1922: Maciste il germanico

Breve storia di un trapianto, di tante carte bollate e di quattro film prodotti a Berlino

Il debutto tedesco di Maciste. Nel 1920 Cabiria, kolossal italiano del 1914, fa il proprio ingresso trionfale in Germania; il film sarebbe dovuto essere proiettato nei cinema tedeschi nell’autunno dell’anno di produzione, ma lo scoppio della Grande guerra impedisce la presentazione della pellicola in molti Paesi coinvolti nel conflitto.

Nonostante i sei anni di ritardo dal debutto ufficiale, che equivalgono a un’era geologica in fatto di stili e gusti cinematografici, il pubblico tedesco plaude al kolossal con grande entusiasmo, così come testimoniato dalla stampa tedesca dell’epoca.

Attorno alla metà del 1921, il produttore berlinese Jacob Karol (1889-1932), considerato il grande successo di Cabiria e in particolare del suo personaggio più rappresentativo, ossia Maciste, offre all’interprete di quest’ultimo, al secolo Bartolomeo Pagano (1878-1947), di girare in Germania alcune avventure del forzuto. Quello tedesco è un mercato in forte espansione, molto interessato al cinema e all’attoralità italiani, che vengono visti con grande curiosità dopo l’astinenza imposta dalla guerra. Pagano accetta, e così inizia la sua avventura con la Karol Film di Berlino.

Una vicenda che ben presto nasconde insidie legate alla lingua e al modo di lavorare dei cineasti locali. Questo nonostante il cinematografo sia allora muto e nonostante il nuovo arrivato sia attorniato da maestranze italiane, emigrate in seguito alla grave crisi produttiva che vessa il cinema italiano del Dopoguerra. Tra gli altri, Pagano ritrova il regista di fiducia Romano Luigi Borgnetto (1881-1957), col quale aveva già lavorato a Torino nei film della serie intitolati: Maciste (1915), Maciste innamorato (1919), Maciste salvato dalle acque (1920), La rivincita di Maciste e Maciste in vacanza entrambi girati l’anno precedente.

Maciste è mio! Agli impedimenti linguistici di Pagano si aggiungono numerosi problemi legali che sfociano in una serie di processi i quali si concludono con il ritorno in Italia dell’attore. La causa intentata dall’UCI – Unione Cinematografica Italiana, ovvero il più importante trust produttivo italiano dell’epoca – lamenta l’illegittimo sfruttamento del nome “Maciste” per produzioni estranee all’Itala Film, storica casa di produzione che ha lanciato il successo singolare di Maciste sulla scorta di quello di Cabiria. Nel frattempo, l’Itala Film è divenuta una casa di produzione controllata dalla stessa UCI.

Il vasto carteggio (1921-23), conservato presso l’Archivio del Museo Nazionale del Cinema di Torino, testimonia capillarmente i passaggi della causa. La corrispondenza ad esempio, oltre a quella intercorsa tra i rispettivi avvocati, comprende lo scambio tra Giuseppe Barattolo, capo dell’UCI, e il conte Vittorio Cini, di stanza a Berlino per altre questioni, imperniato sull’accusa mossa alla Karol Film di indebito sfruttamento dell’immagine ma soprattutto del “marchio registrato” Maciste. Nel mezzo, viene emessa una prima sentenza (febbraio 1923) che vieta alla Karol Film di sfruttare il marchio “Maciste” e infine la sentenza del 20 luglio 1923 che costringe Pagano a tornare in Italia per evitare ritorsioni e al pagamento di una sanzione pesante.

“Vorwärts”, 1 giugno 1922

I quattro film tedeschi di Maciste. A ogni modo, Pagano in Germania partecipa a quattro film intitolati, nella versione italiana, Maciste giustiziere, Maciste e la figlia del Re dell’argento, Maciste e il cofano cinese e Maciste umanitario, solo gli ultimi due risultano superstiti. Viene annunciato un quinto titolo, Maciste africano, assai controverso e probabilmente inesistente, ma che potrebbe essere, in realtà un titolo “di lavorazione” di uno dei quattro che abbiamo menzionato. Vittorio Martinelli (1926-2008), tra i pochi storici del cinema che hanno seguito a fondo le vicende delle maestranze cinematografiche italiane emigrate in Germania tra le due guerre, afferma che il progetto intitolato Die närrische Vette des Lord Maciste (ossia “La cugina pazza del signor Maciste”), l’ultimo in ordine cronologico, non è realizzato perché Pagano, nel frattempo, è già rientrato in patria.  L’attore viene sostituito da un connazionale, l’atleta Carlo Aldini (1894-1961), che in Italia ha al suo attivo alcuni film con lo pseudonimo Ajax; il titolo viene infine mutato in Die närrische Vette des Lord Aldini.

