Il sarcasmo era un’arma formidabile nelle mani di Giulio Andreotti, che sapeva usarla per smontare avversari o per condensare in poche sillabe verità politiche pensate da tutti e dette da (quasi) nessuno. Come quando, in un’Italia che era ormai alla fervente vigilia dei cambiamenti iniziati nel 1992, all’accusa che il suo governo tirasse a campare rispose che “è meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
Un governo ormai impantanato nel vivacchiare ce l’ha oggi la Germania. La coalizione guidata da Olaf Scholz e composta da SPD (socialdemocratici), Verdi e FPD (liberali) era entrata in carica l’8 dicembre 2021 con la promessa di “osare più progresso”. Qualcosa dev’essere profondamente cambiato se ora, a neanche tre anni di distanza, il capo di uno dei tre partiti della coalizione, il verde Omid Nouripour, dichiara apertamente che quello in carica non è nulla di più che “un governo di transizione” e che la successione di Angela Merkel è una questione ancora aperta, come se Olaf Scholz manco esistesse. Un governicchio, si potrebbe quasi dire, talmente schiacciato dalle liti al proprio interno da non poter offrire né ai suoi componenti né all’elettorato alcuna prospettiva futura. E dunque, in questo senso, un esecutivo di mera transizione.
A dare prova ulteriore di quanto il governo Scholz sia intrappolato nella sua stessa crisi ci hanno pensato – e stanno pensando – le trattative infinite per la legge di bilancio 2025, ormai diventate più altalenanti di una soap opera latinoamericana. E non affatto concluse, giacché dopo il licenziamento del disegno di legge da parte del governo, dalla riapertura del Bundestag a settembre la palla passerà ai gruppi parlamentari, garantendo – possiamo scommetterci – ulteriori giri di “un accordo all’ultimo”, “accordo definitivo”, “accordo davvero definitivo”, “accordo definitivo un poco ritoccato” e così via.
In origine il termine per la presentazione del disegno di legge di bilancio sarebbe stato la fine di giugno. Ma le trattative si sono subito rivelate in salita. Da una parte il Ministro delle finanze, Christian Lindner, ed i suoi liberali escludono categoricamente sia nuovo debito pubblico sia nuove tasse, invocando uno Stato che dopo anni di “eccezioni” (per la pandemia, la guerra d’Ucraina e così via) finalmente si accontenti di quello (non poco) che ha. Dall’altro diversi ministri, soprattutto socialdemocratici ma non solo, che invece hanno presentato proposte di budget in vistosa crescita, lasciando agli “altri” la necessità di reperire le risorse necessarie. E sostenendo che nel momento attuale non ci sia proprio bisogno di tagli, men che mai al proprio settore. Fin qui nulla di nuovo, le trattative di bilancio in qualunque governo al mondo, da Berlino alla proverbiale Roccacannuccia, son fatte così. Se non fosse che pochi giorni prima della fine di giugno, a termine quasi scaduto e con liti nel governo ormai trasportate da settimane su tutti i media, il capo dello Stato, Frank-Walter Steinmeier, dovette ammettere in un’intervista tv di non escludere la possibilità che la coalizione esplodesse e si andasse ad elezioni anticipate. Piccolo salto sulla sedia per chi di politica legge un po’ e sa della pazienza e delle inconfutate doti diplomatiche del Presidente Steinmeier.
I tre capidelegazione dei partiti al governo – il Cancelliere Olaf Scholz (SPD), il Vicecancelliere Robert Habeck (Verdi) ed il Ministro delle finanze Lindner (liberale) – sono allora riusciti prima a concedersi una dilazione del termine fino a metà luglio, regalando a sé ed al Paese due ulteriori di settimane di pendolo fra liti e “quasi accordi” trasmesse in diretta continua, per poi finalmente siglare un accordo. Il quale però non era davvero tale, ma soggetto a condizioni, o meglio al vaglio di una perizia legale commissionata dal governo stesso circa la costituzionalità di alcune misure previste finanziarie “creative”. Un particolare non da poco, visto che l’anno scorso una precedente legge di bilancio di questo stesso governo era stata annullata per incostituzionalità dalla Corte costituzionale federale, che aveva accertato come la “creatività” finanziaria avesse superato i limiti del legalmente consentito.

