“A destra non si guadagnano più voti di quelli che, facendo ciò, si perdono al centro”

Cosa ci dice il voto in Baviera del 14 ottobre

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I leader dei Grünen Robert Habeck e Ludwig Hartmann fanno stage diving sui loro sostenitori in festa

In un’improvvisa fiammata d’interesse verso i destini politici della Baviera, anche in Italia ci si è interessati ed interrogati lungamente nelle ultime settimane sui risultati del voto nel grande Land fra le Alpi ed il Meno e sulle loro conseguenze. Oltre alle domande, più che legittime, su quali effetti avrà il voto del 14 ottobre sul governo di Angela Merkel e sugli equilibri politici europei, in tanti si sono chiesti se e come sia possibile copiare, imitare, ammirare l’esempio bavarese. Prima di lanciarsi in appassionati o dotti saggi de imitatione Bavariæ è forse il caso però di guardare meglio dentro alle urne e a ciò che ad un tale voto ha condotto. Per uno sguardo di questo genere partiamo con una carta inusuale, quella dei secondi classificati, che rivela non poche informazioni di valore.

Secondo partito per collegio elettorale in Baviera

SecondoVoto
Fonte: Süddeutsche Zeitung

I Verdi e la strada verso la campagna. Fiumi d’inchiostro più tumultuosi dei bei corsi d’acqua alpini che solcano le vallate bavaresi sono già stati scritti sulla contrapposizione città/campagna e su tutti i luoghi (non di rado comuni) che si collegano a tale contrasto. Il tripudio dei Verdi nella metropoli di Monaco, coronato dal trionfale 45% raccolto del leader bavarese Ludwig Hartmann nel suo collegio al centro della capitale, è senz’altro interessante, perché raggiunge e supera le quote di consenso del partito ecologista nelle due capitali morali del partito, Friburgo (43% alle regionali del 2016) e Berlin-Kreuzberg (44% nella stessa occasione), facendo così della pragmatica megalopoli prealpina un nuovo cuore pulsante del movimento verde. Fermarsi alle città significherebbe però perdersi la prima, vera lezione delle elezioni bavaresi: il successo dei Verdi è stato così importante perché si è collocato in buona parte “in campagna”, dimostrando come il partito sia in grado di crescere molto oltre la propria identità originaria – urbana, benestante e di sinistra – senza tuttavia perderla per strada. Ancor più rilevante del 45% nel centro della capitale è il consenso ampio e diffuso, sempre intorno al 20%, nella lunga e larga fascia alpina e prealpina della Baviera, fra panorami da cartolina, mucche al pascolo e contadini cattolicissimi che mai avevano, fino a questo momento, voltato le spalle alla CSU. Proprio nella regione dell’Alta Baviera, un tempo roccaforte inespugnabile, le perdite per il partito di governo sono state molto più intense che altrove (-12,4%). Il successo dei Verdi, tutt’altro che solo urbano, si è dimostrato radicato anche in amplissime zone rurali al centro ed al nord della Baviera, mentre persino nelle aree dove gli ecologisti sono andati relativamente “peggio” (10,7% in Bassa Baviera, dove nessun comune supera i 70.000 abitanti) i consensi si aggirano comunque intorno al doppio del risultato che il partito fece un anno fa in Nord Reno-Vestfalia, l’altro gigante fra i Länder tedeschi. Della serie, averne di campagnoli così!

Freie Wähler di lotta e di governo. Accanto ai giovani e dinamici Verdi bavaresi l’altro grande vincitore è Hubert Aiwanger, leader di quei “Liberi elettori” di cui pochi (ma Kater fra questi) sinora avevano parlato ma che ora si avviano al balzo decisivo sui banchi del governo. Questa formazione civica che si è fatta le ossa in decenni di battaglie locali ed esprime ormai centinaia di sindaci ed amministratori comunali è stata premiata dagli elettori per il pragmatismo, la moderazione e l’attenzione a tematiche spesso trascurate, come lo spopolamento delle aree interne. Proprio quest’ultimo argomento, una vera e propria “specialità” dei Freie Wähler, ha portato in dote alla lista risultati ragguardevoli in quelle zone montane fortemente contrassegnate da fenomeni di calo demografico che un anno fa alle elezioni federali avevano premiato più che altrove la destra di AfD (ne avevamo parlato già qui). La “marea arancione” che nella nostra mappa si vede al centro ed all’est della Baviera sta a testimoniarlo. Vedere nei FW una versione mansueta di AfD non rende però giustizia a questa super-lista-civica che ha fatto di un pragmatismo centrista e del radicamento territoriale le sue bandiere, certo aiutata dallo sciolto eloquio e dal fiuto politico del suo leader Hubert Aiwanger. Questo agronomo entrato in politica relativamente tardi e con alle ormai spalle una gavetta di tutto rispetto (dai consigli comunali ai banchetti per i referendum), costellata non solo di successi, potrà ora sedere al tavolo del Consiglio dei ministri a fianco del quel Markus Söder che lui stesso, qualche mese fa, definiva dittatoriale. Interrogato in merito, Aiwanger ha ovviamente declassato tale definizione come scaramucce da campagna elettorale: ora è tempo di governare!

