Questioni di bandiera

Lo stendardo nero-bianco-rosso, originariamente legato alla Germania bismarckiana, è ormai un simbolo di opposizione alla democrazia parlamentare, e come tale viene sventolato dai militanti della destra estrema spesso mescolati fra i negazionisti della pandemia.

La manifestazione dei negazionisti del Coronavirus a Berlino il 29 agosto scorso, che a lor detta si metterebbero coi loro pensieri “di traverso” alla vulgata di una pandemia che in realtà non esisterebbe (qui l’autodefinizione di Querdenker), ha raggiunto nella visione di diversi partecipanti il suo culmine quando un manipolo di persone, approfittando di un buco nel cordone di poliziotti, è riuscito a salire sulla scalinata del Bundestag – il Parlamento tedesco.

Fin qui sembrerebbe solamente una carnevalata o la ricerca dell’opportunità per una foto di gruppo proprio davanti al “Palazzo” del potere, con relativo effetto mediatico. Il problema, non piccolo, è rappresentato dalla bandiera che quei manifestanti hanno sventolato, la bandiera imperiale (Reichsflagge) nero-bianco-rossa, e dall’edificio, che ufficialmente si chiama ancora Reichstag – Dieta dell’Impero. Il significato politico del gesto è dunque molto chiaro: la negazione non solo della pandemia, ma soprattutto di quello che la Germania – come Paese, sistema politico e società – è diventata dopo il 1945.

Manifestanti con, tra l’altro, bandiere imperiali sulla scalinata dal Bundestag. (Foto: Frankfurter Rundschau)

Prima di gridare ai neonazisti (che pure c’erano e che giocano fra i Querdenker un ruolo non secondario), conviene lasciarsi guidare dai fatti storici e chiarire qualche passaggio. Anzitutto, di quale bandiera e quale impero stiamo parlando.

Il tricolore nero-bianco-rosso è un simbolo che ci riporta alla radice dell’attuale Stato tedesco. Questa bandiera fu scelta dalla Confederazione Nordtedesca a guida prussiana dopo che la guerra austro-prussiana del 1866 (“guerra (intra-)tedesca” per i contemporanei) aveva sancito con le armi ed il sangue la risposta alla questione nazionale dell’Ottocento tedesco: una “Germania grande”, fondata sulla lingua e la cultura e che quindi includesse anche l’Austria asburgica, o una “Germania piccola”, fondata sulla forza militare e l’egemonia industriale e guidata dalla Prussia? Vinse la Prussia di Bismarck, che impose ai piccoli Stati nordtedeschi una federazione fra ineguali, la cui bandiera univa i due colori di quella prussiana (bianco-nera) ed il colore tradizionale della Lega anseatica (il rosso), cui diversi di questi Stati nella loro tradizioni si richiamavano. Dalla Confederazione del 1867 sorse quattro anni più tardi, anch’esso con le armi ed il sangue della guerra franco-prussiana, un nuovo Impero germanico, sempre guidato da Berlino, che includeva ora anche gli Stati a sud del fiume Meno (Baviera, Assia, Baden e Württemberg) e sanciva definitivamente l’esclusione dell’Austria dalla “Germania” e la primazia politica dell’aristocrazia militare protestante prussiana.

La Proclamazione dell’Impero Tedesco, di Anton Werner (1885)

