Tre uomini e una leadership

Chi sono i tre candidati alla guida della CDU, e perché non è detto che chi vincerà sarà anche il candidato Cancelliere dello schieramento conservatore

Fra pochi giorni la CDU avrà finalmente un nuovo vertice, e si chiuderà la lunga reggenza di Annegret Kramp-Karrenbauer, leader dimissionaria da quasi un anno. Il prossimo weekend si terrà il Parteitag digitale che eleggerà il nuovo Vorsitzender, di nuovo un uomo dopo oltre vent’anni di leadership femminile – 18 anni di guida Merkel e poco più di due di AKK. 

Non sappiamo solo che sarà sicuramente un uomo a guidare la CDU, ma anche da che Land proverrà: tutti e tre i candidati, infatti, vengono dalla Renania Settentrionale-Vestfalia, la regione più popolosa e politicamente rilevante del Paese.

Dovremo aspettare qualche giorno in più per avere la conferma del vincitore: i 1001 delegati si collegheranno sabato per votare, ma le preferenze dovranno essere confermate via posta. Tutta la procedura dovrebbe concludersi entro il 22 gennaio: quel giorno sapremo con certezza chi sarà il nuovo leader della CDU.

Ma chi sono i tre candidati?

Se ponessimo i contendenti su una scala di prossimità ad Angela Merkel, Armin Laschet sarebbe sicuramente il più vicino. 

Armin Laschet (Foto: © picture alliance/dpa)

Il Ministerpräsident della Renania Settentrionale è il candidato della continuità. È centrista come la Cancelliera, e ne ha sostenuto le politiche di accoglienza durante e dopo la crisi dei migranti. Ha un atteggiamento forse un po’ più business-friendly rispetto a Merkel, ma come lei è estremamente pragmatico in politica estera: pur ponendo grande attenzione al rispetto dei diritti umani, si augura una normalizzazione dei rapporti con Cina e Russia, anche per ragioni commerciali. E come la Cancelliera è conservatore nei valori: anche lui infatti ha votato contro il matrimonio egualitario nel giugno del 2017. Laschet sarebbe la prosecuzione del merkelismo sotto altro nome, un tranquillo e rassicurante weiter so (avanti così). In più si è candidato annunciando già il suo vice in caso di vittoria: Jens Spahn, il giovane Ministro della Salute che è stato a lungo una figura di punta del fronte critico nei confronti di Merkel e aveva provato a conquistare la leadership nel 2018

Al momento della sua discesa in campo sembrava potesse essere il vincitore annunciato, in grado di guidare il corpo merkeliano del partito e non scontentare troppo il fronte critico grazie soprattutto al vice Spahn. Ma con il passare dei mesi e l’acuirsi della pandemia le sue quotazioni sono precipitate, soprattutto a causa della sua discutibile gestione della crisi. All’inizio ha minimizzato, consentendo lo svolgimento di grandi eventi rivelatisi poi superspreader, come le feste di Carnevale e le partite di calcio, col risultato di ritrovarsi a marzo e aprile un Land colpito in maniera durissima dai contagi. Poi a giugno lo scandalo dei mattatoi Tönnies, hotspot di nuove infezioni anche a causa delle terribili condizioni di lavoro. Laschet è stato accusato di aver chiuso un occhio un po’ troppe volte, e quando ha reagito alle critiche ha fatto peggio: dopo aver sostenuto che i nuovi contagi sono partiti da “rumeni e bulgari” arrivati per lavorare negli stabilimenti, ha fatto pure la figura del razzista.

La sua popolarità è talmente in calo che tutti i sondaggi lo danno ormai come il meno apprezzato dei tre candidati, sia fra i sostenitori della CDU che fra gli elettori in generale. Un brutto colpo per chi un anno fa sembrava pronto a sbaragliare la concorrenza. 

Non è detta l’ultima parola, però. A metà settembre in Nordreno-Vestfalia si sono tenute le elezioni comunali, e la CDU è risultata il primo partito con il 34,3%: certo ha perso tre punti percentuali rispetto al turno precedente e soprattutto ha ottenuto il peggior risultato alle comunali della sua storia, ma il suo primato non è in discussione. Una boccata d’ossigeno per Laschet, ma chissà se sarà sufficiente per vincere sabato, o quantomeno arrivare al ballottaggio. 


All’estremo opposto della scala, alla distanza maggiore dalla Cancelliera, c’è Friedrich Merz, l’anti-Merkel per eccellenza.

