Il 2023 della politica tedesca

Chi ha vinto e chi ha perso nel 2023 della politica tedesca

Il turbolento 2023 della politica tedesca sta ormai finendo, e sicuramente molti dei suoi protagonisti ne sono piuttosto sollevati.

I membri del governo semaforo, ad esempio, non vedranno l’ora che questa annata si levi di torno (anche se magari non tutti, vedremo più avanti chi e perché). Qualcosa di simile si può dire anche per alcuni membri dell’opposizione, ma non per tutti: tra di loro c’è infatti chi nel 2023 si è trovato benissimo, e di certo spera che il 2024 prosegua sulla stessa traccia.

Nelle righe che seguono cercheremo di mettere un po’ d’ordine e tirare un bilancio di quest’anno, senza dare pagelle o voti, ma provando a capire chi nel 2023 ha vinto e chi, invece, ha perso. Alcuni vincitori – e alcuni sconfitti – sono chiari ed evidenti, ma per altri i contorni sono molto più sfumati.

Cominciamo con chi quest’anno ha più trionfato che vinto, e con chi invece ha perso in maniera netta e inequivocabile.

Vincitore: AfD

È difficile dipingere il 2023 di Alternative für Deutschland in maniera diversa da una cavalcata trionfale. Un anno ricco di prime volte, per gli estremisti di destra. Prime vittorie nelle elezioni comunali, con l’elezione di capi di enti locali e sindaci; primi sondaggi col partito oltre il 20% a livello nazionale, a presidiare un secondo posto dietro alla capolista CDU che non sembra minimamente in discussione.

Sondaggio del 28 dicembre

Soprattutto, AfD si è infiltrata definitivamente nel discorso pubblico, in maniera salda e devastante. Il dibattito sull’immigrazione, ad esempio, sembra essersi spostato globalmente su posizioni la cui ispirazione è piuttosto chiara, fra un Cancelliere che invoca rimpatri rapidi “su larga scala” – posizione su cui la maggior parte dei tedeschi è d’accordo – e l’opposizione conservatrice che propone di adottare il “modello Ruanda” varato dalla Gran Bretagna per la gestione dei rifugiati. un caso di scuola di quella che, un tempo, si sarebbe chiamata “egemonia culturale”.

Oltre a guardare a quest’anno con soddisfazione, AfD può volgere lo sguardo al prossimo con grande fiducia. Non dimentichiamoci che nel 2024 si vota a Est, in tre Länder in cui gli alternativi hanno distacchi dai secondi classificati che definirli “in vantaggio” è quasi eufemistico. Si va dal 27% in Brandeburgo al 35% in Sassonia, fino all’incredibile 36,5% rilevato in Turingia. Nel complesso, a Est AfD è primo partito nei sondaggi, al 32%, otto punti sopra la CDU.

Sconfitto: Olaf Scholz

Tutto il governo semaforo è uscito malandato dal 2023, ma il Cancelliere è quello che forse ne rappresenta in maniera più evidente le difficoltà. Già il 2022 non era stato gentilissimo con il successore di Angela Merkel, criticato da ogni parte per la scarsa personalità e l’assenza di leadership, ma il 2023 e le numerose crisi – interne ed internazionali – che l’hanno costellato hanno reso Olaf Scholz uno dei politici meno popolari del Paese.

Olaf Scholz (Foto: AFP)

Qualche settimana fa, nel pieno della crisi innescata dalla sentenza della Corte Costituzionale che condannava come illegittimo lo spostamento di 60 miliardi dal fondo extra per la pandemia verso le iniziative di lotta al cambiamento climatico, lo Spiegel dedicò al Cancelliere una copertina feroce, in cui lo definiva “un saputello” che “ora fa la figura dell’imbroglione”. Diciamo che quella copertina racchiude bene il 2023 di Olaf Scholz, l’uomo che più di ogni altro simboleggia la delusione – il fallimento – di un governo che si presentava come l’ultima, vera “grande promessa”. 

O c’è forse qualcuno che, da questo punto di vista, ne esce ancora peggio?

