Achtung Assi!

Fenomenologia dell’insulto più simbolico della lingua tedesca

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(Foto: Joerg Reuter)

La motivazione più forte, mentre si impara una lingua, è immaginare l’uso che se ne farà una volta che la si padroneggia: leggere in originale tutta la letteratura russa dell’ottocento, capire al volo i testi delle canzoni Brit Pop, guardare Narcos senza sottotitoli, lasciarsi raggiungere dalla poetica di Aznavour.

Ma quando si impara il tedesco, eccettuati i motivi di studio e di lavoro, può succedere che l’immaginario faccia fatica a produrre scenari avvincenti e motivanti.

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Sturm und Drang

Ci vengono in soccorso i social network, amplificando le nostre possibilità di interagire: attivamente, se siamo già a un livello avanzato, o anche solo passivamente, permettendoci di osservare gli altri e fare scorta di quelle espressioni che non sapremmo mai comporre da soli, evitandoci imbarazzanti pause o lunghissime perifrasi che sfiancano l’interlocutore.

Un aspetto ormai imprescindibile delle interazioni sui SSN sono i flame e quindi gli insulti: non possiamo certamente tralasciare questo aspetto della lingua, se vogliamo progredire verso la perfetta padronanza. Gli insulti dicono spesso moltissimo su una società e sulla cultura di un paese: per esempio, gli insulti in tedesco risultano estremamente blandi a confronto con le lingue mediterranee, che sono invece molto esplicite e si dilungano in dettagli.

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In quasi tutti i SSN è difficile osservare un litigio e non trovare prima o poi una parolina di quattro lettere: Assi. Inizialmente può passare inosservata: sarà un acronimo, un riferimento al personaggio di una serie, un’espressione onomatopeica? Chissà.

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Ricercare l’origine di questa parola ci porta molto indietro, circa di un secolo: agli inizi del Novecento, ben prima dei conflitti mondiali e delle profonde trasformazioni derivanti nella società tedesca – molte delle quali ancora non completamente risolte.

Assi sta per Asozial.

Per significato e uso lungo il corso della storia è un caso speciale nella lingua e società tedesche. E’ un concetto, oltre che negativo, sorprendentemente longevo. Fa la prima comparsa agli inizi del Novecento, con un’accezione puramente scientifica in ambito sociologico e psicologico grazie ai lavori di Durkheim e di Freud che definiscono il bambino come soggetto “a-sociale”, intendendolo come “non ancora socializzato” in quanto ancora privo degli strumenti necessari a interagire socialmente.

durkheim

Le teorie che si diffondono rapidamente in quegli anni individuano un grave rischio: se lo stato di asocialità alla nascita, di per sé neutro, non viene opportunamente corretto, il bambino rischia di trovarsi in una condizione permanente di Asozial nella vita adulta – con conseguenze indesiderabili sia per l’individuo che per la collettività. Per far fronte ai rischi prospettati, lo stato tedesco predispone quindi interventi di sostegno all’avanguardia per lo standard del tempo: si aspira a promuovere l’integrazione sociale, sostenere istruzione e cultura, e contrastare attivamente gli effetti della povertà. Ma a dispetto delle buone intenzioni iniziali, già nel 1910 gli Asozial si collocavano al livello più basso dei beneficiari degli aiuti sociali (Fürsorgeempfänger) ed erano fortemente discriminati per via delle caratteristiche marginalizzanti a cui erano associati: disoccupazione permanente, povertà estrema,  coinvolgimento in attività illecite per sopravvivenza (elemosina, piccoli furti). A testimonianza, nel 1929 il termine compare per la prima volta nel dizionario della lingua tedesca, ed è da subito registrato con l’accezione negativa.

Con l’avvento del Nazismo, gli intenti inclusivi delle prime politiche di integrazione sono ormai dimenticati e l’attenzione si sposta dalle caratteristiche teoriche della anti-socialità all’individuo che ne è portatore: gli Asozial non sono più persone incolpevoli a cui indicare la retta via, ma diventano soggetti da eliminare, perché espressione di caratteristiche indesiderate di cui ripulire la società. Dal 1938 il triangolo nero capovolto indica gli Asozial nel sistema che contrassegna i prigionieri dei campi di concentramento.