Friedrich Merz (Foto: Getty Images / Lukas Schulze)

Schiacciato dall’ascesa alla superstardom della Kanzlerin, Merz si ritirò dalla politica nel 2009, dedicandosi a una lucrosissima carriera di avvocato e consulente per numerose multinazionali. Tornò in campo quando la sua storica avversaria decise di farsi da parte: e se nel 2018 gli andò male, sconfitto di poco da AKK, stavolta sembra che possa davvero farcela. Merz è ampiamente davanti in tutti i sondaggi, e in molti individuano in lui il candidato ideale per dare finalmente una scossa al partito dopo vent’anni di merkelismo. Le sue posizioni non potrebbero essere più distanti da quelle della Cancelliera: molto più spostato a destra in economia, tema su cui è decisamente il candidato più liberale del lotto, è un fautore della linea dura anche su immigrazione e accoglienza, e ha sempre criticato la gestione della crisi dei rifugiati da parte del governo. È lui all’origine dello sdoganamento a destra del termine Leitkultur, che potremmo tradurre con “cultura dominante”: nato in ambito politologico per identificare i capisaldi della modernità occidentale, è diventato negli anni una parola chiave dei movimenti identitari, che la brandiscono come un’arma a difesa di una ipotetica “identità tedesca” minacciata dalle ondate migratorie e dalla “invasione” islamica. E a favorire questo slittamento è stato proprio Merz, che per primo portò il concetto nel dibattito politico dandogli una profonda connotazione nazionale (e nazionalistica). 

In questo senso la speranza dei suoi sostenitori è duplice. Da un lato, che Merz riesca a dare un taglio al centrismo merkeliano, riaffermando con forza un’identità della CDU uscita molto annacquata da questi vent’anni – tanto che a volte non si riesce a capire bene cosa la distingua dagli altri. Dall’altro, che questa cesura col passato e lo spostamento a destra convincano gli ex-elettori conservatori che si sono spostati dalle parti di AfD a tornare indietro, recuperando così molti dei voti in uscita negli ultimi anni. Sulla carta un ottimo piano.

I problemi però sono due. Uno sta proprio nel potenziale “rivoluzionario” di Merz: la sua forza rinnovatrice lo rende anche un candidato molto divisivo, guardato con sospetto da buona parte del partito che si è ormai abituato al corso merkeliano. Per questa ragione sarebbe essenziale per lui riuscire a vincere al primo turno: all’eventuale ballottaggio è praticamente sicuro che i voti di Laschet e Röttgen si sommerebbero, visto che entrambi sono percepiti come candidati più rassicuranti ed ecumenici. Uno spostamento di preferenze da uno di loro in direzione Merz è francamente da escludere.

Il secondo problema era invece già emerso nel 2018, e ha a che fare col fatto che Merz è in fin dei conti privo di qualunque esperienza a livello amministrativo e governativo. Non ha mai gestito un Land, non ha mai presieduto un ministero, non ha mai ricoperto incarichi istituzionali al di fuori della guida del drappello parlamentare della CDU fra il 2000 e il 2002: un po’ poco per chi vuole dirigere un partito e fare il Cancelliere. 

E poi, volendo, c’è anche un terzo problema: la sua scarsa capacità comunicativa, che lo ha portato più volte al centro di critiche e polemiche a causa di dichiarazioni molto discutibili. Particolarmente tragica la sua uscita sull’omosessualità, durante un’intervista a settembre scorso. Gli venne chiesto se avrebbe avuto qualche problema ad avere un Cancelliere omosessuale, e lui rispose che naturalmente non ne avrebbe avuto alcuno. Ma aggiunse una postilla: “L’orientamento sessuale non è roba che riguardi l’opinione pubblica. Finché si rimane nell’ambito della legge e non si tirano in mezzo i bambini – a quel punto si raggiunge per me un confine invalicabile – non si tratta di un tema per la discussione pubblica.” Un accostamento assolutamente gratuito fra omosessualità e pedofilia, che giustamente gli attirò durissime critiche – e che ha condotto alcuni suoi sostenitori a cambiare cavallo, come ad esempio una delle giovani militanti CDU intervistate dallo Spiegel. Un altro esempio è recentissimo: commentando gli scontri di Washington della scorsa settimana, Merz ha puntato il dito contro i “frustrati di sinistra e di destra”, suscitando reazioni molto decise che gli hanno fatto notare come i terroristi che hanno assaltato il Campidoglio fossero di una parte politica ben precisa, e una sola.

Merz ha dalla sua il sostegno della Junge Union, la sezione giovanile del partito, ma ha contro la Frauen Union, l’organizzazione femminile, per cui andrebbero bene sia Laschet che Röttgen. Visto che dei 1001 delegati che voteranno sabato 300 sono donne, si tratta di un dato da non sottovalutare.


A metà strada fra Laschet e Merz c’è Norbert Röttgen, a lungo considerato un outsider senza reali speranze ma il primo ad essere sceso in campo, undici mesi fa.

