Un weekend a Bielefeld

Il congresso dei Verdi tedeschi, fra grandi successi e qualche interrogativo

Venerdì 15 novembre i Verdi tedeschi si sono riuniti per celebrare il loro Parteitag (il congresso) nella Renania Settentrionale, a Bielefeld – la città che, secondo un popolarissimo meme ante-litteram nato 25 anni fa, in realtà non esiste.

La location è ricca di significato per i militanti: proprio a Bielefeld si tenne vent’anni fa un congresso straordinario passato alla storia come uno dei più turbolenti della cronaca politica tedesca, quello in cui il partito fu chiamato a scegliere come schierarsi rispetto alla prospettiva dell’intervento NATO in Kosovo. All’epoca i Grünen erano partner di governo della SPD del Cancelliere Schröder, e al leader verde e Ministro degli Esteri Joschka Fischer toccò il difficile compito di convincere i compagni a sostenere l’azione militare – un vero e proprio shock per i tedeschi, non solo rispetto al tradizionale antimilitarismo del movimento ecologista ma soprattutto perché si sarebbe trattato della prima missione all’estero per l’esercito dai tempi della seconda guerra mondiale. La questione fu a lungo al centro del dibattito pubblico nel Paese, e nella base del partito diede vita a frizioni e spaccature profondissime, che resero il congresso straordinario di Bielefeld un incontro ad altissima tensione. I delegati furono accolti da cortei di manifestanti che li accusavano di aver tradito gli ideali fondamentali del movimento; Claudia Roth, all’epoca deputata al primo mandato e oggi vicepresidente del Bundestag, ricorda come le venne buttato addosso un secchio pieno di salsa al curry, quella servita con il Currywurst, sebbene lei fosse fra i capofila dei contrari. Ma l’immagine che rimase negli occhi di tutti fu quella di Joschka Fischer colpito, poco prima del suo discorso, da una bomba di vernice, che gli ferì un timpano.

Fischer riuscì a strappare il voto favorevole dei delegati, con un discorso che fece epoca e in cui, pur riconoscendo l’assoluta unicità dell’Olocausto, collegava la repressione ad opera dei serbi con lo sterminio degli ebrei: “Io mi baso su due principi: mai più guerre, mai più Auschwitz, mai più genocidi, mai più fascismo. Entrambi mi appartengono.” I sì furono 444, i no 318, e per molti quel momento rappresentò il vero e proprio ingresso dei Grünen nell’età adulta, quella in cui bisogna scendere a compromessi e mettere in qualche modo fra parentesi lo slancio idealistico della gioventù. E Samir Fansa, l’attivista che tirò la bomba di vernice a Fischer, dovette pagare una multa di 3600 marchi – che corrispondono più o meno a 1840 euro di oggi.

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(Foto: dpa)

Il congresso iniziato venerdì sarà certo meno traumatico di quello tenutosi vent’anni fa, ma la sua importanza non va affatto sottovalutata. Anche perché in questo momento i Grünen, a differenza ad esempio della SPD anch’essa nel pieno del percorso congressuale, non hanno problemi di leadership, ma così come i socialdemocratici devono prendere decisioni molto rilevanti per il proprio futuro.

La rielezione di Robert Habeck e Annalena Baerbock non è in discussione: si tratta pur sempre dello Spitzenduo che ha condotto il partito a risultati senza precedenti nei sondaggi e nelle urne, anche se solo in consultazioni locali e alle Europee. Proprio su questo punto si sta insinuando un pensiero poco rassicurante fra i militanti, che si stia cioè assistendo a un film già visto: grandi successi a metà legislatura che non si traducono però in consensi effettivi il giorno delle Bundestagswahl, le elezioni politiche. Una possibile soluzione potrebbe essere bruciare gli altri partiti sul tempo e mettere già in campo una proposta chiara, a partire dalla cosiddetta K-Frage, la “domanda K” come Kanzlerkandidat, il candidato Cancelliere. Questa non sembra tuttavia essere l’intenzione dei due leader: da un lato è probabilmente troppo presto, ma dall’altro eventuali esclusioni rischierebbero di generare malcontento e compromettere quello che è probabilmente il loro più evidente successo in termini di gestione interna. Se c’è una cosa che tutti ormai notano con sempre meno sorpresa è che i Verdi danno l’impressione di essere un partito unito come non mai: dopo decenni consumati da lotte intestine fra Realos (i “realisti”) e Fundis (i “fondamentalisti”, gli idealisti), un piacevole cambiamento a cui nessuno vuole rinunciare.

