La Germania, il nucleare e Robert Habeck

Il Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima Robert Habeck sta giocando una partita delicatissima su un tema che per il suo partito, i Verdi, è un assoluto tabù: il nucleare.

Con l’insediamento dell’attuale governo tedesco, ai primi dello scorso dicembre, l’impressione condivisa era che il partito da tenere maggiormente d’occhio fra i tre della coalizione fossero i Grünen.

Seconda forza del “semaforo” insieme a SPD e FDP, sembrava toccare a loro il compito più difficile: quello di indicare la rotta da seguire sui dossier più complicati, urgenti e costosi in un contesto di grande attenzione ai bilanci e di ritrosia nelle spese, su cui gli altri due contraenti – socialdemocratici e liberali – si ritrovavano in una inattesa sintonia. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha poi trasformato questa impressione in una certezza. I Verdi tedeschi hanno reagito all’avanzata dei carri armati di Putin con una durezza e una fermezza messe ancora più in risalto dal contrasto con l’ambiguo temporeggiare di Olaf Scholz, e anche dopo il celebre discorso della Zeitenwende da parte del Cancelliere il volto della Germania vicina all’Ucraina e tenacemente avversa a Putin è rimasto quello dei Verdi, in particolare quello della Ministra degli Esteri Annalena Baerbock.

Il prolungarsi della guerra ha reso sempre più pressante uno dei nodi cruciali della questione, e cioè l’approvvigionamento energetico. Come noto la Germania si era legata alla Russia a doppio filo – è proprio il caso di dirlo – attraverso i due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2, ma l’invasione ha cambiato tutto e ha costretto il Paese a ripensare in fretta e furia la propria strategia energetica. E al centro del dibattito pubblico è tornato con forza un tema sempre molto delicato in Germania: il nucleare.

Come titola questo bel pezzo pubblicato da Deutsche Welle, la storia della Germania con il nucleare è un rapporto di amore e odio, iniziato una decina di anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1957 venne infatti inaugurato il primo reattore a Garching, vicino a Monaco di Baviera – una struttura il cui nome ufficiale era Forschungsreaktor München ma subito ribattezzata Atomei (“uovo atomico”) a causa della sua caratteristica forma.

L’uovo atomico di Garching (Foto: https://www.garching1100.de/)

L’uovo atomico serviva solo per ricerca, non per usi civili. Per quello bisognerà aspettare il 1961, con la costruzione di un altro reattore a Kahl am Main, sempre in Baviera, seguito poi da numerosi altri, fino ad arrivare a un numero totale di 17 impianti.

Con l’impiego del nucleare arrivarono però anche dubbi e contrarietà, che a partire dagli anni Settanta si catalizzarono in un movimento antinuclearista che alcuni anni dopo costituirà il cuore del partito dei Grünen – le cui posizioni sono da sempre fortemente critiche sull’utilizzo di questa fonte di energia. Ed è infatti al primo governo nazionale con partecipazione verde che si deve la decisione dell’abbandono del nucleare, con la pianificazione del phaseout – da completarsi per la fine del 2021 – stabilita dalla coalizione rosso-verde guidata da Gerhard Schröder nel 2001. Tuttavia quando si parla di addio all’atomo in Germania abbiamo tutti in mente Angela Merkel, e per una buona ragione. Nel 2010 il governo della Cancelliera – allora a capo di una coalizione nero-gialla insieme ai liberali della FDP – decise di rinegoziare il phaseout allungando il periodo di operatività dei reattori, ma giusto un anno dopo l’opinione pubblica tedesca fu travolta dall’onda emotiva scatenata dall’incidente di Fukushima. Merkel, sempre attentissima all’umore dell’elettorato, scelse improvvisamente di invertire la rotta: e nel luglio 2011 il Bundestag approvò il definitivo abbandono dell’energia nucleare entro la fine del 2022. Una decisione in linea non solo con l’estrema cautela della Cancelliera quando si tratta di maneggiare temi caldi del dibattito, ma anche con la sua leggendaria capacità di scippare ai partiti avversari punti qualificanti dei loro programmi e della loro identità. Con questa mossa Merkel in poche settimane riuscì a intestarsi una battaglia che i Grünen portavano avanti da decenni, diventando la nuova eroina dei movimenti ecologisti europei – e aggiungendo un’altra coccarda alla sua divisa da Klimakanzlerin (“Cancelliera del clima”).