Tornando ai “Maciste” di produzione tedesca, sono film che non ottengono grandi riconoscimenti dalla critica italiana. Secondo le recensioni disponibili – ben sapendo che sono dati suscettibili – i film escono nelle sale italiane tra il 1924 (Maciste giustiziere e Maciste e la figlia del Re dell’argento), il 1927 (Maciste e il cofano cinese) e il 1929 (Maciste umanitario). Una curiosità: nei primi due casi si sovrappongono alla produzione della serie italiana coeva, nel frattempo ripartita dopo il ritorno dell’attore in patria, ossia Maciste e il nipote d’America e Maciste imperatore.

Vediamoli nel dettaglio.

Man soll es nicht für möglich halten oder Maciste und die Javanerin (di Uwe Jens Krafft, Karol Film GmbH 1922) conosciuto anche come Maciste e la giavanese, circola in Italia col titolo Maciste umanitario. Un critico spietato sentenzia: «le solite bravate da atleta che, se pure possono divertire i nostri bimbi […], annoiano terribilmente tutti coloro che dal cinematografo desiderano qualcosa di più […] che i soliti esercizi da circo equestre» (Anonimo, Maciste umanitario, in «Kines» 1929), pare essere la stroncatura più pesante della decennale produzione macistiana.

Riferendosi a Maciste und die Toechter des Silber Koenig (di Romano Luigi Borgnetto, Karol FilmGmbH 1922), conosciuto in Italia con la fedele traduzione Maciste e la figlia del Re dell’argento e con almeno altri due titoli (Maciste e la figlia del re della Plata; Maciste e la regina dell’argento), un anonimo critico ritiene che, nonostante la trama risulti brillante, è forte il rimpianto per il Maciste del passato: «purtroppo […] pur divertendo, il buon gigante […] non ci ha strappato quelle grasse risate dei tempi di Maciste» (Anonimo, Maciste e la figlia del Re dell’argento, in «La Rivista Cinematografica» 1924). Prima di occuparci brevemente di Maciste und die chinesische Truhe, unico film disponibile tra i due superstiti, vediamo qualche nota rispetto alla quarta produzione dedicata al forzuto dalla Karol Film: Maciste und der Sträfling Nr. 51 (Romano Luigi Borgnetto, Karol Film GmbH 1923). La traduzione letterale è “Maciste e il detenuto nr. 51”, ma il titolo che viene scelto per il mercato italiano è Maciste giustiziere. Il film (o parte di esso) risulta conservato presso la Cinémathèque Royale de Belgique a Bruxelles, ma date le condizioni precarie della pellicola, non sono disponibili ulteriori informazioni in merito, tranne che per una anemica recensione, molto vaga, che ne loda la sobrietà e l’interpretazione di Pagano (Anonimo, Maciste giustiziere, in «La Rivista Cinematografica» 1924).

“Das Kino-Journal”, maggio 1923

Maciste und die chinesische Truhe. Il film (prodotto dalla Karol Film GmbH nel 1923, il cui titolo italiano è Maciste e il cofano cinese) è pressoché completo. La pellicola è diretta da Carl Boese (Berlino, 1887-1958), di costui si ricorda soprattutto la regia – in collaborazione con Paul Wegener – del film Der Golem, wie er in die Welt kam (1920) capolavoro dell’espressionismo cinematografico tedesco. Una copia della pellicola macistiana è conservata presso la Cineteca Nazionale di Roma. Ecco la sinossi ricostruita dalla studiosa Stella Dagna, che ha potuto visionare il fragile testimone:

Rullo 1: Maciste, scaricatore portuale, incontra sul luogo di lavoro un misterioso cinese che gli propone un affare insieme ad alcuni malviventi: svaligiare villa Vacano trafugando un prezioso cofano cinese. Allo Sport Club hanno scommesso di trasformare uno scaricatore di porto in un uomo elegante. È in questo modo che Maciste stringe amicizia con il giovane Vacano. Il protagonista avvisa Vacano della proposta fattagli dal cinese. L’amico racconta di aver ereditato il cofano da uno zio professore, morto misteriosamente in Cina dopo la scomparsa della sua unica figlia.

