Quest’anno che finisce con un 9 è ricco di celebrazioni e anniversari per i tedeschi e la loro storia.
Iniziato a febbraio con il centenario della prima seduta del Parlamento della Repubblica di Weimar, proseguito con i settant’anni del Grundgesetz (la Costituzione), vedrà a novembre il trentennale della caduta del Muro di Berlino, l’evento che ha posto fine alla Guerra Fredda – e al secolo breve – e ha riconsegnato al mondo un’unica Germania.
Naturalmente ci saranno grandi feste e innumerevoli articoli sui giornali, commenti di storici ed autorevoli opinionisti e reportage che si interrogheranno su una Wiedervereinigung (la riunificazione) che, a trent’anni di distanza, rimane molto problematica e lascia ancora tante domande senza risposta.
Forse giusto una ne potremo avere, di risposta, in autunno: ma è improbabile che ci piacerà.
Fra il primo settembre e il 27 ottobre, infatti, si terranno le elezioni regionali (Landtagswahl) in tre Länder dell’est, Brandeburgo, Sassonia e Turingia: tre Länder dove AfD è fortissima e rischia, almeno in due casi, di ritrovarsi primo partito.


Da tempo in Germania ci si interroga su queste peculiarità dell’est, sul perché la linea di confine, formalmente spazzata via con la Wiedervereinigung, continui ad aleggiare sulle teste dei tedeschi come un fantasma, sopravvivendo alla propria dipartita. Moltissimi fattori sono stati chiamati in causa, dalla scarsa “propensione alla democrazia” dei cittadini dell’ex DDR, abituati a vivere in una dittatura, alle carenze del processo di riunificazione, descritto spesso più come un vero e proprio inglobamento da parte dell’ovest che un’autentica costruzione di una nuova Germania unita. Alcuni giorni fa, però, è stato pubblicato uno studio condotto dalla Friedrich-Ebert-Stiftung (fondazione vicina alla SPD), che su questo tema risulta davvero illuminante.
I ricercatori della fondazione hanno individuato una serie di parametri relativi alla qualità della vita, con l’obiettivo di “mappare” il Paese in base ai diversi livelli elaborati. Sono stati presi in considerazione numerosi elementi: dal reddito medio al costo della vita, dalla dispersione scolastica al tasso di povertà, dalla quantità di aiuti sociali elargiti dallo stato alla partecipazione elettorale, dalla distanza da un ospedale allo stato delle infrastrutture.
Alla fine sono stati isolati cinque livelli, con caratteristiche ben precise, che rappresentano le diverse realtà territoriali tedesche.
Il primo è quello delle grandi città, realtà dinamiche e in costante cambiamento, dove si trovano stipendi alti ma anche un rischio elevato di esclusione sociale, dato il crescente costo della vita: ad esempio Monaco di Baviera, o Amburgo.
La seconda fascia è costituita dalle zone che circondano le grandi città, e qui si concentrano i valori più positivi: i redditi più alti, il tasso di povertà più basso, l’aspettativa di vita più elevata (82 anni) e la maggiore partecipazione elettorale – per tentare un parallelismo, pensate alle colline intorno alle città italiane, dove di solito vanno a vivere le persone più ricche.
Al terzo posto si situa il livello medio, quello che i ricercatori hanno chiamato solide Mitte, il solido centro: uno strato i cui valori sono stabilmente nella media, senza particolari picchi né in positivo né – soprattutto – in negativo.
Con la quarta e la quinta categoria iniziano invece i problemi.
La quarta riunisce le zone rurali in crisi strutturale permanente, quelle dove i redditi sono molto bassi e le infrastrutture in pessime condizioni, dove la partecipazione elettorale e l’aspettativa di vita sono entrambe sotto la media. Infine, al quinto posto si situano le ex-città industriali che non sono ancora riuscite a reinventarsi in un contesto produttivo ed economico profondamente mutato: esempi sono Dortmund, Duisburg o Treviri, comuni tragicamente indebitati dove il tasso di povertá di bambini e anziani e molto più alto della media e dove, tuttavia, le infrastrutture – fisiche e digitali – funzionano meglio che altrove, probabilmente proprio a causa del passato industriale.
Se applichiamo queste cinque categorie ad una cartina della Germania, l’immagine che otteniamo è, come dicevamo all’inizio, decisamente rivelatrice.

Con l’eccezione di Berlino e della zona intorno, quasi tutta l’ex-Germania Est è perfettamente sovrapponibile alla quarta fascia identificata dai ricercatori, quella delle zone rurali in crisi strutturale permanente. Un dato che salta ancora di più agli occhi se osserviamo la mappa dedicata alla distribuzione di ricchezza e povertà.


Se prendiamo in esame le diverse componenti che concorrono a modellare un concetto complicato e a volte scivoloso come quello di “qualità della vita”, dunque, è comprensibile che a est si trovino tutto sommato pochi motivi per festeggiare una Wiedervereinigung che sembra aver fallito nel suo obiettivo principale, restituire all’Europa e al mondo una Germania unita, compatta e uniforme. Anzi peggio: una Wiedervereinigung che sembra non essere mai avvenuta veramente.
Quando la sera del 26 maggio ci ritroveremo a commentare i risultati delle elezioni europee, e soprattutto quando in autunno dovremo provare a spiegare il responso delle urne in Brandeburgo, Sassonia e Turingia, sarà bene tenere lo studio della Friedrich-Ebert-Stiftung a portata di mano.
4 pensieri riguardo “Die Grenze”