La Germania può davvero chiamarsi fuori da Nord Stream 2?

Aumentano le discussioni e le ipotesi

“Il gasdotto è politicamente problematico, inutile in termini di approvvigionamento energetico, troppo costoso e incompatibile con gli obiettivi energetici e climatici dell’UE” – un recente commento di Claudia Kemfert, responsabile del Dipartimento Energia, Trasporti, Ambiente del DIW (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung) e Professore di Economia Energetica e Sostenibilità presso la Hertie School of Governance.

È ancora possibile per la Germania sottrarsi agli impegni presi su Nord Stream 2? Per rispondere proviamo a guardare al piano energetico della Germania, ai costi, e agli accordi presi con i paesi limitrofi. 

Il piano energetico della Germania

La cosiddetta Energiewende (transizione energetica) è il processo con cui la Germania intende sostituire gradualmente l’approvvigionamento energetico da fonti fossili con fonti rinnovabili. Obiettivi e scadenze si rinnovano nel tempo: i primi importanti successi ci sono già stati dagli anni ‘90 e hanno visto una riduzione del 27% delle emissioni di gas serra tra il 1990 e il 2014. Il piano più recente si concentra sull’uso di fonti fossili e del nucleare per la produzione di elettricità: è prevista la chiusura di tutti i reattori nucleari entro il 2022 e l’abbandono del carbone entro il 2038. L’obiettivo finale è diventare carbon neutral entro il 2050.

L’attuale produzione di elettricità è così distribuita tra le fonti:

Dato il progressivo abbandono del nucleare e del carbone, l’elemento chiave nella strategia tedesca diventerà il gas naturale: nella prima fase in cui le fonti rinnovabili non saranno ancora in grado di fornire la necessaria energia, il gas naturale farà da supporto per assicurare l’approvvigionamento di elettricità necessario.

Veniamo quindi ai bisogni della Germania, cioè proviamo a quantificare la necessità di gas naturale: l’attuale consumo annuo è di circa 90 miliardi di metri cubi. L’approvvigionamento è attualmente fornito da tre fonti principali, oltre i confini tedeschi: Norvegia, Paesi Bassi e Russia. Solo circa il 10% è coperto da fonti domestiche.

In questo quadro, il Nord Stream 2 si inserisce come fonte suppletiva durante le fasi di transizione della Energiewende. La Germania infatti non è la sola a pianificare la transizione verso le fonti rinnovabili: i Paesi Bassi – più avanti nel percorso rispetto alla Germania – prevedono di abbandonare il gas naturale entro il 2030. Questa circostanza lascerà la Germania scoperta di circa un terzo del suo fabbisogno di gas naturale, in una fase in cui non ci sarà più energia nucleare prodotta internamente e si impiegheranno ancora fonti fossili per circa una decade.

Il Nord Stream 2 non è quindi necessario a coprire l’attuale fabbisogno, ma è pensato per dare un contributo in una fase di transizione delicata.

Dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, il Nord Stream 2 non è esattamente indispensabile: a patto di ribilanciare le altre fonti di gas naturale per compensare la fornitura dai Paesi Bassi o di ricalibrare l’apporto da fonti rinnovabili.

Le recenti discussioni su Nord Stream 2 hanno rinfocolato antiche polemiche sulla strategia per l’Energiewende, come quella sull’abbandono del nucleare: secondo alcuni studi scegliere di abbandonare prima le fonti fossili e solo in fase successiva il nucleare sarebbe stata una strategia migliore su tutti i fronti, cioè avrebbe permesso di risparmiare, di mantenere gli obiettivi di riduzione dei gas serra per il 2020 (nuovamente ritenuti raggiungibili, secondo le ultime valutazioni, forse grazie agli effetti della pandemia) e di accelerare il passaggio definitivo verso la neutralità.

I costi

Il costo del gasdotto Nord Stream 2 è stimato intorno ai 10 miliardi di euro. Si valuta che attualmente il 94% dell’opera sia già stato completato, che lascia poco spazio in merito ai costi: non ci sono margini di risparmio o di riscatto rinunciando adesso al progetto. 

Anche se l’impatto sulle forniture potrebbe essere contenuto, fermare adesso il progetto potrebbe comunque avere un impatto sui costi del gas naturale, rischiando di farli aumentare.