Rullo 2: Maciste, fingendosi d’accordo con i malviventi, li aiuta a rubare il cofano da casa Vacano e a portarlo nella soffitta della Taverna Rossa. I domestici, tornati da una gita, si disperano per la scomparsa del cofano. Nella bettola avviene un’incursione di polizia. Maciste rivela di aver portato il cofano agli agenti e chiede spiegazioni ai due cinesi sul suo contenuto.

Rullo 3, flashback: il cinese racconta a Maciste che suo zio, il professor Sutor – studioso di geografia cinese –, viveva con la figlia e l’assistente Hu Pong. Quest’ultimo è invaghito della figlia del professore e, approfittando di un’assenza del padre, le usa violenza, istigandola poi al suicidio. La ragazza si getta nel fiume dopo aver lasciato un biglietto, «padre mio, perdonami!». Il padre disperato – dopo essere venuto a conoscenza del drammatico retroscena –, uccide Hu Pong e ne rinchiude il cadavere nel cofano. Subito dopo parte per la Cina: lo perseguitano incubi e visioni, impazzisce, viene curato da un mandarino della zona, ma infine muore. Il cinese misterioso è il mandarino medesimo, nonché fratello di Hu Pong, che vuole recuperarne il cadavere per dargli degna sepoltura. Solo per questo motivo voleva trafugare il cofano.

Rullo 4: Vacano legge sul giornale che la polizia ha trovato resti umani all’interno del cofano rubato. Egli, dunque, suppone che Maciste si trovi tra i ladri arrestati. Una volta al commissariato, dichiara di aver autorizzato la sottrazione del cofano. Ma notando che Maciste non è tra gli arrestati, ritratta, suscitando sospetti nella polizia. Il protagonista apprende che è prevista una ricompensa per chi restituirà il cofano rubato. I cinesi rifiutano di testimoniare perché è stato loro sottratto il documento che attesta la verità della loro storia. La polizia cerca di scoprire chi ha messo l’inserzione sul giornale, risalendo allo Sport Club del quale il commissario fa arrestare tutti: «Il mio principio non è quello di riflettere molto ma di arrestare molti» (didascalia). Gli imputati sono tutti presenti al commissariato di polizia, tranne Maciste, su cui ora pesano i maggiori sospetti.

Rullo 5: Maciste, sotto lo pseudonimo di McIste, pubblica un annuncio sul giornale in cui dichiara di voler comprare cento cofani preferibilmente orientali. Il bettoliere della Taverna Rossa è tentato di liberarsi dei cofani in soffitta, compreso il cofano incriminato. Intanto, viene emesso un mandato di cattura per Maciste. Questi, travestito da vecchio, si reca nella bettola, ma viene scoperto: scoppia una rissa e, una volta arrivati i rinforzi, viene immobilizzato e portato in soffitta. Nel contempo – mentre un cofano viene trafugato – giunge la polizia. Maciste, liberatosi, toglie un asse portante provocando il crollo di parte dell’edificio, ma la demolizione rivela l’esistenza di un controsoffitto. Maciste esce dal tetto con una valigetta in mano. In seguito, Maciste si fa arrestare. Il protagonista riesce a telefonare alla fidanzata di Vacano svelandole che la valigetta – con le prove che scagionano il suo compagno – è abbandonata vicino a un albero. All’ufficio di polizia, Maciste, Vacano e la ragazza che ha recuperato la valigia esaminano i documenti che però sono scritti in cinese. Chiamato un traduttore i fatti si chiariscono. Vacano può finalmente sposare la fidanzata.

Quest’avventura nera di Maciste potrebbe essere benissimo ascritta alle saghe malavitose degli apache parigini. Sono molti i punti di contatto con le trame di film dedicate a super criminali d’inizio secolo, come Fantômas. Ad esempio, il doppio gioco che Maciste mette in atto per incastrare i malviventi è anche la prova della nuova caratterizzazione poliziesca che si vorrebbe dare al personaggio e alla serie.