Sconfitto: Robert Habeck

Il Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima è probabilmente lo sconfitto più sconfitto di tutto l’arco politico tedesco, soprattutto se consideriamo le altezze da cui è precipitato.

La sua nomina al vertice di quello che, sulla carta, era un Superministero sembrava il pezzo mancante per la sua ascesa definitiva e totale: un ruolo cruciale, in primissima linea, proprio quello che gli serviva per accumulare ancora più popolarità e potersi presentare, in futuro, come il vero leader non solo dei Grünen, ma di tutto lo schieramento progressista della politica tedesca. Poi però sono arrivate le crisi, a cominciare da quella messa in moto dall’invasione russa dell’Ucraina, a scombinare le carte. In diverse situazioni difficili Habeck ha mostrato di sapersela cavare, ma alla fine è rimasto schiacciato nella versione semaforo di una delle leggi più inscalfibili della politica teutonica: quando un Ministro per la Protezione del Clima va allo scontro con un Ministro delle Finanze, il primo potrà anche avere in gestione l’Economia, ma quello che vince è il secondo.

Robert Habeck (Foto: Bernd von Jutrczenka/dpa)

Praticamente in tutte le circostanze in cui Verdi e FDP si sono trovati ai ferri corti, in questi anni di coalizione, i rospi più grandi li hanno sempre dovuti ingoiare gli ecologisti, spesso messi all’angolo da inattese triangolazioni fra liberali e socialdemocratici. L’ultima conferma l’ha data la crisi del bilancio, quella legata alla sentenza della Corte Costituzionale citata poche righe fa: alla fine i partiti del governo hanno trovato un’intesa e approvato una proposta, che verrà presentata al Bundestag a gennaio, ma chi ha dovuto fare il passo indietro più lungo? Esatto, i Verdi. Il fondo per gli investimenti sulla transizione ecologica e la lotta al cambiamento climatico perderà 12 miliardi, gli incentivi per l’acquisto di auto elettrico finiranno prima del previsto e i sussidi per l’energia solare verranno tagliati, così come i fondi per la costruzione di edifici climate-friendly. E niente sospensione dello Schuldenbremse, il celebre “freno al debito”, esattamente come voleva il Ministro delle Finanze Christian Lindner.

Se per i Verdi, e per Robert Habeck, non è una débâcle questa, non so cos’altro sia.

Vincitrice ma non troppo: l’Union

Se il governo perde consensi, l’opposizione ne guadagna. O no?

Diciamo che per l’Union questo è vero solo a metà. Naturalmente i conservatori approfittano delle difficoltà della coalizione semaforo, e nei sondaggi sono stabilmente sopra il 30%, ma l’impressione è che si tratti semplicemente di inerzia. Che si tratti di oscillazione del consenso, senza però che la CDU stia veramente facendo nulla per meritarsi questo vantaggio o incrementarlo – solo star lì ferma ad aspettare la prossima crisi interna della maggioranza. Un atteggiamento molto merkeliano, a voler essere maliziosi.

Questa postura di scarsa proattività verrà messa a dura prova nel 2024, con le elezioni locali a Est. Nonostante i picchi nei sondaggi di AfD, la CDU si troverà inevitabilmente a giocare un ruolo cruciale nelle trattative che porteranno alla formazione dei governi nei tre Länder. Cosa sceglieranno i conservatori? La risposta più tradizionale sarebbe puntare a un accordo con la SPD, ma se i numeri dei sondaggi saranno confermati anche nelle urne è ragionevole ipotizzare che non sarà sufficiente per formare delle maggioranze stabili. E a quel punto bisognerà vedere da che parte andrà la CDU. Ad esempio in Turingia: secondo i dati attuali la CDU potrebbe accettare di essere partner di minoranza in un governo guidato da Linke o da AfD. Cosa fare in quel caso?

Le conseguenze a livello nazionale potrebbero essere rilevantissime.

Sconfitto ma non troppo: Friedrich Merz

Nonostante sia il capo del partito attualmente in cima ai sondaggi, e più probabile vincitore delle prossime elezioni politiche, è difficile considerare Friedrich Merz un vincitore quest’anno. Il leader della CDU continua a inanellare dichiarazioni controverse e figure poco piacevoli, confermando l’impressione di essere un politico anacronistico per il 2023, e non solo per l’età anagrafica decisamente matura – 68 anni.

