai azzeccata critica di James H. Barnett sul Weekly Standard di Washington – probabilmente la figura più riuscita dello sceneggiato. Origine ebrea, famiglia cattolica e fede democratica fanno di lui un nemico al cubo per la società totalitaria contro la cui nascita cerca invano di lottare. Il personaggio non è però frutto della fantasia dello sceneggiatore né di quella dello scrittore Volker Kutscher, ai cui romanzi è ispirata la serie televisiva, bensì ispirato al realmente esistito Bernhard Weiß, giurista e vicequestore di Berlino dal 1927 al 1932. Attraverso lui e la presenza nelle puntate della serie di altre reali figure della Berlino dei tardi anni Venti rivive quella società democratica che fece nascere e vivere l’esperienza repubblicana di Weimar e che nel 1932-1933 soccombette all’autoritarismo ed al fascismo. Giuristi, alti funzionari, giornalisti, ma anche persone comuni non disposte ad un’abdicazione della coscienza: sono questi i piccoli eroi della democrazia, difensori dei “loro” dorati anni Venti, che diventano per l’interposta persona di personaggi come Rath e Benda i veri protagonisti di “Babylon Berlin”. La serie si fa così finalmente atto di omaggio ai tanti che tentarono, pur perdendo, di rendere la parola Reich sinonimo di prosperità sociale, diritti e libertà.
Pochi giorni fa, il 9 novembre, è ricorso il centenario della proclamazione della Repubblica di Weimar. In un discorso che meriterebbe pagine e pagine di analisi per il suo centrale valore storico e politico il capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier ha fatto appello alla nascita di un “patriottismo illuminato e pragmatico” che non rinneghi né l’orgoglio per le conquiste della democrazia né la vergogna per le pagine negative della storia nazionale. In questo contesto, nell’aula di quel Reichstag che per la democrazia tedesca era e fu cuore pulsante, Steinmeier ha speso per Weimar parole chiarissime: La nascita della Repubblica è “una svolta storica, che però sembra per l’eternità adombrata dalla sua fine, il 9 novembre 1918 sembra discreditato e disonorato dal 30 gennaio 1933. Sì, è vero che la fine della Repubblica di Weimar condusse al più tremendo capitolo della storia tedesca. Ma ad essere fallita nella storia non è la democrazia: falliti nella storia sono i nemici della democrazia!” (Qui il testo integrale in tedesco, e qui in inglese.

Questo omaggio a Weimar è stato per Steinmeier l’occasione per un appello a riscoprire l’importanza dell’esperienza democratica fra 1918 e 1932 ed è avvenuto negli stessi giorni in cui tutti i tedeschi potevano godere del coinvolgente racconto fatto da “Babylon Berlin”. Certo non tutti diedero all’epoca il peso dovuto alla lucida analisi che Joseph Wirth, Cancelliere nel 1921-22 e ministro dell’Interno fatto cacciare da Hindenburg nel 1931 perché “troppo democratico”, fece nella stessa aula del Reichstag: “Là sta il nemico, che fa gocciolare il suo veleno nelle ferite del popolo: il nemico è a destra!”. Ma quella società che uomini come Wirth fondarono e difesero ora viene riscoperta appassiona i tedeschi di oggi, a novant’anni di distanza, e ciò spiega il grande successo di “Babylon Berlin”.
A Wirth ed agli altri democratici dei dorati anni Venti questa serie sarebbe senz’altro piaciuta molto, non abbiamo dubbi! Ancor meno dubbi abbiamo sul fatto che il terzo ciclo di episodi, già in produzione dopo il successo dei primi due, piacerà ai loro bisnipoti nell’odierna Germania.
2 pensieri riguardo “Weimar non è mai stata così cool”