L’articolo §361 del codice penale del Reich indica come punibile con la reclusione chi 1) vaghi senza fissa dimora; 2) viva di elemosina; 3) pur beneficiando di aiuti economici dello stato, rifiuti di svolgere il lavoro assegnatogli dalle autorità in base alle sue capacità, perché Arbeitsscheu – termine che indica una innata propensione a rifiutare il lavoro. Ed è proprio l’articolo §361 alla base dell’internamento e dello sterminio delle persone stigmatizzate come Asozial.

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Rifacendosi al codice penale prussiano del 1851,  l’articolo §361 riconduce a un’unica categoria riassuntiva un insieme di caratteristiche già largamente disprezzate da generazioni, connotandole però non più solo come indesiderabili per lo sviluppo armonico della società, ma come pericolose per l’esistenza della comunità stessa e quindi da rifiutare e debellare con ogni mezzo.

Come appare chiaro, il significato scientifico originario del termine Asozial è definitivamente perso.

Al termine della guerra, tra tutti i gruppi di vittime della persecuzione nazista gli Asozial furono gli unici a non avere diritto al riconoscimento dello status di vittima, e di conseguenza non ottennero alcuna forma di sostegno, di indennizzo o di riabilitazione sociale. Il motivo di questo trattamento a sua volta discriminatorio non è chiaro, ma si ipotizza che il forte stigma contro gli Asozial fosse già così saldamente radicato da ben prima dell’avvento del nazismo, da impedire di comprendere e valutare correttamente l’impatto delle persecuzioni sulle vittime. Vittime ancora una volta, dunque.

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Pietre d’inciampo a Francoforte dedicate a Karl Schmitt e Margarete Schellhaas, che furono perseguitati e uccisi in quanto Asozial.

Dal 1945, il termine Asozial trova ancora un ruolo nella burocrazia e nelle istituzioni della DDR (Deutsche Demokratische Republik – la Germania Est) per indicare chi non si conforma alle regole del vivere in società e, in particolare, chi cerca di sottrarsi al lavoro – responsabile di privare così la collettività del proprio contributo e di vivere da parassiti sociali, approfittando del lavoro altrui e delle risorse così prodotte.

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L’eredità dello stigma e dell’accanimento nazista si ritrova ancora nell’articolo § 249 del codice penale della DDR (Gefährdung der öffentlichen Ordnung durch asoziales Verhalten – Attentato all’ordine pubblico mediante comportamenti anti-sociali), che rende perseguibile con una pena fino a due anni di reclusione chi 1) rifiuta di lavorare, pur essendo abile al lavoro; e 2) è dedito alla prostituzione o interferisce in altro modo con l’ordine e la sicurezza pubblica tramite comportamenti anti-sociali. In caso di recidiva, la pena poteva aumentare fino a 5 anni e portare ad altre restrizioni della libertà personale. Da notare come il rifiuto del lavoro, e la conseguente idea di parassitismo sociale, già un elemento presente nel codice prussiano, passino intatti per gli anni del nazismo e arrivino infine alla DDR.

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Il picco di condanne è del 1977 con 14.000 casi, prima dell’abolizione definitiva dell’articolo §249 avvenuta nel 1988.

Tra coloro che sono stati Asozial nella DDR c’è anche Sarah Wagenknecht, attualmente capogruppo della Linke al Bundestag: nel 1988, al termine del percorso scolastico, non era stata autorizzata a proseguire gli studi perché si era rifiutata di partecipare alle lezioni di protezione civile (Zivilverteidigungsunterricht), una sorta di addestramento pre-militare obbligatorio nella DDR. Costretta ad abbandonare il percorso di studi, trovò un posto di segretaria alla università Humboldt a Berlino. Appena dopo tre mesi però lasciò il lavoro: una scelta che nella DDR non era concepibile per il singolo individuo, che non poteva rifiutare un impiego a proprio piacimento senza andare incontro a gravi conseguenze, ma doveva invece portare il proprio contributo al bene collettivo.

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    Sahra Wagenknecht nel 1982 e adesso, molto apprezzata dai tedeschi per l’aspetto fisico.

Nell’attuale società tedesca, il termine Asozial non trova più posto né nelle istituzioni né nella burocrazia: anzi è considerato politicamente scorretto. Il termine scientifico è stato sostituito con altri più aggiornati, al progredire delle discipline che se ne interessano.

Asozial è ancora in uso nel linguaggio colloquiale, con intenti più o meno offensivi, però molto lontani dal significato originale.