Il grosso problema di questa strategia è diventato particolarmente evidente dall’inizio della guerra. Fra l’abbandono del nucleare – e dei combustibili fossili – e l’autonomia energetica da fonti sostenibili passa infatti una fase di transizione, che i tedeschi pensavano di poter affrontare affidandosi al gas russo. Un piano mandato a monte dall’invasione dell’Ucraina.

La lunga transizione energetica si è trasformata in una immediatissima emergenza, con alle porte lo spaventoso scenario di una gigantesca crisi energetica e un inverno al freddo. E a dover gestire questo formidabile rompicapo è proprio un esponente dei Verdi, il Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima Robert Habeck.

Robert Habeck (Foto: Kay Nietfeld/DPA)

Fin dalle prime settimane di guerra Habeck si è dato moltissimo da fare per trovare alternative al gas russo, girando come la proverbiale trottola e stringendo accordi con il Canada, la Norvegia, il Qatar. E nell’iperattivismo del ministro verde è rientrato anche il tema del nucleare. La crisi energetica all’orizzonte ha portato molti tedeschi a riconsiderare il proprio atteggiamento nei confronti dell’atomo, se non addirittura a rivalutarne i benefici. Secondo un sondaggio realizzato a inizio agosto ben il 78% degli intervistati vorrebbe prolungare fino all’estate del 2023 l’operatività delle ultime tre centrali, la cui chiusura è prevista per fine anno, e il 67% le lascerebbe operative per altri  cinque anni. Il 41% si dichiara anzi favorevole alla costruzione di nuovi impianti. Sulla stessa linea è la proposta su cui l’opposizione sta battendo ormai da tempo, con i leader di CDU e CSU Friedrich Merz e Markus Söder che chiedono a gran voce di ripensare la exit strategy sul nucleare e prolungare la vita delle centrali rimaste fino al 2024, cogliendo anche l’occasione per farsi fotografare di fronte al reattore Isar 2, nel sud della Baviera.

Friedrich Merz (CDU) e Markus Söder (CSU) durante la conferenza stampa tenuta ai primi di agosto davanti al reattore Isar 2 (Foto: Peter Kneffel/dpa)

In questo contesto Habeck ha provato a sfruttare il limitatissimo spazio di manovra che ha: non dimentichiamo che è un esponente dei Grünen, e che di conseguenza per il nucleare non può che avere parole di rifiuto senza esitazione. Ma la cosa non gli è riuscita benissimo.

Il ministro verde ha infatti proposto una soluzione di compromesso: mantenere due delle tre centrali attive oltre la scadenza prefissata ma in standby, in modo da poterle riattivare velocemente in caso di necessità. Solo che a stretto giro è arrivata la risposta di Guido Knott, CEO di PreussenElektra, gestore di una delle centrali in questione (proprio quell’Isar 2 davanti a cui Merz e Söder non si sono lasciati sfuggire la photo opportunity): la proposta dello standby non è tecnicamente realizzabile. testare il riavvio di una centrale – cosa mai provata prima – non dovrebbe essere condotto in un momento critico per la fornitura di elettricità, ammonisce Knott nella sua lettera indirizzata al Ministero. E se rimane qualche dubbio sull’effettiva inattuabilità dell’operazione – il gestore di un altro impianto, EnBW, ha dichiarato di stare ancora vagliando i dettagli della proposta – è però innegabile che Habeck esca molto male da questa vicenda, lasciando scoperto il fianco ad accuse di improvvisazione e scarsa preparazione. Un brutto colpo per quello che fino a poche settimane fa era indubbiamente l’esponente più apprezzato del governo in carica, e che ora nei sondaggi sembra dover cedere il primo posto alla collega di partito Annalena Baerbock, la Ministra degli Esteri.

