Sascha Lobo, la guerra in Ucraina e il “pacifismo straccione”

L’editorialista dello Spiegel contro il moralismo egoista di certo pacifismo

Sascha Lobo è un blogger e giornalista tedesco, esperto di comunicazione – politica e non – e nuove tecnologie. È anche un editorialista dello Spiegel, ma lo si riconosce soprattutto per una caratteristica che non ha nulla a che fare con le sue competenze o ciò che scrive: un vistosissimo tomahawk rosso, sfoggiato come tratto distintivo.

Sascha Lobo (Foto: Urban Zintel)

A un’acconciatura tanto spavalda corrisponde un atteggiamento tutt’altro che remissivo. Lobo non ha paura di intervenire nel dibattito pubblico con opinioni e posizioni nette, che potremmo definire di “progressismo radicale”. Personalmente avevo iniziato a seguirlo dopo aver letto un suo lungo pezzo del gennaio 2017, in cui analizzava un discorso di Björn Höcke, leader dell’ala più nazionalista di AfD, paragonandolo a quello tristemente più noto della “guerra totale” di Joseph Goebbels del 1943. Confrontando le formule e i termini usati, Lobo sottolineava come l’intervento di Höcke fosse tecnicamente, filologicamente nazista, e concludeva con un monito: adesso chi vota AfD non potrà più dire di non saperlo, di non averne idea.

Dall’inizio della guerra in Ucraina Lobo ha dedicato numerosi pezzi alla questione, spesso criticando l’attendismo tedesco e il primato che evidentemente la Germania sta riservando agli accordi commerciali ed energetici rispetto all’imperativo morale di aiutare gli aggrediti con tutti i mezzi, anche con le armi se necessario. Una forma di “bigottismo nazionale”, una specie di “pacifismo” che porta a ritenere più importanti i propri “principi di pace” rispetto alla sopravvivenza altrui. E proprio a questo tipo di pacifismo è dedicato l’ultimo editoriale di Lobo, un attacco frontale a ciò che viene da lui definito Lumpen-Pazifismus, “pacifismo straccione”. Il chiaro riferimento è al Lumpenproletariat di marxiana memoria, quel “sottoproletariato” privo di coscienza di classe e in fondo anche di coscienza tout court, buono a nulla e sempre pronto alla delinquenza.

Marcia per la pace a Berlino (Foto: tagesschau)

Durante le giornate di Pasqua ci sono state in Germania diverse marce organizzate dal Friedensbewegung, il movimento per la pace. Un movimento all’interno del quale, secondo Lobo, è possibile individuare a grandi linee due schieramenti. Il primo è quello di chi si basa sulla ragione, e sostiene un pacifismo “ragionevole e realistico”. Il pacifismo di chi è scettico sul militarismo, intende ribaltare le narrazioni positive ed edificanti sulla guerra, ed è radicale nel perseguire le condizioni per la pace: ma accetta e comprende il desiderio di difendersi che provano le vittime di un’aggressione.

Dall’altra parte c’è invece il “pacifismo straccione”, un’ideologia “profondamente egoistica” che mette il proprio orgoglio al di sopra delle sofferenze altrui. Attenzione però, non si tratta di persone ingenue o naif: quello sarebbe spiacevole, ma non certo una colpa. I pacifisti straccioni, al contrario, sono innanzitutto dei moralisti: “persone che indossano una giacca, e subito dimenticano cosa significa avere freddo”. Persone che seguono i loro Stuhlkreis-Prinzipien (che potremmo tradurre come “principi da salotto”, per usare una formula usata e abusata in italiano) anche a costo della vita degli altri, e di fronte alle immagini terribili che provengono dall’Ucraina non intendono fare nulla.

Ma non è nello stile di Lobo limitarsi a generiche accuse: non ha certo paura di fare nomi. Ad esempio quello del responsabile per la pace della Chiesa protestante in Germania, il vescovo Friedrich Kramer. Alla domanda su come si debba reagire ai crimini di guerra di cui si è macchiato Putin in Ucraina, il vescovo ha risposto che “a volte possiamo essere solo spettatori impotenti. E forse è un bene”. Una risposta di malizioso menefreghismo, commenta Lobo – “ma vabbè, è un vescovo”.

Il problema è che di Lumpen-Pazifisten è pieno il partito del Cancelliere, la SPD, e a quelli fanno appello i personaggi come il vescovo Kramer, sapendo di trovare ascolto. Ad esempio da parte di Michael Müller, ex Sindaco socialdemocratico di Berlino, che si è detto sorpreso dalla rapidità con cui alcuni, anche con conoscenza approfondita della situazione, stanno sostenendo a gran voce l’invio di armi pesanti. “Rapidamente?” – si chiede Lobo. “Dunque solo dopo alcune decine di migliaia di civili morti,  torturati, violentati e assassinati?”

Al cuore di questo pacifismo straccione, al netto del “banale antiamericanismo”, c’è un torbido miscuglio di diritto del più forte e di inversione tra vittima e aggressore, che in nome di una supposta superiorità morale – di chi non si capisce, poi – vuol spiegare una buona volta agli ucraini cosa dovrebbero fare per far cessare il conflitto. Tutto tranne resistere militarmente, si capisce. Lobo ripercorre ad esempio la lista di suggerimenti avanzati da Véronique Dudouet, esperta in conflict resolution e ricercatrice della fondazione Berghof di Berlino, che intervistata dalla taz ha definito la “resistenza civile” più efficace di quella militare. Dimostrazioni di massa, per far capire agli invasori che non sono i benvenuti; scambiare i segnali stradali e i cartelli, in modo da confondere le truppe; fermare i panzer russi con catene umane; boicottare le merci russe; e infine, per gli altri Paesi, sostenere finanziamente gli ucraini nella loro resistenza non violenta, per aiutarli a “costruire la loro capacità di disobbedienza civile di massa”. Non c’è bisogno di controargomentare in maniera dettagliata queste proposte, dice Lobo: “basta aver visto le immagini delle città bombardate, i cadaveri per strada o i report sulle violenze di massa”. Misure di questo genere “sono una farsa”. Abbiamo visto le onorificenze che Putin ha conferito ai massacratori di Bucha, avallando e in qualche modo rivendicando quelle violenze. Continuare pervicacemente a non “volersi immischiare” a questo punto non significa più ingenuità, ma autentica freddezza. 

Non bisogna inviare armi per non aumentare “la militarizzazione del conflitto” in una zona già devastata dalla violenza, dicono i pacifisti-straccioni. Di sicuro, conclude amaramente Lobo, “la gente di Mariupol, che aspetta nelle cantine bombardate e muore di sete, sarà certamente contenta che la propria città non venga ulteriormente militarizzata”. E magari impegnandosi ancora un po’ potranno diventare davvero dei pacifisti autentici: “certo non superpacifisti specchiati ed entusiasti al 100% come noi qui in Germania. Ma comunque.”

Ora, io non lo so se Sascha Lobo ha ragione – più ci penso più mi sembra di sì, lo confesso, ma credo sia normale avere anche molti dubbi, e riconoscere che la politica (e la geopolitica) non la si fa solo esercitando la propria coscienza morale. Però penso che abbia senso, oggi, che in Germania è un lunedì come un altro ma in Italia si festeggia la Liberazione dal Nazifascismo, porsi la domanda che si pone lui. 

“Quando diavolo dovremmo essere morali, se non adesso? Con così tanti civili uccisi e violentati?”

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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