Quasi un anno fa vi avevamo aggiornato sulle difficoltà per la Germania di chiamarsi fuori dall’accordo su Nord Stream 2. Avevamo esplorato vari possibili ostacoli al completamento dell’opera, stimato allora intorno al 94%, concludendo che quasi certamente sarebbero state cause esterne e “di forza maggiore”. Con colpevole omissione, non avevamo preso in considerazione la prospettiva dell’Ucraina.
Al tempo, infatti (settembre 2020) non c’erano state ancora le elezioni negli Stati Uniti e l’amministrazione Trump e l’Ucraina sembravano intrattenere rapporti complessi. Il riferimento è alle pressioni esercitate da Trump sul presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj perché fornisse informazioni sul figlio Hunter dell’allora candidato alla presidenza Joe Biden, nel tentativo di esporne una presunta attività di corruzione associata alle attività del gruppo Burisma, produttore di petrolio e gas, operante in Ucraina. Ne seguì una complessa vicenda, che coinvolse il New York Post, ma anche Steve Bannon e Rudy Giuliani, a vario titolo. Il tentativo era quello di screditare Joe Biden, implicando che avesse per primo esercitato pressioni per proteggere il figlio da una inchiesta anti-corruzione. Ad oggi la serie di eventi, che includono un rocambolesco ritrovamento di un laptop associato a Hunter Biden, contenente una email di non provata provenienza, è considerata alla stregua di una teoria complottista. Durante questi eventi, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj non prese apertamente posizione, non lasciando intendere di appoggiare né di contrastare le “teorie” di Donald Trump, nonostante le ritorsioni trumpiane di condizionare l’appoggio militare all’Ucraina in cambio di sostegno nella campagna elettorale. Tuttavia, in occasione del tentativo di impeachment sul finire del mandato di Donald Trump, erano state pubblicate delle registrazioni telefoniche di conversazioni tra i due capi di stato. Nel corso di queste, Zelens’kyj sembrava dare corda alla visione complottistica di Trump.

Cosa è cambiato nel frattempo?
Beh, ci sono state le elezioni negli Stati Uniti: Joe Biden è stato eletto presidente, con una nuova amministrazione sulla quale ci sono state da subito forti aspettative dall’Europa. Innanzitutto dalla Germania: i rapporti tra i due paesi erano ai minimi storici durante l’amministrazione Trump e la credibile minaccia di sanzioni contro gli accordi per Nord Stream 2 era come un grosso macigno difficile da aggirare o superare. C’era quindi grande attesa sulla posizione dell’amministrazione Biden in merito all’opera, nel frattempo praticamente conclusa (98% secondo le ultime stime). Finalmente nelle scorse settimane l’incertezza si è dissipata: Stati Uniti e Germania si sono accordati su una policy comune di tutela degli interessi e della sicurezza dell’Ucraina dall’ingerenza economica e militare russa. La Germania si impegna a mantenere i vincoli del terzo pacchetto energetico UE sulla sicurezza dell’approvvigionamento, a favorire attivamente le trattative per una estensione di 10 anni dell’accordo di transito del gas tra Russia e Ucraina, e a creare e mantenere un “fondo verde” per l’Ucraina con lo scopo di sostenere la transizione energetica nel paese, oltre che a promuovere efficienza e sicurezza energetiche.
Quindi ora è tutto finalmente risolto?
Quasi. Con moderata sorpresa degli osservatori, l’Ucraina non ha gradito completamente il nuovo approccio. Questa reazione era scontata, data l’enorme tensione con la Russia durante le ripetute crisi del gas, una delle quali, nel 2014, ha avuto tra le conseguenze l’annessione della penisola di Crimea dall’Ucraina alla Russia. Quello che invece è apparso sorprendente è la modalità scelta per manifestare la propria contrarietà all’accordo. L’Ucraina, infatti, ha scelto la via burocratica. Per gli appassionati di dritto e pratiche comunitarie, è imperdibile la vicenda che vede un paese partner – e forse aspirante membro – rivendicare che l’UE stessa si attenga per prima a un accordo vincolante che un paese già membro – in questo caso la Germania – non rispetta pienamente. Che sia un paese esterno a rilevare questa anomalia, con piena padronanza di mezzi e termini comunitari, è considerato un elemento nuovo. (Non che non ci siano stati precedenti, uno in particolare proveniente sempre dall’Ucraina, quando in discussione era il Nord Stream 1 nel 2017. Ma allora la richiesta era stata avanzata in toni e con mezzi molto più deboli e non aveva sortito effetti.)
Nella pratica, l’Ucraina ha invocato l’accordo di associazione con l’UE per chiedere consultazioni urgenti con la Commissione europea e il governo tedesco. Sul piano teorico, tramite le consultazioni, l’Ucraina potrebbe richiedere l’estensione delle sanzioni e, per così dire, boicottare il varo dell’opera, o anche trattare sulle cifre di compensazione offerte da Stati Uniti e Germania per il mancato transito, deviato verso il Mar Baltico dal nuovo gasdotto. Per essere chiari: nessuno avvalora l’ipotesi di un blocco di Nord Stream 2 come risultante di queste obiezioni da parte ucraina. Ma da un punto di vista politico e formale, le stesse pongono un quesito ineludibile per i funzionari UE.
Il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha inviato una note verbale alla UE in cui si fa riferimento agli articoli 274 e 337 dell’accordo. Il primo dei due prevede l’obbligo per la UE e i paesi membri di consultare l’Ucraina e coordinare congiuntamente gli aspetti relativi a infrastrutture, scambio, sostenibilità e sicurezza dell’approvvigionamento. Mentre nel secondo si definisce la necessità di stabilire un meccanismo per affrontare le potenziali crisi energetiche con “spirito di solidarietà”, un concetto tutt’altro che vago, secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea. In un precedente analogo, la Polonia aveva sollevato la questione della sicurezza regionale, messa a rischio dall’approvvigionamento di gas tramite il gasdotto Opal, collegato a Nord Stream 1, che scorre davanti alla costa polacca. La Germania aveva presentato un ricorso, respinto dalla Corte di giustizia, secondo cui la “solidarietà energetica” era un concetto politico piuttosto che una questione giuridica. La Corte ha invece chiarito che la Commissione è tenuta a esaminare i possibili rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nei mercati dell’UE.
Le reazioni per il momento sono blande: dal lato tedesco, la Cancelliera Merkel ribadisce il sostegno all’Ucraina, mentre dal lato della Commissione europea si reitera che l’opera non è considerata di interesse comune e che rimane possibile discuterla ulteriormente con i partner coinvolti, a partire ovviamente dall’Ucraina. Che a questo punto ha tutto l’interesse a perseguire questa via. Intanto, dal 30 Agosto, Zelens’kyj sarà ospite alla Casa Bianca: secondo alcuni, volutamente in un periodo di scarsa attività, per limitare l’impatto pubblico di possibili rivendicazioni.
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