Il caso Özil, esploso poco prima degli ultimi mondiali di calcio, ha scatenato in Germania un dibattito sull’integrazione degli immigrati, anche quelli di seconda o terza generazione. Sulla faccenda è stato detto molto, ma forse gli eventi si prestano anche ad alcune considerazioni su come i tedeschi intendano la nazionalità e, più profondamente, l’essere tedesco e il modo in cui questa appartenenza vada vissuta.
Ma procediamo con ordine. Il 5 maggio, Mesut Özil, calciatore dell’Arsenal con origini turche ma uno dei principali giocatori della nazionale tedesca, incontra a Londra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. All’incontro hanno partecipano anche Ilkay Gündoğan, del Manchester City, anche lui nazionale tedesco con origini turche, e Cenk Tosun, dell’Everton, nato tedesco ma poi naturalizzato per poter giocare con la selezione turca. I tre si sono fatti fotografare con Erdoğan e le loro maglie, che erano quelle dei club di appartenenza e non delle nazionali.
Le foto hanno attirato una serie di critiche ai due giocatori tedeschi: gran parte dell’opinione pubblica tedesca non ha visto di buon occhio la foto di due giocatori della nazionale con quello che di fatto è ormai un dittatore. Özil, in particolare, è stato quello preso più di mira, non solo perché è da più tempo nel giro della nazionale, ma anche perché dopo la vittoria della Germania ai mondiali del 2014 la multiculturalità della squadra è stata presentata come fattore vincente, e Özil stesso è stato visto come esempio di integrazione ben riuscita (i turchi sono storicamente la comunità straniera più numerosa in Germania). Intervenne perfino Angela Merkel a condannare l’accaduto, mentre la DFB, la federazione calcistica tedesca, diramò un comunicato in cui si leggeva che, pur nel rispetto della “situazione particolare” dei “giocatori le cui famiglie hanno un passato da migranti”, “il calcio e la DFB difendono dei valori che Erdoğan non rispetta in maniera sufficiente”.
Dopo l’eliminazione della Germania dai mondiali, le polemiche si sono riaccese, e lo stesso Mesut Özil ha risposto con una lunga lettera in cui ha dato il suo addio alla nazionale tedesca, spiegando il perché della foto con Erdoğan e denunciando gli errori della DFB e il clima razzista che si respira in Germania. Nella lettera, che trovate tradotta integralmente su Il Post, ha attaccato i media tedeschi, rei di aver criticato non le sue prestazioni ma solo la sua origine turca, e ha scritto di non voler più fungere da capro espiatorio per l’incapacità di Grindel (il presidente della DFB) di gestire la federazione.
Ma soprattutto, Özil ha scritto “per me fare una foto con il presidente Erdoğan non riguardava la politica o le elezioni. Ero io che portavo rispetto all’istituzione più importante nel paese della mia famiglia”. In maniera molto netta, ha precisato di aver fatto la foto con il presidente della Turchia e non con Erdoğan (“per me non importava chi fosse il presidente, importava che lì ci fosse il presidente”), e ha poi precisato: “qualsiasi risultato fosse uscito dalle ultime elezioni, o da quelle prima delle ultime, mi sarei comunque fatto scattare la foto”. In effetti, mentre Gündoğan ha consegnato una maglia con scritto “al mio presidente, con tutto il rispetto”, Özil non ha fatto nulla di tutto ciò.
Dalle parole del calciatore, quindi, emerge un sentimento di doppia appartenenza nazionale: da una parte la Germania, il paese dove è nato e cresciuto e per cui gioca, dall’altra la Turchia, la terra di origine della sua famiglia. La foto con Erdoğan è stata da lui intesa come forma di rispetto per il paese dei suoi avi, non come supporto a colui che attualmente, di quel paese è il capo di stato. Si tratta in effetti di un sentimento del tutto comprensibile, e probabilmente comune a tutti i figli di immigrati.
Ma allora come mai Özil è stato attaccato con tanta virulenza? Sicuramente, il clima di razzismo crescente in tutta Europa, e in Germania, ha svolto un ruolo importante nell’instaurarsi di questa dinamica, e su questo si sono concentrati molti media tedeschi e italiani nel raccontare la vicenda. Tuttavia, c’è una dimensione ulteriore, evidente soprattutto nei primissimi giorni dello scandalo, e che attiene al modo in cui i tedeschi guardano alla nazionalità e allo status di tedesco.
