Probabilmente avete presente quella vecchia frase sul battito d’ali di una farfalla in Brasile che provoca un uragano in Texas.
Originariamente coniata nel 1972 per descrivere le innumerevoli interconnessioni di un sistema complesso come quello atmosferico, è ormai entrata a far parte del nostro lessico quotidiano, tanto da venire citata – seppure in forma leggermente rivisitata – persino in Jurassic Park.
Si tratta del butterfly effect, che nella teoria del caos serve a mostrare come, in un sistema complesso, minime variazioni nelle condizioni iniziali possano condurre nel lungo termine a grandi mutamenti. E la politica tedesca è certamente un sistema complesso.
La farfalla che ha battuto le ali non si trova in Brasile, ma nella meno esotica Bassa Sassonia, dove domenica scorsa si sono tenute le elezioni regionali. A vincere è stata la SPD del Ministerpräsident uscente Stephan Weil, confermato per quello che sarà il suo terzo mandato. Dopo aver governato insieme ai Grünen la prima volta e alla CDU la seconda, per il suo terzo gabinetto Weil vorrà probabilmente con sé di nuovo i Verdi, premiati da un ottimo risultato che li vede crescere nei consensi di quasi sei punti percentuali. I due partiti possono contare su una comoda maggioranza di 81 seggi su un totale di 146.


Ci sono due dati particolarmente significativi usciti dalle urne. Il primo riguarda la crescita di AfD, che praticamente raddoppia i voti e si avvicina a percentuali tedesco-orientali (non fatevi ingannare dal nome: a differenza della Sassonia e della Sassonia-Anhalt, la Bassa Sassonia è a ovest).
Il secondo invece è quello della FDP. I liberali perdono quasi tre punti, e si fermano al 4,7% – quindi sotto la soglia del 5% necessaria per entrare nel Landtag, il Parlamento regionale di Hannover. Un tracollo vero e proprio. Ed è qui che inizia a entrarci l’uragano.
I nuvoloni neri non si stanno addensando sul Texas, ma su Berlino.
La batosta in Bassa Sassonia non è un caso isolato. A marzo, in Saarland, erano riusciti ad aumentare un po’ i consensi, ma non abbastanza da entrare nel Landtag; a maggio però, nelle due elezioni ben più importanti in Schleswig-Holstein e in Nordreno-Vestfalia, è stata un’ecatombe. Perdite sanguinosissime in entrambi i Länder e soprattutto l’esclusione dai due governi regionali, di cui invece facevano parte prima del voto. La botta di domenica scorsa è solo l’ultimo episodio di una spirale negativa che sembra irreversibile, come emerge anche dai sondaggi nazionali che vedono i liberali di nuovo intorno a un modesto 7%.
Da più parti si invoca una reazione, immediata e radicale. La pressione su Christian Lindner, capo del partito e Ministro delle Finanze, cresce: in molti ritengono che la causa del declino vada ricercata nei troppi compromessi accettati durante questi mesi di governo-semaforo, in un’identità annacquata e priva di slancio a causa della coabitazione con SPD e Grünen. Ed è proprio questo a preoccupare socialdemocratici e verdi: che la FDP, in preda al panico, cerchi di riconquistare il suo elettorato mettendo a rischio la stabilità dell’esecutivo.

L’uragano non si è ancora abbattuto, insomma, ma si preannuncia tempesta. E proprio in un momento delicatissimo: in questi giorni bisogna infatti finalizzare le decisioni relative al prolungamento dell’operatività di due delle tre centrali nucleari ancora attive in Germania. Qualche settimana il Ministro per l’Economia e la Protezione del Clima, il verde Robert Habeck, ha avanzato la proposta di mantenere collegati alla rete fino ad aprile prossimo due impianti la cui chiusura era prevista per fine anno: una misura pensata per affrontare la crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina – e per non lasciare i tedeschi al freddo durante l’inverno. Nonostante alcune perplessità da parte dei gestori e soprattutto all’interno dei Verdi, alla fine pare che la direzione sarà quella. Si è però deciso di rimandare le decisioni finali a dopo le elezioni in Bassa Sassonia, ma la batosta subita dalla FDP sta mettendo a repentaglio tutta l’operazione.
I liberali infatti si stanno impuntando: per loro non basta mantenere attive due centrali fino ad aprile. Bisogna innanzitutto lasciarle operative tutte e tre, e per tutto l’anno prossimo; e poi bisogna anche rimettere in funzione quelle che sono state chiuse. L’impressione è che stiano alzando il livello dello scontro per tentare di convincere la base che no, non si sono rammolliti a governare con partiti tradizionalmente dall’altro lato della barricata, anzi sono pronti a tutto pur di non tradire i propri principi e le proprie idee. Solo che in questo momento, e su questo tema, “alzare il livello dello scontro” significa anche rischiare di non fare in tempo a modificare la legge che prevede la chiusura degli impianti a fine anno. Un rischio che la Germania – confortata in questo anche dalle recenti dichiarazioni di Greta Thunberg – probabilmente non può permettersi.
Lindner e i suoi stanno anche cercando di guadagnare tempo: questo fine settimana a Bonn si terrà il congresso dei Grünen, in cui chiaramente la questione di cosa fare con le centrali nucleari ancora attive sarà una delle più dibattute. La speranza è che Robert Habeck riesca a strappare al suo partito qualche concessione in più – magari il mantenimento in funzione di tutte e tre gli impianti, non solo fino ad aprile ma per tutto l’anno prossimo – in modo da poter trovare un accordo senza perdere la faccia; oppure, al contrario, che la proposta del ministro verde venga ufficialmente respinta, così che siano gli ecologisti a passare come quelli che hanno fatto saltare tutto invece della FDP.
Insomma, il tempo stringe e la tensione aumenta. E nonostante le rassicurazioni di Wolfgang Kubicki, decano dei liberali – “nessun politico responsabile della FDP si mette a giocare con la caduta del semaforo” – il timore che l’uragano sia alle porte è alto.