Maciste e Za la Mort nella terra dei tedeschi. Maciste assieme all’altro personaggio cinematografico seriale italiano dell’epoca, ossia Za la Mort ideato e interpretato dal divo e regista Emilio Ghione (1879-1930), si servono, sia pure partendo da origini letterarie e cinematografiche eterogenee, di contatti coi bassifondi per risolvere un caso scabroso, conducendo indagini parallele a quelle della polizia. Il rapporto con le forze dell’ordine è sempre ambiguo e ciò permette l’equivoco. Puntualmente la polizia, a un certo punto della trama, inizia a perseguire il protagonista; è l’espediente del cacciatore cacciato utile a creare un sospeso ansiogeno che soltanto nella conclusione sarà soluto (un “problema” ricorrente che riguarderà i futuri supereroi dei fumetti, da Batman a Spider-Man). Finalmente la verità potrà trionfare appagando il giusto carico emotivo di attese investito da parte del pubblico.

Le affinità tra questo film e Zalamort. Der Traum der Zalavie, pellicola diretta da Ghione e prodotta in Germania nel 1923, si spingono fino all’individuazione del cosiddetto “pericolo giallo”, ciclica psicosi occidentale originata dalla cosiddetta “Ribellione dei Boxer” (1899-1901), e interpretata da The Insidious Dr Fu Manchu e tutti i racconti della serie scritti da Sax Rohmer a partire dal 1913.

È la rappresentazione di malviventi sino-giapponesi che s’infiltrano nel cuore della società occidentale in modo subdolo e settario, servendosi di una lingua indecifrabile, creando una dimensione parallela e aliena. Senza contare l’aspetto dell’esotico e del bizzarro che sfociano nel grottesco e nel macabro. In entrambi i film citati, da una parte Maciste, dall’altra Za la Mort, c’è un cofano che contiene resti umani: siamo al di là della coincidenza e varchiamo la soglia oltre la quale c’è il vasto panorama della stereotipia, del razzismo e della paura del diverso, tematiche molto attraenti e, ahinoi, ancor presenti a un secolo di distanza.

“Die FilmWoche” 1924

Le due produzioni si attengono ad alcuni cliché riscontrabili sia in Maciste che in Za la Mort durante la coeva trasferta berlinese. Sono caratteristiche che mettono in luce un’inevitabile standardizzazione delle trame, ovvero: l’eroe Maciste/Za è un personaggio ingegnoso dotato di fiuto per le indagini fuori dal comune, come fuori dal comune è la sua forza, sia per Za la Mort – adattata alle sembianze filiformi di Ghione –, sia per il colosso Maciste.

L’unica differenza, forse, vige nell’ambito squisitamente cinematografico, visto che Der Traum der Zalavie è un film molto curato sia dal punto fotografico, sia registico e la realizzazione finale lo rende il miglior prodotto della serie diretta e interpretata da Ghione (almeno tra le copie superstiti). Viceversa ciò non pare sussistere per il Maciste tedesco, nonostante la  regia di Boese, secondo Martinelli – che ha potuto visionare la copia romana –, Maciste e il cofano cinese si dimostra un prodotto di routine. In questo sarebbe spiegato il fatto che i film di produzione berlinese non hanno il successo dei precedenti prodotti dalla Itala Film.

Tuttavia, in Maciste und die chinesische Truhe non mancano elementi di originalità. Infatti la trama mostra un inedito Maciste legato questa volta alla biografia del proprio interprete: così come Pagano fu nella realtà un camallo genovese, ecco anche il personaggio è uno scaricatore di porto e ciò innesca un corto circuito nuovo rispetto al passato. È una sostanziale novità anche il suo stare nell’alta società – e indossare il frac –: l’avevamo già visto in un film italiano precedente: Maciste innamorato, ma il suo imbarazzo era appositamente sottolineato.

La variante identitaria “eretica” tedesca del forzuto, imbastita di risvolti divistici del personaggio di finzione, è presente – con alcune differenze –, in un documento anonimo e privo di datazione conservato presso l’Archivio del Museo Nazionale del Cinema torinese. Il progetto di rinnovamento della maschera di Maciste è redatto nell’immediato Dopoguerra, come si evince dal testo; purtroppo non sappiamo se sia stato scritto prima o dopo il soggiorno di Pagano a Berlino.

La differenza sarebbe assai sostanziale in entrambe le eventualità, poiché in un caso il film tedesco si approprierebbe di un’idea già confezionata a Torino; nell’altro, invece, la pellicola tedesca superstite potrebbe aver influenzato gli autori italiani nella costruzione del nuovo identikit. Comunque sia, la proposta non viene raccolta dai produttori, come dimostra il seguito della saga macistiana, e termina in un binario morto.