Non è un caso che periodicamente riaffiori nella stampa tedesca la discussione sulla K-Frage, la domanda sulla candidatura alla Cancelleria. Tradizionalmente appannaggio del capo della CDU, più di altre volte in passato la questione è ora aperta, ed è tornata in questi giorni sulle pagine dei giornali. Merz ha numerosi concorrenti temibili: non solo Markus Söder, capo della CSU, che stavolta sembra anzi meno pericoloso visto il pessimo risultato ottenuto nelle elezioni in Baviera lo scorso ottobre. È soprattutto da dentro la CDU che provengono le minacce più credibili: una leva di giovani Ministerpräsidenten alla guida di Länder importanti, che hanno gioco facile a posizionarsi in modo più centrista rispetto alla leadership di Merz, percepita sempre come molto “radicale” – più a causa delle sue dichiarazioni e interviste che di effettive proposte di policy, va detto. Gente come Hendrik Wüst, Primo Ministro del Nordreno-Vestfalia, che ha invitato la CDU a non considerare la candidatura come una faccenda già decisa ma ad ascoltare i circoli e il partito sul territorio. O Daniel Günther, Ministerpräsident riconfermato dello Schleswig-Holstein che ha una lunga esperienza di governo e collaborazione con i Grünen – e con Robert Habeck in particolare. O perché no Boris Rhein, trionfatore delle recenti elezioni in Assia e alla guida di una Grosse Koalition con la SPD.

Friedrich Merz, al centro, con Hendrik Wüst (a sinistra) e Daniel Günther (a destra). (Foto: Michael Kappeler(dpa)

Tutta gente più giovane di Merz, percepita come meno controversa e con maggiore appeal elettorale per ampie fette dei votanti.

Vincitore inatteso: Christian Lindner

In conclusione vale la pena spendere due parole su quello che, inaspettatamente, si è rivelato un vincitore, almeno parzialmente, dell’anno appena trascorso: Christian Lindner, Ministro delle Finanze e leader dei liberali della FDP.

Un minimo di stupore è legittimo: come fa a essere incluso fra i vincitori uno dei ministri di punta di un governo dalla popolarità disastrata, capo di un partito che a ogni elezione locale colleziona risultati sempre più deludenti? 

Tutti punti assolutamente validi, che però non tengono conto delle dinamiche interne alla coalizione semaforo e della distribuzione di potere e influenza fra i suoi membri. In ognuno dei numerosi scontri che hanno costellato questi due anni di governo, e che spesso hanno visto Grünen e FDP dai lati opposti della barricata, il Ministro delle Finanze è uscito, se non vittorioso, quantomeno più vincente del suo principale rivale, Robert Habeck. Come dicevano qualche paragrafo più su, i rospi che i Verdi e il Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima hanno dovuto ingoiare sono stati molti di più, e ben più corpulenti. Lindner invece ha dovuto rinunciare a pochissime cose, ed è anzi riuscito a emergere come il vero erede della rigidità finanziaria che, nonostante le critiche si stiano accumulando, continua ad essere generalmente apprezzata dai tedeschi.

Christian Linder, a sinistra, osserva Robert Habeck. Le espressioni dei due sono piuttosto significative. (Foto: dpa)

E il suo ruolo all’interno del governo risulta sempre più decisivo: ad esempio nella travagliata storia del budget a cui accennavamo più su. La proposta su cui è stato trovato un accordo in extremis non solo taglia senza pietà quasi tutti i temi verdi senza toccare praticamente nulla di ciò che sta a cuore ai liberali – a parte i finanziamenti per l’ammodernamento della rete ferroviaria a cui il Ministro dei Trasporti Volker Wissing, FDP, dovrà dire addio – ma soprattutto lascia al Ministro delle Finanze il potere di vita e di morte su ogni ipotetica modifica, variazione, bilanciamento, almeno fino a quando il Bundestag non lo voterà ai primi di febbraio.

Edoardo Toniolatti

@EdoToniolatti

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