Una poltrona per tre

La CDU si prepara ad affrontare il post-merkelismo

Il voto del 28 ottobre in Assia ha assunto un’impor­tanza del tutto particolare e decisamente inaspettata alla vigilia. Alla luce di quanto successo in Baviera due settimane prima, infatti, le elezioni nel Land di Francoforte sono diventate un test decisivo per la tenuta del governo nazionale e soprattutto per Angela Merkel, chiamata a un risultato che le garantisse di blindare la sua ricandidatura alla guida della CDU al congresso di inizio dicembre.

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I tre candidati: da sinistra Friedrich Merz, Annegret Kramp-Karrenbauer, Jens Spahn (Foto: dpa)

Sappiamo com’è andata: la CDU in Assia ha perso parecchio, pur senza precipitare a livelli bavaresi, e Merkel è stata costretta al “grande passo” – l’annuncio che avrebbe ritirato la sua candidatura, e che alla fine dell’attuale mandato, nel 2021, avrebbe lasciato la politica.
La Cancelliera si ritira: è davvero la fine di un’era.
Anche in Germania, naturalmente, si sono letti moltissimi editoriali dedicati a trarre un bilancio di questi dodici anni di merkelismo, e una differenza con l’Italia salta subito agli occhi.
Da noi Angela Merkel è di solito rappresentata come un esempio di grande statista, un raro animale politico in grado di attraversare indenne i grandi cambiamenti globali di questi anni e di lasciare il proprio segno sul mondo in cui viviamo; e se questo da un lato è certamente vero – dopotutto non si resta dodici anni al comando se non se ne ha la stoffa – dall’altro lato in Germania “merkelismo” ha assunto una connotazione decisamente diversa, e meno lusinghiera.
Come spesso capita quando si ha a che fare con la politica tedesca, per capire meglio ci viene in aiuto una famosa trasmissione satirica, extra3, che un anno e mezzo fa ha dedicato uno sketch proprio al merkelismo dipingendolo come una vera e propria patologia: l’incapacità di prendere una posizione e restare sempre un po’ in balia degli eventi, in attesa che le cose si risolvano da sole. Nello sketch di extra3 la “malata di merkelismo” è Petra S., giovane donna che da quando ha contratto l’infezione si trova, ad esempio, a non sapere che strada prendere agli incroci, se andare a destra o a sinistra, o a sostenere una cosa ma anche subito dopo il suo contrario.
Effettivamente Merkel è stata spesso al centro di numerose critiche per questo suo atteggiamento, questa capacità di “addormentare” il dibattito smussandone sistematicamente gli angoli più spigolosi che però, secondo molti osservatori, è anche il segreto della sua longevità politica. Chi ha assistito ai comizi della Cancelliera conosce bene la formula: una frase per chi vota CDU, una frase per chi vorrebbe votare SPD ma alla fine si fa andare bene anche la CDU se c’è Merkel – in ossequio a quello che la Zeit ha chiamato Prinzip Linsensuppe, il “principio della zuppa di lenticchie”: un piatto certo non spettacolare né particolarmente raffinato, ma nutriente e privo di controindicazioni. Proprio come una zuppa di lenticchie, Merkel magari non sarà niente di eccezionale, ma almeno non riserva brutte sorprese.
Questa strategia ha permesso alla Cancelliera, negli anni, di occupare il centro dello scenario politico, e l’ha resa il punto di riferimento di una prospettiva moderata ed autenticamente “centrista” – in grado cioè di sottrarre agli avversari posizioni e proposte e di spostarsi un po’ a destra e un po’ a sinistra a seconda delle necessità e dell’occasione. Evitando con cura di puntare su scelte radicali, sempre a rischio di scontentare qualcuno, Merkel ha messo in opera una “demobilitazione asimmetrica” (asymmetrische Demobilisierung), uno stratagemma teso a raffreddare l’elettorato altrui più che a galvanizzare il proprio. Riportando il dibattito a poche coordinate genericamente condivisibili, un confortevole weiter so (“avanti così”) appare evidentemente come l’opzione più ragionevole.
Non è un caso che l’inizio della parabola discendente del merkelismo sia coincisa con la crisi dei migranti del 2015, quando cioè Merkel si è discostata dal suo tradizionale modus operandi ed ha imboccato con decisione una strada ben precisa: una coraggiosa mossa di apertura e solidarietà, riassunta in quel suo famoso Wir schaffen das, “ce la facciamo”, che le ha dato grande credito politico e morale all’estero – facendola combaciare con quell’immagine di grande statista che da fuori ne abbiamo – ma le ha anche procurato numerosi grattacapi in patria.
Ed è un po’ in una situazione simile che si ritrova ora tutta la CDU, alla vigilia di un congresso che dovrà non solo eleggere un nuovo leader, ma soprattutto stabilire che direzione prendere – e se prenderne una. Dovendo scegliere fra tre candidati che rappresentano in maniera piuttosto chiara il bivio che il partito ha di fronte: la comodità di una strada già battuta e familiare, o lo strappo di una svolta (più o meno) radicale.