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Annalena Baerbock e Robert Habeck (Foto: dpa/Hendrik Schmidt)

Ci sarà modo di celebrare i mesi trionfali che hanno visto incredibili avanzate elettorali e l’aumento degli iscritti da 75.000 a 94.000, ma è probabile che inizierà a serpeggiare una domanda: tutto questo è sufficiente? A voler essere pignoli qualche segnale preoccupante c’è: i sondaggi, che in estate davano il partito al 25%, stabilmente sopra la SPD (non che ci volesse molto, però) e addirittura a rischio di insidiare l’eterno primato CDU, si sono riassestati intorno al 20% – un dato comunque estremamente lusinghiero, ma che fa sospettare che l’hype sia già in fase calante. Come nota Constanze von Bullion in un bell’editoriale sulla Süddeutsche Zeitung, i molti elettori che in Baviera e in Assia sono entrati per la prima volta nella casa dei Verdi devono ora essere convinti a restare e ad accomodarsi sul divano. Ed è qui che le cose si complicano.

Da un lato, i risultati del voto a Est hanno mostrato come nei nuovi Länder, quelli dell’ex-DDR, i Verdi facciano ancora molta fatica a raggiungere livelli ormai consolidati a Ovest: le percentuali raccolte in Brandeburgo, Sassonia e Turingia sono ben lontane dai numeri trionfali in Assia e in Baviera, e rivelano tutta la difficoltà che hanno ancora gli ecologisti a liberarsi dall’immagine di partito “radical-chic”, lontano dalle autentiche questioni sociali che affliggono i territori più economicamente precari – come appunto le regioni orientali.

Dall’altro, i Grünen hanno ora molti volti di cui gli elettori si fidano – da Habeck e Baerbock a leader locali come il neoeletto Sindaco di Hannover Belit Onay – ma hanno disperatamente bisogno di ampliare il ventaglio delle loro proposte per confermare la propria identità di forza politica a tutto tondo e non confinata alle sole questioni ambientali. La sensibilità ai temi ecologici e alla protezione della natura è cresciuta esponenzialmente in Germania, anche grazie a movimenti come Fridays for Future, e se questo ha messo i Verdi al centro della scena come interpreti naturali di queste istanze, ha anche però portato l’ambiente nel cuore del mainstream politico, rendendolo un argomento inaggirabile per tutti i partiti. In altre parole, i Verdi hanno ancora un vantaggio competitivo, come i sondaggi dimostrano, ma hanno perso l’esclusiva.

È quindi molto probabile che, accanto ai tradizionali cavalli di battaglia della lotta al Klimawandel (il cambiamento climatico), dell’Energiewende (la transizione energetica) e del Kohleausstieg (l’abbandono dei combustibili fossili), faranno la loro comparsa anche temi di solito considerati appannaggio di altri partiti, come il caro-affitti o l’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora. Temi di cui i Verdi già discutono da tempo, ma che ora devono diventare parte riconoscibile ed integrante del loro core business, se vogliono davvero aspirare a contendere il centro dello scenario politico ai due Volksparteien, la CDU e la SPD.

Secondo alcuni osservatori, viste le difficoltà in cui versano conservatori e socialdemocratici, c’è la possibilità concreta che il prossimo Cancelliere, o la prossima Cancelliera, sia espressione non di uno dei due partiti maggiori, ma proprio dei Verdi. Dopo questo weekend a Bielefeld avremo forse in mano qualche altro elemento per capire se si tratta di una illusione, o di qualcosa di più.

Edoardo Toniolatti

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