La Baviera delude l’AfD. Quando durante la diretta twitter #Baviera2018 per Kater e YouTrend abbiamo scritto:

le risposte polemiche non hanno tardato ad arrivare. Ed è sano così. Ora che però lo spoglio s’è concluso ed i risultati definitivi hanno ulteriormente ridimensionato quel risultato, facendo attestare AfD al 10,2% dei voti, è il caso di spiegare su che basi e con quali considerazioni si può affermare che la Baviera abbia deluso la destra radicale di AfD. A differenza dell’Assia, Land di nascita di AfD dove si rivoterà fra una settimana, alle precedenti elezioni nel 2013 la formazione di destra estrema non s’era presentata e quindi anche un solo voto preso ora sarebbe stato, ragionieristicamente parlando, un aumento. Il dato politico e sociale è tuttavia un altro: il momento decisivo per la storia di AfD è la crisi dei profughi nel 2015, a seguito della quale il partito ha rafforzato enormemente la propria crescita e scatenando una serie di fenomeni a catena, fra cui non ultimo il tentativo di inseguimento a destra (o di riconquista) degli elettori messo in atto dalla CSU di Seehofer (e Söder). Da quella crisi nell’autunno 2015 AfD aveva sempre segnato risultati in crescita continua, culminati nel 12,6% alle elezioni federali del settembre 2017 che le hanno dato il ruolo di principale opposizione nel Bundestag. In quel contesto, la Baviera era stata il Land dell’ex Germania Ovest a portare in dote ad AfD il risultato migliore, un 12,4% concentrato soprattutto nelle zone interne della Baviera orientale di cui si diceva poc’anzi. Questo 12,4% è il dato saliente, non solo perché il partito stesso lo aveva eletto a soglia minima da superare per potersi dire soddisfatti, ma anche perché non di rado AfD è risultata alle elezioni nei Länder più forte che a livello federale, come il 15,1% in Baden-Württemberg e le cifre oltre il 20% negli stati della ex Germania orientale dimostrano. La Baviera non poteva fare eccezione, e invece l’ha fatta, consegnando ovunque alla destra radicale risultati inferiori alle cifre di un anno fa.

Che il risultato sia stato dunque deludente per AfD è chiaro. A pesare è stata sicuramente la concorrenza di partiti “regionali” forti, come la CSU ed i FW, in grado – in particolare questi ultimi – di drenare parte di quel malcontento economico-sociale su cui altrove AfD costruisce avida le proprie fortune. Anche l’assenza di una leadership forte e marcatamente bavarese ha pesato, tanto che il partito non è neppure riuscito ad individuare un unico Spitzenkandidat, candidato di punta, da presentare agli elettori e che ad una settimana dal voto a tenere banco è la lite fra chi dei 22 eletti al Parlamento di Monaco dovrà avere il ruolo di capogruppo. Ad un’analisi più approfondita emerge però un dato più interessante: con le preferenze (presenti nel sistema elettorale bavarese) gli stessi elettori di AfD hanno premiato i candidati meno estremisti del partito, quelli dell’ala cosiddetta “nazional-conservatrice”, lasciando ai margini (e senza seggio) diversi esponenti più oltranzisti, come ad esempio Benjamin Nolte da Regensburg, considerato la longa manus sul Danubio del ben più famoso e discusso Björn Höcke. Anche se non è, per i critici di AfD, il caso di esultare anzitempo, rimane comunque agli atti il primo significativo segno meno nella parabola della formazione di destra.

La lezione che da tutto ciò, e dal più che deludente risultato per una CSU che da almeno tre anni si era gettata all’inseguimento di retoriche e tematiche populiste, basate sull’invidia e la paura, si può trarre, la riassume Barbara Stamm, Presidente uscente del Parlamento bavarese: “A destra dello schieramento non si guadagnano più voti di quelli che, facendo ciò, si perdono al centro”. La Stamm, figura di punta dell’ala cattolico-sociale della CSU, a queste elezioni ha perso il seggio. Il suo monito però è la vera lezione di politica che ha dato la Baviera.

Edoardo D’Alfonso Masarié
@furstbischof

*Una versione riveduta di questo articolo è apparsa anche sul sito di YouTrend

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