I tre candidati

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Sempre per quella storia che, bene o male, i Simpson ci prendono sempre

La favorita per la successione è l’attuale Generalsekretärin (“segretaria generale”), Annegret Kramp-Karrenbauer – o, come spesso la chiamano i giornalisti tedeschi riferendosi alle sue iniziali, AKK.
Kramp-Karrenbauer è, da molti punti di vista, una prosecuzione del merkelismo con altra denominazione: centrista moderata, conservatrice nei valori ma più tendente a sinistra quando si parla di economia, l’anno scorso è stata riconfermata alla guida del piccolo Land del Saarland proprio grazie a questa sua capacità di risultare attraente per tutto l’elettorato, che a molti ha ricordato la pietra angolare del merkelismo. AKK ha il vantaggio di essere distante dall’immagine fredda e distaccata che da sempre contraddistingue la Cancelliera: i tedeschi la vedono come una persona simpatica e alla mano, caratteristiche decisamente nell’agone politico di oggi e molto utili per mobilitare i propri elettori. Già dopo la sua riconferma come Ministerpräsidentin del Saarland si sono fatte molto insistenti le voci sulla sua nomina a “erede designata”, e altro peso si è aggiunto a metà febbraio, quando AKK è stata eletta segretaria generale della CDU: seconda donna a ricoprire la carica fra i cristiano-democratici, dopo – indovinate un po’ – la stessa Merkel (1998-2000).
Kramp-Karrenbauer ha quindi tutte le carte in regola per la successione: molto conosciuta e popolare, di provata esperienza in ruoli di governo (seppur locale) e nelle campagne elettorali, ottima conoscitrice della macchina del partito, sarebbe decisamente la leader a cui Angela Merkel darebbe più volentieri la sua benedizione. Agli occhi di molti, però, AKK è un po’ troppo simile a Merkel, troppo una ripetizione di uno schema già visto per garantire il rinnovamento che i sostenitori della CDU reclamano a gran voce. Insomma, se uno dei problemi è quello che i tedeschi chiamano Merkel Müdigkeit, la “stanchezza di Merkel”, è lecito dubitare che Kramp-Karrenbauer possa rappresentare una cura efficace.
Inoltre, se AKK replica la strategia centrista di Merkel su certe cose si è lasciata scappare dichiarazioni un po’ troppo a destra: dopo l’approvazione della legge sul matrimonio egualitario sono riemerse alcune sue ardite affermazioni in cui equiparava le nozze gay all’incesto e alla poligamia. In una fase come quella attuale, in cui il centro politico tedesco è sempre più occupato dai Grünen che invece sui diritti civili sono da sempre all’avanguardia, non proprio il modo migliore per recuperare i voti in uscita. Come ha commentato Jan Fleischhauer, editorialista dello Spiegel: “Kramp-Karrenbauer è Merkel, solo un po’ omofoba”.