Accordi internazionali 

La questione degli accordi internazionali è la più complessa. Nonostante le insistenze più volte reiterate di Merkel sul fatto che il gasdotto sia “solo business”, è innegabile che ha già creato parecchi grattacapi sul fronte diplomatico: anche prima del caso Navalny, in queste ultime settimane si era discusso molto degli screzi con gli USA, in seguito alle minacce di  sanzioni contro la Germania proprio per via della condivisione del progetto Nord Stream 2 con la Russia. Una certa incoerenza era stata rinfacciata ai tedeschi in occasione del recente ritiro delle truppe USA dalla Germania e il sottinteso era che non ci si può aspettare di essere difesi dalle forze armate di un Paese e contemporaneamente stringere accordi con l’altro Paese da cui si desidera protezione. 

Del resto, Nord Stream 2 ha creato frizioni internazionali da subito: i paesi che si affacciano sul Mar Baltico – e soprattutto la Polonia – sono sempre stati contrari in particolare per le ripercussioni geopolitiche, perché subirebbero comunque le ripercussioni di tensioni con la Russia, senza godere di alcun vantaggio dal gasdotto perché si approvvigionano tramite la Norvegia. Il caso Navalny ha creato l’occasione per la Polonia di riproporre la richiesta di rinunciare a completare l’opera. In cambio la Polonia offrirebbe alla Germania l’accesso al gasdotto baltico da cui si rifornisce.

Gli obblighi internazionali, soprattutto con le imprese energetiche coinvolte, sono uno dei vincoli più difficili da sciogliere in caso di abbandono di Nord Stream 2. Per esempio, in caso di mancato completamento dell’opera per ragioni politiche, la Nord Stream 2 AG, con sede in Svizzera, avrebbe la possibilità di citare in giudizio la Germania in base al trattato sulla Carta dell’energia, di cui entrambi i Paesi sono firmatari. Il trattato ha lo scopo di proteggere gli investimenti come il gasdotto e di garantire che i progetti approvati non siano messi a repentaglio da cambiamenti politici imprevedibili. I danni derivanti da simili controversie potrebbero essere pari al costo del gasdotto stesso: circa 9,5 miliardi di euro. Includendo nel calcolo i mancati profitti, la cifra potrebbe salire.

Si fa sempre meno convincente l’idea sostenuta in passato da Merkel per cui mantenere rapporti commerciali con Russia e Cina sarebbe servito a stemperarne gli eccessi e sembra invece che adesso gli altri paesi europei – e limitrofi – preferiscano vedere prevalere dei valori comuni, piuttosto che ingaggiare complessi legami strategici.

Non è ancora chiaro che ruolo avrà il caso Navalny sul destino di Nord Stream 2: l’opinione pubblica tedesca, almeno in prima battuta, non riteneva che fosse una ragione sufficiente a fermare il progetto definitivamente. Ma questa percezione potrebbe cambiare in ragione di come evolverà il dibattito politico interno, che in questi ultimi giorni ha visto presentare dubbi pesanti sull’opportunità di dare seguito. 

E la UE?

Nel discorso del 16 settembre sullo stato dell’Unione la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha presentato anche il Nuovo Green Deal: un piano che prevede che le emissioni siano ridotte del 55% entro il 2030. Grazie al Nuovo Green Deal la UE diventerà il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, soddisfacendo gli obblighi dell’accordo di Parigi. Il 37% di Next Generation EU (€750 miliardi complessivi) sarà speso direttamente per gli obiettivi del Green Deal europeo.

Nel corso del discorso, la presidente ha fatto riferimento anche alla Russia:
“A coloro che sostengono legami più stretti con la Russia, dico che l’avvelenamento di Alexei Navalny con un agente chimico avanzato non è un caso isolato. Abbiamo visto lo stesso schema in Georgia e Ucraina, in Siria e a Salisbury e con le ingerenze alle elezioni in tutto il mondo. Questo modello non sta cambiando e nessun gasdotto lo cambierà.”

Ci sono molte analisi dettagliate sulle modalità in cui la Germania potrebbe sottrarsi agli accordi con la Russia su Nord Stream 2: quasi tutte esplorano la possibilità di fare ricorso a elementi come permessi da revocare, negare l’approvazione finale di conformità, o addirittura lasciar fare il loro corso alle sanzioni USA o aspettare il verdetto su ricorsi presentati da terzi (ci sono alcune ONG già pronte a questo). Tutte queste opzioni presentano costi elevati, sia in termini finanziari che politici.

Ma in definitiva ci si aspetta che la soluzione sia possibile solo sul piano politico e tramite un intenso lavoro di mediazione, anche e soprattutto a livello delle istituzioni europee.

Francesca Vargiu

@GraceVanFruscia

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