La satira occasionalmente lo usa contro personaggi in vista. Recentemente Die PARTEI (partito tedesco fondato dai redattori della rivista satirica Titanic) ha creato l’hashtag #IchBinEinAssi – “io sono un Assi” – e l’ha usato, tra gli altri, contro il ministro dell’Interno Seehofer, per via della sua posizione sull’immigrazione, ben nota anche all’estero e molto contestata.

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Extra 3 (programma tv satirico trasmesso su Norddeutschen Rundfunk e e su Das Erste) nel video “Asoziale Marktwirtschaft” – economia di mercato asociale – se la prende con il CEO di Siemens, Joe Kaeser, per via della sua gestione aziendale fortemente orientata al profitto e, secondo le critiche, troppo spregiudicata e sbilanciata a compiacere gli investitori a scapito dei lavoratori. A fine 2017 Kaeser annuncia la chiusura di alcune sedi Siemens e la conseguente perdita di molti posti di lavoro (circa 3400 in tutta la Germania) in risposta alle variazioni nel mercato delle turbine eoliche – area in cui recentemente Siemens ha trovato spazio proprio grazie a Kaeser. Una decisione molto criticata da più parti e definita asozial, perché contro una parte importante della società produttiva, i lavoratori. Ma da allora è stata anche giustificata e difesa.

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Accuse di essere “asozial” rivolte da Wagenknecht (sx) a Joe Kaeser (dx)

Nell’uso comune contemporaneo, Asozial copre uno spettro discretamente ampio che più o meno include quelli che in italiano chiameremmo tamarri, truzzi, burini o in alcuni casi solo poracci: in genere persone di bassa estrazione sociale o chiunque sia socialmente impresentabile a vario titolo, di solito in ristrettezze economiche che li costringono a comportamenti gretti o da “arraffoni”. Si potrebbe oggi forse trovare un collegamento con i beneficiari dello HARTZ IV – un piano di sostegno statale per disoccupati, disponibile a determinate condizioni, che si rivolge a chi è rimasto a lungo fuori dal mondo del lavoro e ha estreme difficoltà a rientrarci.

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Gli Assi sono un tema molto popolare per le feste “Mottowoche” dell’Abitur (la maturità degli studenti tedeschi)

A differenza del passato, però, Assi è oggi una categoria soprattutto estetica, non discriminata come un tempo, ma presa di mira bonariamente. Asozial oggi è usato con ironia e con solo un pizzico di remora al di fuori di contesti confidenziali, come succede un po’ in tutte le lingue con i termini politicamente scorretti. Come si intuisce, non è certamente tabù.

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Estetica Assi, look disponibile su ebay.de

In che contesti quotidiani si sente o si legge oggi Assi/Asozial?

Si trovano spesso commenti e dichiarazioni nei quotidiani che non esitano a definire Assi chi non rispetta all 100% le regole del vivere in società, con sfumature più o meno animate.

Per esempio, se qualcuno entra in un negozio per provare i vestiti, ma poi li compra online per risparmiare, il commerciante si lamenta di questi terribili Asozial. Se i turisti si comportano da selvaggi a Maiorca (meta preferita dei tedeschi per le vacanze), si parla di Assi-Tourismus per indicare il fenomeno.  E così via. Per approfondire, si può consultare questa guida alla vita da Asozial: piccoli e grandi gesti che ci rendono insopportabili al prossimo, soprattutto in un Paese in cui ad essere smaccatamente individualisti si commette un grosso peccato.

Per tenersi sempre aggiornati, si può invece consultare regolarmente l’hashtag dedicato su instagram (#asozial) e quello su twitter (https://twitter.com/hashtag/asozial).

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Nessuno è immune: CR7 che non paga le tasse è Asozial!

Infine, se siete stati apostrofati come tali o se vi è sorto un dubbio sulla vostra personalità, potete approfittarne e fare alcuni test per determinare se siete voi stessi degli Assi.

Attenzione: gli introversi partono svantaggiati e potrebbero avere brutte sorprese.

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Non prendetevela a male, se fosse il caso: come si è cercato di spiegare, è un concetto in transizione e oramai lontano dallo stigma del passato.

Quel che sorprende è tuttavia la sua longevità: sembra infatti destinato a rigenerarsi di nuove caratteristiche negative, ma sempre più blande al variare dei requisiti necessari per una piena vita sociale in Germania.

 

Francesca Vargiu

@GraceVanFruscia 

1 commento su “Achtung Assi!”

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