Il secondo candidato in campo per la guida della CDU è Friedrich Merz, vecchia conoscenza della politica tedesca. “Vecchia” perché, dopo diversi anni ai vertici dei cristiano-democratici, Merz dal 2009 è sostanzialmente sparito dai radar, avendo scelto di non ricandidarsi alla fine del suo quarto mandato da parlamentare. E dire che aveva ricoperto ruoli di assoluto primo piano: 5 anni al Parlamento Europeo, 15 anni al Bundestag, dove fra il 2000 e il 2002 è anche stato capogruppo e leader dell’opposizione parlamentare, ed esperto per le questioni finanziarie del candidato Cancelliere Edmund Stoiber durante la campagna elettorale del 2002. Il suo nome è diventato familiare per i tedeschi grazie alla sua proposta di radicale semplificazione del sistema fiscale, modellata su tre aliquote (12%, 24% e 36%) in base al reddito – e accompagnata da una famosa dichiarazione secondo cui ogni cittadino dovrebbe poter calcolare le proprie tasse su un Bierdeckel, il sottobicchiere su cui tradizionalmente, nelle Kneipe tedesche, i camerieri calcolano le consumazioni di birra.
Dopo la sconfitta di Stoiber nel 2002, e la riconferma di Schröder alla Cancelleria, qualcosa si è frapposto fra Merz e le sue ambizioni di governo, o meglio qualcuno: Angela Merkel. Merz era parte di quel gruppo che cercò senza successo di impedire l’ascesa della Mädchen di Helmut Kohl; è anche per questo che la sua candidatura alla guida della CDU, annunciata immediatamente dopo la notizia del ritiro della Cancelliera, ha dato nuovo vigore alla narrativa dell’ “anti-Merkel”. Merz, insomma, sembrerebbe pronto a riprendersi tutto, e con gli interessi.
Da un punto di vista strategico, infatti, il suo è il profilo ideale. Se l’obiettivo è rinnovare il partito dopo la stasi del merkelismo, chi meglio di una delle sue prime e più eminenti vittime per lanciare un segnale forte di rottura col passato e voltare pagina? In più, Merz potrebbe essere l’arma perfetta contro AfD, per recuperare i voti in uscita a destra: decisamente pro-business in economia, l’ “anti-Merkel” prende anche molto sul serio la questione “culturale”, che sta a cuore a molti conservatori. Non solo sostiene una politica migratoria molto più restrittiva – con addirittura una messa in discussione del diritto d’asilo individuale nel Grundgesetz, la Costituzione tedesca – ma soprattutto fa sul serio quando si parla di “identità”. Nei primi anni Duemila, è stato proprio Merz a portare nel dibattito politico il concetto di Leitkultur, termine di origine accademica e di difficile traduzione in italiano. Si potrebbe rendere con “cultura dominante”, e nel suo significato originario, sviluppato dal politologo Bassam Tibi in un suo libro del 1996, indica le caratteristiche comuni che definiscono la modernità occidentale europea: la secolarizzazione, il regime democratico, il pluralismo e la tolleranza.
Traslato nell’agone politico, però, il termine è rapidamente diventato un grimaldello concettuale con cui la destra ha scardinato il modello della società multikulti in nome di un’ “identità tedesca” messa a repentaglio dalla globalizzazione e dai flussi migratori: un passaggio di cui Merz è stato uno dei protagonisti principali.
Il dibattito sulla deutsche Leitkultur non ha più abbandonato la scena, e negli ultimi anni è diventato un perno intorno a cui si articola la discussione su rifugiati e migranti, oltre che un chiodo fisso di AfD: la candidatura di Merz, quindi, potrebbe essere una mossa tatticamente azzeccata per recuperare quei voti che dalla CDU sono scappati verso gli “alternativi”.
Tuttavia in questi giorni sui quotidiani tedeschi si parla di Merz non tanto per le sue proposte o le sue posizioni, ma per il suo portafoglio.
Avvocato di grande successo, e membro dei corporate boards di numerose multinazionali, ha suscitato un certo stupore la definizione che ha dato di sé stesso come facente parte della “classe medio-alta” – sebbene guadagni oltre un milione di euro all’anno e possieda un aereo privato.
Eppure, se un punto debole nella sua candidatura va trovato, non ha tanto a che fare con il suo essere chiaramente parte dell’élite. Il problema è un altro, ed è speculare a quello che ha Annegret Kramp-Karrenbauer. Se AKK è talmente inserita negli ingranaggi della CDU, talmente simil-Merkel da risultare poco credibile come portatrice di rinnovamento, Merz è praticamente fuori dalla vita del partito da quasi dieci anni. Sicuramente l’impressione condivisa da molti elettori cristiano-democratici è che, dopo l’eterna leadership Merkel, ora serva un ricambio al vertice, un volto nuovo, un outsider: Merz rischia però di essere troppo un outsider, fuori dal partito da troppo tempo per assumerne agevolmente la guida in questo momento delicato.