Questo secondo Impero, guidato dal Re di Prussia come Imperatore e dal suo Primo ministro di Prussia che automaticamente era Cancelliere per tutto l’Impero, si distingueva in modo radicale dal primo Impero, quello fondato da Carlo Magno e basato su un’ampia autonomia ed una profonda frammentazione dei territori suoi membri. Se nei nove secoli del primo Impero il legame era – almeno dal tardo Medioevo – prevalentemente di natura culturale e l’Impero rappresentava in primo luogo un consesso di politica europea e mondiale, il secondo Impero nacque per essere nazionale e fu tenuto insieme dalla forza militare e della potenza industriale. In questo secondo Impero, c’è da dire, sorse però anche la prima rappresentanza democratica dei tedeschi, non di rado in conflitto con Kaiser e Cancelliere, quel Reichstag di cui ancor oggi si vuole – almeno per l’edificio – orgogliosamente conservare il nome. Quando la rivoluzione del novembre 1918 travolse le dinastie regnanti e l’ordinamento statuale bismarckiano, l’Assemblea costituente che si riunì a Weimar decise di mandare in soffitta il tricolore nero-bianco-rosso, mantenne tuttavia il nome Reich per lo Stato, ora repubblicano. Questa apparente contraddizione si trascinò lungamente ed apertamente per tutta l’era weimariana, con un’aperta contrapposizione fra forze democratiche e nostalgici del Kaiser che fu. I primi si raccolsero anche simbolicamente attorno ai colori nero-rosso-oro, simbolo della nuova democrazia, i secondi attorno al vecchio tricolore bismarckiano. Nel 1926 il tentativo del governo conservatore di Hans Luther di stabilire per decreto il pari valore di entrambi gli stendardi finì con la caduta del Cancelliere. Negli anni della lotta per la democrazia weimariana diversi politici delle forze democratiche, dalla Socialdemocrazia al Zentrum cattolico ai liberali della DDP, si radunarono nell’associazione “Vessillo nero-rosso-oro”, che cercò di tenere testa agli attacchi non solo verbali delle forze antidemocratiche, la cui ala destra indentificava la lotta per la bandiera con quella per il ritorno allo Stato autoritario.

“Lasciate che sventolino le vecchie bandiere”: Manifesto dei “Tedesco-nazionali” nella campagna elettorale del 1932. Un anno dopo il partito entrò con due ministeri nel governo Hitler.

Con l’avvento del governo Hitler (1933), inizialmente una coalizione fra nazionalsocialisti e forze della destra antidemocratica, la bandiera nero-rosso-oro fu proibita. In una delle celebri Leggi di Norimberga (1935) il regime ormai consolidato, dopo la morte di Hindeburg e la monopolizzazione del potere, statuì che i “colori del Reich” fossero sì nero-bianco-rosso, la bandiera nazionale divenne però quella con la croce uncinata. Tale legge sulla bandiera del Reich fu poi abrogata nel 1945 dagli Alleati. 

Tutto questo lungo racconto per dire cosa? Che il tricolore nero-bianco-rosso dal punto di vista strettamente storico non è una “bandiera nazista”, ma in modo univoco la bandiera che in Germania simboleggia l’opposizione alla democrazia parlamentare nella forma in cui si è sviluppata dopo il 1945 e che fra 1918 e 1933 dovette combattere contro un autoritarismo che alla fine si dimostrò più forte di lei. Se dal punto di vista numerico gli autoritaristi di oggi non sono certo in grado di sconfiggere la liberaldemocrazia parlamentare, l’ostentazione di tale vessillo segnala la qualità di quanto si cela dietro diversi negazionisti dell’attuale pandemia: un rifiuto della democrazia e della società nella forma in cui oggi le conosciamo. 

Non a caso quindi dopo l’episodio di Berlino si è aperto un dibattito sull’opportunità di vietare l’esposizione della vecchia bandiera imperiale, analogamente a quanto già in vigore sulla bandiera con la croce uncinata, vietata dal 1945. Diversi Länder sono orientati in tal senso, Brema in testa, mentre il Primo ministro del Baden-Württemberg Winfried Kretschmann (Verdi) si è espresso per un divieto unico a livello nazionale.

La grafica elaborata da Katapult per mostrare dove la bandiera imperiale è bandita (“verboten”) a partire da lunedì 28 settembre. Chi la espone è passibile di una multa fino a 1.000 euro.

Una soluzione che costringerebbe i gruppi di destra estrema a cercarsi altri vessilli (il catalogo di quelli a disposizione è sicuramente lungo), ma che metterebbe in chiaro qual è la posta in gioco e che per la società democratica non si tratta solamente di un gol della bandiera. 

Edoardo D’Alfonso Masarié

@furstbischof

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