Mi pare, comunque, appropriato citare alcuni brani del progetto di rinnovamento, se non altro per stabilire un confronto diretto con la trama di Maciste e il cofano cinese:

Dovendo eseguire una serie di soggetti con Maciste, sarebbe utile fissare a questo buon atleta una posizione sociale: Maciste è stato soldato e dopo la guerra, avrà [scelto la] professione di cultura fisica […]. Maciste da buon Professore, forma pure dei professionisti giovani delle classi basse che desiderano diventare acrobati-boxeurs. Avremo così Maciste che potrà muoversi liberamente in due ambienti: nell’alta società perché i suoi allievi, grati del beneficio che ha loro arrecato, oltre a pagarlo profumatamente, lo accolgono con piacere nel loro circolo sociale sapendolo buono, onesto e quantunque rude un vero gentiluomo. Nelle basse sfere, di cui egli è l’idolo per la sua forza: dove egli è ammirato e temuto anche dai più tristi, i quali sanno che con Maciste non si scherza […]. Maciste è elegante, forse leggermente troppo elegante: egli detesta il frak e non l’indossa che per forza maggiore (il testo intitolato Archivio è riportato, senza segnatura o altri riferimenti archivistici, in P. Bertetto, G. Rondolino (a cura di), I giorni di Cabiria, vol. I, MNCT 1997).

Possiamo rilevare che il rapporto di Maciste con l’alta società deriva direttamente dal film Cabiria: si tratta, cioè, di un imprinting già ben definito. È ovvio che le ambientazioni contemporanee, rispetto al film originario ambientato durante le guerre puniche, acuiscono le differenze tra il popolano Maciste e i suoi eleganti amici o avversari, ma c’è da rilevare che l’eroismo e l’ostentato divismo (meta)cinematografico lo pongono oltre la subalternità e oltre il confronto di casta. Questa sua guerra alla parte marcia dell’aristocrazia e dell’alta borghesia fanno dell’eroe popolare un difensore dello status quo. Il riferimento all’idolo delle «basse sfere» pare, invece, rimandare agli ambiti degni di Za la Mort e più in generale alle figure subliminali degli apache parigini, abitatori dei bassifondi.

1922. Tra le motivazioni per le quali Pagano lascia Berlino vi sono questioni ambientali e linguistiche. Mentre l’aspetto decisivo è di sicuro legato alla controversia che lo coinvolge e che vede contrapposte le case di produzione UCI e Karol Film. Per favorire una soluzione indolore l’interprete torna a Torino, dove, alla fine del 1923 è scritturato dalla Fert, casa di produzione che in seguito entrerà a far parte della Società Anonima Stefano Pittaluga. Toccherà a quest’ultima, alla fine del decennio, tentare di mettere in atto una “rinascita” del cinema italiano, soprattutto attraverso l’investimento dedicato al cinema sonoro.

Alla fine di quello stesso 1922 Benito Mussolini, anch’egli a suo modo un “forzuto”  che pare ispirarsi all’immagine macistiana, riceve da Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il Governo del regno d’Italia. Una sorta di rivalità assurda quanto curiosa tra Mussolini e Maciste è messa in scena da una vignetta satirica pubblicata in occasione del lancio del film di produzione italiana Maciste imperatore (1924). Al centro della scena torreggia il protagonista, vestito da imperatore come previsto dalla sceneggiatura del film, che ascolta sorridente il «monito di Mussolini». Quest’ultimo è ritratto sottodimensionato rispetto al forzuto, con un enorme manganello sotto il braccio, ed è posto in piedi sopra un barile (sul quale campeggia la dicitura «Olio ricino»), dal quale minaccia Maciste: «Tu vuoi diventare Imperatore? Bada bene… ce n’è anche per te…».

“Films Pittaluga”, 1924

Quando Pagano rientra in Italia nel 1923, trova un Paese che si avvia a cambiare i propri connotati politici, etici ed estetici in un’accezione massificata che non risparmierà il cinematografo e i suoi miti, dunque anche Maciste. Quest’ultimo, forse non a caso, scomparirà surclassato dal nuovo divo Mussolini. Un divo che è anche di celluloide, nonché seriale, poiché appare proiettato costantemente sul grande schermo: non fa troppa differenza che al contrario di Maciste il dittatore compaia nei servizi propagandistici dei cinegiornali, poiché sempre di fiction di tratta, per giunta della qualità più raffinata.

Denis Lotti

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