Alle 18 di domenica sera, in uno dei pochi giorni soleggiati di un maggio per il resto freddo e piovoso, la Germania si scopre europeista e verde, con una geografia politica molto variegata al suo interno. O meglio, forse europeista e verde la Germania lo era già, ma finora alcuni elementi ne avevano offuscato l’immagine, facendoci apparire spettacolari prima i trionfi di Angela Merkel poi una montante marea bruna (il colore dei nazisti, volentieri associato anche ai loro epigoni o supposti tali).
In realtà gli elettori tedeschi hanno fondamentalmente reagito. Reagito a cinque anni di critiche feroci all’Europa culminate soprattutto nella Brexit. Reagito ad almeno tre anni (dal 2015 al 2018) di dibattito politico-giornalistico ipnotizzato dal tema dei profughi, che ha regalato alla destra di AfD un’attenzione che altrimenti mai avrebbe ottenuto. Reagito alla crisi ormai più che decennale della SPD, che dalla caduta di Schröder non ha fatto altro (a parte qualche sparuta eccezione) che dilaniare se stessa. Reagito a quanto gli ultimi cinquant’anni di dibattito pubblico hanno sedimentato nella coscienza collettiva di un Paese dove mangiare il gelato con il cucchiaino ecologico in legno non è un vezzo radical-chic, ma una tradizione ormai diffusa.
E quindi così si spiega un’affluenza in aumento vertiginoso (dal 48% al 61%), finalmente coerente con la proposizione – ripetuta in campagna elettorale da tutti – secondo cui il Parlamento europeo si rafforza soprattutto andando a votare. E si spiega il trionfo dei Verdi, che ereditano dalla SPD il ruolo di secondo partito e superano per la prima volta a livello federale la quota del 20%, quella che sì, ti fa diventare grande. Ma andiamo con ordine, un gruppo politico alla volta.
EXTRA BAVARIA NULLA SALUS. La frase “Al primo posto si conferma la Union democristiana di Angela Merkel” è vera. Però racconta poco. Non dice ad esempio del brutto colpo subito dalla sola CDU, che si ferma al 22,6% (che diventa 26% se escludiamo del tutto dal conteggio la Baviera, dove la CDU non esiste). Non un risultato cattivissimo, ma ben lungi dall’essere una vittoria. La CSU nella sua Baviera può gustarsi invece soddisfatta una vittoria netta, il 40,7%, dimostrando che la svolta europeista e centrista impressa da Manfred Weber e Markus Söder ha salvato il partito dai trend negativi del recente passato. Senza il granaio di voti bavaresi l’Union dovrebbe farsi serie domande sulla sua capacità di resistere a lungo come prima forza politica. E quindi se mai Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) vorrà succedere ad Angela Merkel nella Cancelleria di Berlino, dovrà esserle chiaro senza l’appoggio fattivo della CSU non ha speranze. D’altro canto altrettanto chiaro è che un “effetto-Weber” c’è stato solo nella di lui natia Baviera, senza portare benefici alla sorella CDU: un segnale abbastanza chiaro del profondo scetticismo con cui gli altri tedeschi guardano i cugini prealpini e che dovrebbe mettere un chiaro paletto ai sogni di chi a Monaco fantasticasse di un candidato cancelliere proveniente da quelle latitudini. Esperimento che peraltro è già due volte fallito, nel 1980 con Franz Joseph Strauß e nel 2002 con Edmund Stoiber.
TRIONFO VERDE. Qualcuno ha detto che Greta Thunberg abbia vinto le elezioni in Germania senza né poter votare (per l’età) né essere tedesca. In realtà la tendenza di grande rafforzamento dei Verdi (con la V maiuscola) non è di ieri e l’avevamo già commentata su Kater a proposito di Assia e Baviera. E soprattutto gli elettori tedeschi sono ormai molto verdi (con la v minuscola), come dimostrano alcuni dati. Non solo fra la spensierata gioventù, ma fra tutti gli elettori sotto i 60 anni i Verdi sono ormai il primo partito, solo i pensionati salvano ancora la CDU. Con un consenso ormai stabilmente omogeneo e diffuso fra tutte le età, le regioni e le categorie lavorative i Verdi sono lanciati in una corsa che potrebbe vederli confermati come secondo polo della politica tedesca (al posto della SPD), con legittime aspettative alla guida del governo federale.
L’EST ED AFD. La destra di AfD raggiunge nel suo complesso un risultato mediocre (11%), che letto nella sua crudezza ricorda la famosa “media del pollo”. Per capire AfD occorre sfogliare almeno una mappa, quella del suo consenso per Länder:
Mentre nella ex Germania Ovest AfD si mantiene ovunque sotto il 10% e si conferma ai margini del sistema politico, nella ex DDR i consensi per la destra radicale oscillano fra il 18 ed il 25%, incoronando AfD come partito dominante del dibattito pubblico in quella parte di Paese. Il primo posto di AfD in Brandeburgo e soprattutto in Sassonia, dove il 1° settembre si rinnoverà il Parlamento statale, fa sorgere ai più legittime preoccupazioni. In quei Länder sono ormai solo possibili coalizioni pressoché casuali fra tutti gli “altri”, allo scopo di tenere la destra radicale lontana dal potere, ma logorando un panorama politico che non può vivere di sole alternative negative. A trent’anni dalla Riunificazione delle due Germanie celebrata al grido di “Noi siamo il popolo!” (Wir sind das Volk!” scandivano i cittadini in rivolta nella esanime DDR) la Germania di oggi si scopre ancora molto divisa secondo linee di faglia facili da identificare, ma assai difficili da rimarginare. Die Grenze (il confine) è per molti ancora lì.
AGLI ALTRI LE BRICIOLE… A perdere, quasi in odor di necrologio, sono i Socialdemocratici: la SPD ottiene con il 15,8% il peggior risultato in un’elezione pan-tedesca dalla fondazione del partito nel remoto 1890. Ciliegina sulla amara torta sono le elezioni nella città-stato di Brema, dove si votava insieme alle europee: qui la SPD cade al 25% e perde nella ormai ex regione rossissima un primato che durava dalla fine della Guerra. Calice non meno dolce per la Linke, che perde soprattutto ed Est, e per i Liberali (FDP) che con il 5,4% si attestano mediocri nella parte bassa della classifica.
…E AGLI “ALTRI” GLI ALLORI. Sorridono invece gli “altri”, i partiti piccoli che solitamente neppure vengono nominati e che invece in questa elezione senza soglie di sbarramento (ne avevamo parlato qui) sono stati particolarmente premiati dagli elettori. Raddoppiano i seggi (da 1 a 2) sia i civici Freie Wähler (da poco al governo insieme alla CSU in Baviera) sia il partito-satira Die Partei, che quadruplica i suoi voti. Vengono premiati altresì gli ecologisti di ÖDP (della cui battaglia sulle api e la biodiversità avevamo parlato qui) ed il movimento paneuropeista VOLT. Non ce l’ha fatta invece la coalizione paneuropea DiEM-25, che in Germania aveva come capolista l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: nonostante sale piene ed un buon interesse mediatico l’economista ellenico rimarrà fuori dall’emiciclo strasburghese. Non una sorpresa enorme, se pensiamo che alla fine a doverlo votare erano pur sempre i tedeschi.
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