Boris Palmer è uscito dai Verdi

Il Sindaco di Tubinga ne ha fatta un’altra delle sue

Vi ricordate di Boris Palmer?

Del problematico Sindaco verde di Tubinga avevamo già parlato su Kater, raccontandone le numerose dichiarazioni piuttosto discutibili che spesso hanno messo in imbarazzo il suo partito. In conclusione di quel pezzo citavamo la sua ultima uscita, un utilizzo disinvolto della n-word in un commento su Facebook a proposito di Dennis Aogo, ex giocatore di calcio diventato commentatore televisivo. La cosa suscitò un vero putiferio, e sembrò la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, tanto da far partire una procedura di espulsione dal partito da parte della sua federazione, quella del Baden-Württemberg. 

Nel frattempo Palmer ha vinto un altro mandato alla guida della città, stavolta presentandosi da candidato parteilos (“indipendente”), ma quella vicenda è tornata a far parlare di sé nel fine settimana. Palmer è stato ospite alla Goethe Universiät di Francoforte di una conferenza sull’immigrazione, tema su cui ha idee piuttosto conservatrici spesso in totale contraddizione con i valori e i principi del suo partito.

Boris Palmer (Foto: © IMAGO/Eibner)

Al di là dell’argomento, però, a occupare la scena è stato nuovamente il suo uso della n-word. Palmer ha difeso il suo utilizzo dell’espressione, che a suo dire comunque non fa parte del suo vocabolario abituale, sostenendo che dipende tutto dal contesto: una cosa è usarla per apostrofare qualcuno dalla pelle scura, in quel caso siamo tutti d’accordo che si tratti di un’offesa perseguibile a livello giudiziario. Ma citarla in un contesto letterario, ad esempio, è tutta un’altra faccenda: e per corroborare l’affermazione il Sindaco ha citato Astrid Lindgren, l’autrice di Pippi Calzelunghei cui libri tuttavia hanno effettivamente alcuni elementi che richiamano a un immaginario razzista e coloniale, per quanto talvolta utilizzati in chiave ironica o critica. Secondo Palmer la scrittrice svedese fa “un uso del tutto legittimo della parola”.

La questione è rispuntata fuori anche quando Palmer è stato contestato da un gruppo di studenti, fuori dell’edificio in cui si teneva la conferenza. Ed è lì che il Sindaco ha, diciamo così, usato la sua arma-fine-di-mondo di provocazione: accusando i giovani interlocutori di pregiudizio, ha sostenuto che la loro presunzione di voler determinare se una persona è razzista o no dall’uso di una singola parola, ignorando il contesto, non ha nulla di diverso dall’obbligare gli ebrei a portare cucita sui vestiti una stella gialla, come si faceva durante il nazismo. BOOM!

Il paragone infelice, ai limiti della blasfemia, è naturalmente finito su tutti i giornali. E stavolta, probabilmente perché è andato a toccare il tabù più profondo e inviolabile del discorso pubblico tedesco, Palmer non è riuscito a farla franca. Pentito di aver pronunciato quelle parole, che suonano come una relativizzazione dell’Olocausto, il Sindaco ha annunciato di aver lasciato il partito e di volersi prendere un “periodo di pausa” di un mese dalla guida della sua città – anche se non è chiaro se darà proprio le dimissioni. Ha detto però di voler cercare aiuto per imparare a non perdere la testa in circostanze del genere: finché non sarà sicuro di padroneggiare nuovi meccanismi di autocontrollo, eviterà ogni tipo di confronto o di faccia a faccia. 

Il che però porta l’osservatore malizioso a una domanda successiva, o forse da un certo punto di vista precedente, più basilare. Per un sindaco di una città, per un politico che teoricamente si riconosce in uno schieramento progressista, il problema è solo dirle, quelle cose lì? O non piuttosto il fatto di pensarle?

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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