A dimostrare quanto poco ormai valgano i patti sanciti “definitivamente” dal Cancelliere e dai suoi due soci al governo ci poi hanno pensato a stretto giro i loro stessi compagni di partito. L’accordo fra Scholz, Habeck e Lindner non è più vecchio che poche ore quando il Ministro della difesa, Boris Pistorius (SPD anche lui), non usa giri di parole per definirsi insoddisfatto e rimandare al Parlamento l’ultima parola in materia. Pistorius sa della sua popolarità – una differenza notevole da Scholz e dal resto del governo – e certe affermazioni dunque se le può permettere, ma anche altri (e con ben altra popolarità) fanno più o meno lo stesso, tra cui il capogruppo parlamentare socialdemocratico Rolf Mützenich, che sconfessa apertamente gli esiti della trattativa e dunque la mediazione fatta dal Cancelliere del suo stesso partito. Ed anche i gruppi parlamentari verde e liberale, pur da posizioni opposte e forse con toni meno categorici, lasciano comunque capire al governo che la “sua” bozza di bilancio non li convince affatto. Tana libera tutti dunque.
La perizia legale chiesta a luglio dai vertici del governo dunque arriva ad inizio agosto e – colpo di scena! – l’accordo che doveva essere “definitivo” è di nuovo tutto da rifare. Le trattative in solitaria fra Scholz, Habeck e Lindner ricominciano per l’ennesima volta e, riaprendo contabilità e tabelle e limando fra milioni e miliardi di qua e di là, il 16 agosto i tre possono annunciare un nuovo accordo. Che ovviamente non soddisfa nessuno. Al posto della oramai tradizionale conferenza stampa a tre c’è solo uno stringato comunicato stampa scritto e dichiarazioni separate dei diversi protagonisti, che manco vogliono più farsi vedere in giro insieme. Con il Ministro Lindner che non perde l’occasione per dire coram populo che “la coalizione è giunta ai suoi limiti”. E comunque lasciando nero su bianco un “buco” di bilancio da 17 miliardi di euro, che il parlamento dovrà chiudere come vorrà (e potrà) lui, visto che il governo un accordo in merito non è riuscito a trovarlo. A questo punto si chiedono in tanti, se non tutti, se valga davvero la pena tirare a campare anziché tirare le cuoia. Certo, definire un disastro i sondaggi per i partiti attualmente al governo sarebbe quasi un complimento: insieme i tre partiti presero il 52% dei voti nel 2021, ma non arriverebbero al 32% se si votasse domenica prossima (media dei sondaggi al 20 agosto 2024). Pressoché la stessa cifra (31%) è la somma dei loro risultati (reali) alle europee di giugno scorso, alle quali persino la destra estrema di AfD, nonostante una campagna elettorale piena d’intoppi (incluso il ritiro del suo stesso capolista), è riuscita a superare il partito del Cancelliere in carica – e di quasi 800.000 voti tra l’altro. Andare al voto anticipato, l’opzione che il capo dello Stato Steinmeier aveva più o meno esplicitamente messo sul tavolo a giugno scorso, rischierebbe un bagno di sangue per i tre partner di governo, con i liberali di FDP che oltretutto non sono affatto sicuri di superare la soglia del 5% e dunque di conservare la loro esistenza parlamentare.

D’altro canto, però, non tutti gli argomenti propendono per la sentenza andreottiana del tirare a campare per un altro anno, fino alla scadenza naturale nel settembre 2025. A giocare un ruolo saranno anche le imminenti elezioni in tre Länder dell’ex Germania Est – Turingia, Sassonia e Brandeburgo – dove i partiti del governo nazionale rischiano una débâcle ancor maggiore: pressoché certamente la liberale FDP uscirà dall’unico dei tre parlamenti locali dov’è rappresentata, i Verdi lottano per la sopravvivenza in tutti e tre, e persino la SPD – il partito del Cancelliere ed uno dei più antichi al mondo – è in due Länder su tre pericolosamente vicina alla fatidica soglia del 5%, che rischia concretamente di mancare per la prima volta nella storia repubblicana. Certo, in elezioni locali contano anche volti e dinamiche locali, ma se il Primo ministro brandeburghese in carica, il socialdemocratico Dietmar Woidke, ha esplicitamente chiesto che Scholz stia lontano da lui e dalla campagna elettorale, un certo “effetto contagio” della politica federale non si può certo negare. Ad urne chiuse nelle “lande” dell’Est saranno dunque in tanti a farsi la domanda se a rimanere in questo governo si rischi di perdere ancora di più di quanto già non stia succedendo. Se così fosse, allora potrebbe forse essere meglio tirare le cuoia (al governo) subito, anziché tirare a campare per poi tirar le cuoia in modo ancor peggiore fra un anno.
Senza contare che la crisi politica permanente a Berlino comincia a dar fastidio anche fuori. Essa non solo blocca qualunque ragionamento sulla stagnazione economica in atto in Germania – un dato di cui al mondo parlano tutti tranne l’opinione pubblica tedesca, rapita dalle liti infinite fra i suoi ministri per “qualche dollaro in più”. In più, ad essere oggetto delle sforbiciate al bilancio per raggiungere l’ultimo “accordo” nel governo sono stati anche gli aiuti all’Ucraina in guerra, circostanza ammessa a denti stretti dal Tesoro berlinese, che anzi in un certo modo rincara la dose chiamando in causa gli altri alleati occidentali. Come a dire: noi più di così non possiamo fare, ora se la veda qualcun altro.

Che in queste condizioni interne ed internazionali un governicchio che tiri a campare e tagli su tutto, dagli investimenti infrastrutturali alle strategie geopolitiche, sia l’opzione più consigliabile per la Germania è un dato tutto da dimostrare. Vedremo nelle prossime settimane e mesi come (e soprattutto quando) andrà a finire.

3 pensieri riguardo “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia?”