I segmenti in rosso e arancione indicano l’insoddisfazione con il lavoro svolto, quelli in blu l’apprezzamento: Annalena Baerbock è chiaramente la figura più amata del governo guidato da Olaf Scholz, che invece è vittima di un vistoso calo di popolarità.

Forse proprio la perdurante popolarità di Annalena Baerbock aiuta a capire le ragioni per cui Habeck ha scelto di giocare questa rischiosissima partita. Certamente c’entra il suo ruolo di Ministro per l’Economia, la responsabilità per l’approvvigionamento energetico della Germania che ricade sulle sue spalle e la necessità di fare tutto il possibile per scongiurare l’eventualità di un inverno al freddo per i cittadini. Ma è ragionevole ipotizzare che in qualche modo ci sia anche un calcolo politico, legato a traiettorie e ambizioni personali.

A un anno dalle elezioni vinte a sorpresa dalla SPD, i socialdemocratici vivono un momento particolarmente difficile, con il Cancelliere Scholz ai minimi storici quanto a popolarità e il partito a contendersi il secondo posto con i Grünen dietro un’Union che sembra irraggiungibile.

Anche i liberali della FDP navigano in cattive acque, con il Ministro delle Finanze e leader del partito Christian Lindner fermo a tassi di approvazione inferiori a quelli di Scholz. Gli unici che invece sembrano godere di ottima salute sono i Verdi: i sondaggi li danno stabilmente intorno al 20%, quasi sei punti in più rispetto al responso delle urne di un anno fa. Habeck e Baerbock rappresentano il volto vincente e di governo del partito ecologista, ma con una differenza sostanziale fra i due. Dall’inizio della guerra, Baerbock ha assunto sempre più la leadership del fronte tedesco vicino all’Ucraina e anti-Putin: le sue dichiarazioni durissime contro il Cremlino sono parse ancora più forti in contrasto con l’attendismo spesso imputato a Olaf Scholz, e ne hanno rafforzato l’immagine di vera “donna forte” del governo in carica. Habeck invece si è trovato a dover gestire la delicatissima questione energetica, a dover affrontare un’emergenza in cui un posizionamento netto è estremamente complicato anche a causa del partito da cui proviene. Mentre Baerbock incarna con forza l’importanza del diritto internazionale e della lotta alle dittature, pilastro centrale dei Grünen, Habeck deve fare i conti con una realtà in cui la transizione energetica verso le fonti rinnovabili è diventata improvvisamente più complicata, lunga e accidentata: esattamente quello che la base del suo partito non vuole sentirsi dire. Una situazione intricatissima, che però offre al Ministro per l’Economia una via d’uscita potenzialmente ricca di prospettive: trasformarsi nell’esponente verde che riesce a ridimensionare, se non a cancellare, il più grosso tabù esistente nel suo partito. Se riuscisse a far digerire alla base il prolungamento dell’attività delle centrali, e magari a innescare un dibattito laico e non ideologizzato sull’energia nucleare, Habeck potrebbe rivendicare uno status senza pari nello schieramento ecologista. Il suo nome andrebbe a buon diritto a far compagnia a quello di Joschka Fischer, l’uomo a cui si può ascrivere il primo grande passaggio di maturazione dei Grünen, quello che portò i Verdi ad appoggiare l’intervento NATO in Kosovo

Giocare la partita del nucleare è per Habeck una specie di when in trouble, go big: affrontare un tabù inviolabile per diventare la figura dominante nel partito – e assicurarsi così con ogni probabilità quella candidatura alla Cancelleria che nell’aprile del 2021 gli è sfuggita.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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