Fra i due litiganti il terzo incomodo è Jens Spahn, l’attuale Ministro della Salute.
In tutti i profili a lui dedicati non mancano mai tre elementi fra quelli citati: che è giovane, che è il capofila degli anti-Merkel, e che è gay.
Nato nel 1980, neanche quarantenne, Spahn ha avuto finora una carriera da vero e proprio Wunderkind (“bambino prodigio”) della politica: dopo una breve esperienza nella Junge Union, l’organizzazione giovanile della CDU, è passato subito fra i grandi e già nel 2002 – a 21 anni – è stato eletto con mandato diretto al Bundestag, dove ha iniziato a occuparsi approfonditamente di questioni legate alla sanità diventando rapidamente l’esperto di settore dei cristiano-democratici. Nel 2015 è poi passato come Sottosegretario al Ministero delle Finanze, dove ha lavorato a stretto contatto con una personalità molto influente nell’universo CDU come Wolfgang Schäuble – che però ha già fatto sapere di aver scelto Merz.
Spahn aveva già provato nel 2013 a prendersi un ruolo di vertice nell’organigramma del partito, quando si era proposto come Generalsekretär ma gli era stato preferito Peter Tauber; ora potrebbe prendersi una bella rivincita.
Dal punto di vista politico, Spahn è da qualche anno il primo nome che viene in mente quando si pensa all’ala più a destra della CDU, quella più critica nei confronti della Cancelliera soprattutto riguardo alla questione dei rifugiati. Spahn è sempre stato molto vocale nei suoi attacchi a Merkel, accusata di aver avallato una politica di accoglienza irresponsabile e insostenibile, e aveva dedicato alcuni tweet significativamente entusiastici alla vittoria in Austria di Sebastian Kurz, che per lui – contrariamente a quanto dichiarato da Merkel – è chiaramente un modello da seguire.
In ottimi rapporti con l’ala dura della CSU, Spahn potrebbe essere l’uomo giusto per recuperare il terreno perduto a destra: il che però rappresenta per lui anche un problema. Il suo profilo è molto simile a quello di Merz: solo che come alternativa a Merkel Merz risulta inevitabilmente più credibile. Spahn ha passato gli ultimi anni a coltivare meticolosamente la propria immagine di anti-Merkel: a rompergli le uova nel paniere però è arrivato l’anti-Merkel originale.
Il giovane Ministro della Salute potrebbe essere un candidato più appetibile per l’elettorato giovane, tradizionalmente più sensibile ai temi dei diritti civili. Omosessuale dichiarato, sposato con il redattore berlinese del magazine BUNTE Daniel Funke, Spahn è uno dei deputati CDU che hanno votato a favore dello Ehe für alle, il matrimonio egualitario approvato l’estate dell’anno scorso. Anche Merz è a favore, seppure in maniera un po’ più timida, mentre AKK, come già ricordato, è fortemente contraria. Certo, su altre questioni di tenore analogo – come ad esempio il divieto per i ginecologi di diffondere informazioni sull’interruzione di gravidanza – Spahn non brilla per eccessiva apertura, ma rispetto a molti nella CDU è già qualcosa.

La macchina della successione si è messa in moto poco meno di un mese fa, quando il 15 novembre si è tenuta a Lubecca la prima delle otto Regionalkonferenzen di presentazione dei tre candidati in vista del congresso di Amburgo che inizierà venerdì 7 dicembre. L’impressione è che la partita sia ancora molto aperta: AKK è favorita, ma Merz ha un seguito sempre crescente, tra cui figurano adesioni di un certo peso, e Spahn ha raccolto numerose ovazioni durante i suoi interventi.
Certo è che non si tratta solo di scegliere un leader, ma anche una direzione politica e – soprattutto – una strategia di posizionamento per gli anni a venire. Due sono le opzioni di fronte alla CDU in questo momento: contendere il centro dello spettro politico ai Grünen, sempre più forza progressista e moderata al tempo stesso, autentico competitor per gran parte dell’elettorato cristiano-democratico, o cercare di spostare il centro più a destra, ridefinendo i parametri del conservatorismo in maniera più aggressiva e puntando esplicitamente ai delusi da Merkel che si sono buttati dalle parti di AfD.
Quando sapremo il nome del vincitore, sabato sera, avremo qualche elemento in più per capire da che parte decideranno di andare i pronipoti di Konrad Adenauer.

Edoardo Toniolatti
@AddoloratoIniet

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