Norbert Röttgen (Foto: Hannibal Hanschke/ REUTERS)

Röttgen ha alle spalle una lunghissima esperienza politica: è deputato dal 1994, è stato Ministro dell’Ambiente nel secondo governo di Angela Merkel ed è il Presidente dell’Auswärtiger Ausschuss, la Commissione Esteri del Bundestag. Ha vissuto anche delle significative battute d’arresto: nel 2012 subì una batosta leggendaria alle Landtagswahl del Nordreno-Vestfalia, venendo sconfitto da Hannelore Kraft (SPD) per la guida del Land e portando la CDU al peggior risultato di sempre (26,3%). Un risultato talmente eclatante che dovette dimettersi dal suo Ministero. Tuttavia ha il profilo perfetto del navigato funzionario di partito, a suo agio nelle stanze del potere del Paese e della CDU. 

In questa competizione ha cercato di posizionarsi come innovatore del partito, che vorrebbe più giovane e più femminile, oltre che più attento a temi come la difesa dell’ambiente e la digitalizzazione – questioni su cui sono particolarmente sensibili i giovani, un segmento tradizionalmente difficile per i conservatori. Anche per questo motivo è molto attivo sui social, e ha coniato un hashtag per identificare la truppa dei suoi sostenitori: la #Röttgang.  

Per lui non si tratta di rivoltare la CDU da capo a piedi, alla Merz, ma di compiere der nächste Schritt, il prossimo passo, come recita il suo slogan. Procedere lungo la linea tracciata da Merkel ma modernizzando il partito, le sue strutture e il suo personale di punta. A questo proposito aveva indicato una donna come nuova Generalsekretärin della CDU: Ellen Demuth, trentottenne deputata del Parlamento regionale della Renania-Palatinato. Strada facendo ha però cambiato idea: in caso di vittoria lascerà l’attuale Generalsekretär, Paul Ziemiak, al suo posto. Demuth andrà invece a guidare una non meglio specificata “unità strategica” del partito in vista delle elezioni di settembre. Röttgen ha definito questo nuovo ruolo come un vero e proprio “numero due”, ma in realtà quella sarebbe esattamente la definizione del Generalsekretär, il Segretario Generale, tradizionalmente responsabile dell’organizzazione interna dei partiti tedeschi. Non è una mossa del tutto inedita: anche nel 2017 Angela Merkel nominò Peter Altmaier, suo collaboratore strettissimo e attuale Ministro dell’Economia, come responsabile della campagna elettorale, uno dei compiti che da sempre spettano proprio al Segretario Generale. In questo caso però il sospetto è che si tratti di un tentativo di rinsaldare i legami con chi occupa posizioni strategiche nel partito, soprattutto perché le quotazioni di Röttgen hanno seguito il percorso inverso rispetto a quelle di Laschet. Mentre la popolarità del Ministerpräsident del Nordreno-Vestfalia crollava, quella di Röttgen cresceva, tanto che secondo gli ultimi sondaggi è lui al secondo posto dietro Merz. E se sabato sarà necessario un ballottaggio, arrivare al secondo posto sarà cruciale, proprio per ciò che dicevamo parlando dei problemi legati al “radicalismo” di Merz.

C’è però un problema: nonostante sia un politico CDU di lunghissimo corso, Röttgen non è molto conosciuto al di fuori del partito, non è un volto familiare per i tedeschi come possono esserlo invece Merz o Laschet. Non dobbiamo dimenticare che il nuovo Vorsitzender della CDU sarà anche il naturale candidato alla Cancelleria per l’Union, lo schieramento conservatore: e siamo sicuri che sia una buona idea scegliere un semisconosciuto?

La frase che avete appena letto contiene però un trabocchetto. Ci troviamo infatti in una situazione molto particolare: ci sono ottimi motivi per sostenere che chiunque dei tre vincerà non sarà il Kanzlerkandidat dell’Union. I nomi più quotati al momento sono altri due: quello di Markus Söder, il popolarissimo Ministerpräsident bavarese e leader della CSU, e quello di Jens Spahn, il Ministro della Salute che corre come vice di Laschet ma è corteggiato anche da Röttgen, e che pare abbia sondato nei mesi scorsi le sue possibilità come eventuale candidato alla Cancelleria tramite un giro di telefonate informali con i vertici locali del partito. È già successo in passato che il candidato dell’Union venisse dalla CSU, in due occasioni entrambe andate a finire piuttosto male. Non è mai successo invece che il candidato non fosse il leader di uno dei due partiti fratelli: un’eventualità che per quanto inedita gode del supporto di alcune figure di primo piano come Ralph Brinkhaus, capogruppo al Bundestag, e soprattutto Wolfgang Schäuble, Presidente del Parlamento Federale e potentissimo ex-Ministro delle Finanze. Dichiarazioni che sembrano spingere la candidatura si Spahn, che tra l’altro è da sempre un pupillo di Schäuble, e che sarebbe una scelta apprezzata anche dalla Junge Union. Si tratta pur sempre del ministro più popolare del governo, secondo solo all’inarrivabile Kanzlerin.

Vedremo come andrà a finire sabato, ma una cosa è certa. Appena finita la partita per guida della CDU si aprirà subito quella per il trofeo più importante: la Cancelleria.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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