La dinamica, infatti, si inserisce in un contesto in cui entrambe le comunità a cui Özil è collegato guardano in maniera molto forte a questa appartenenza: basti pensare che quando scelse di giocare per la Germania fu visto come un traditore per i turchi tedeschi. Al tempo stesso, la Germania ha sempre avuto un ordinamento molto duro nei confronti della doppia cittadinanza, che veniva concessa in pochissimi casi. Solo nel 2002, ad esempio, la legge in materia è stata modificata per permettere ai cittadini europei di acquisire la cittadinanza tedesca conservando quella d’origine.
Il piano giuridico, come spesso accade, è il sintomo di qualcosa di più profondo culturalmente: per i tedeschi, verrebbe da dire, si può nascere tedeschi (o diventarlo), ma se si è tedeschi, allora si è tedeschi e basta. Quello che veniva rimproverato ad Özil, quindi, non era tanto il suo sentirsi attaccato alla storia della sua famiglia turca, ma di non comportarsi da tedesco facendosi la foto con una capo di stato straniero.
In un intervento sulla Zeit, Tina Nobis, dell’Istituto di Berlino per la Ricerca Empirica su Integrazione e Migrazione (BIM), ha affermato di ritenere che il punto della questione non è tanto Erdoğan, quanto la richiesta implicita ad Özil di riconoscersi nella Germania (è interessante che Nobis usi il termine bekennen, che può voler dire anche “professare”). Nella stessa intervista, Özgür Özvatan, ricercatore turco-tedesco per il BIM, ha sottolineato come sia i tedeschi che i turchi guardano alla doppio nazionalità con sospetto, ritenendola una forma di tradimento alle appartenenze originarie. Il ricercatore chiama in causa l’ascesa dell’AfD, il partito di estrema destra tedesco, per spiegare il diffondersi di certi fenomeni e il loro sfociare nel razzismo aperto, ma non spiega il caso Özil sulla base del crescente vento nazionalista. Nel suo libro “Games of Belonging”, incentrato appunto sui rapporti tra i tedeschi e i turchi presenti in Germania, Özvatan rintraccia peculiarità specifiche delle due comunità per spiegare le dinamiche che entrano in gioco nel processo d’integrazione.
Tenere presente le caratteristiche di entrambi i popoli, e le dinamiche che così si instaurano, aiuta ad esempio a comprendere come mai l’incontro di Lothar Mätthaus con Vladimir Putin, citato dallo stesso Özil nella lettera, non sia stato stigmatizzato come quello con Erdoğan: nessuno metterebbe in discussione la germanicità di Mätthaus. In questo senso, ha ragione Özil quando dice che per lui è stato usato un metro diverso. In effetti, l’esempio di Heidi Klum è illuminante: la modella tedesca ha in seguito acquisito la cittadinanza americana, ma continua a dire pubblicamente si sentirsi esclusivamente tedesca, venendo percepita dai suoi connazionali come un esempio. Ad Özil e Gündoğan, invece, anche dopo la scelta di giocare per la Germania, non viene perdonato il fatto di aver più volte detto pubblicamente di continuare a sentire una connessione, seppur solo storicofamiliare, con la Turchia.
Queste considerazioni autorizzano a dire che, se nell’affaire Özil ci sono tendenze razziste e xenofobe in senso tradizionale, accanto a queste ci sono dinamiche che non si lasciano identificare come razziste, causate dal modo in cui i tedeschi vedono l’appartenenza alla comunità tedesca. Se sei tedesco, devi “fare il tedesco”, e questo implica anche il rinunciare (rinnegare?) altre appartenenze. Per quanto questa tipologia d’integrazione può essere violenta e lesiva delle storie personali, è tutt’altro che razzista, poiché figlia di una mentalità che integra totalmente (almeno a livello ideale), ma pretende in cambio una fedeltà assoluta.
Il nazionalismo tedesco è peculiare, e per certi versi molto diverso da quello di altri popoli europei. Forse per comprenderlo meglio si può chiamare in causa quello che ancora oggi è uno dei testi in cui meglio viene esplicitata la concezione dell’essere tedesco: i Discorsi alla Nazione Tedesca di Fichte. Nel testo, troviamo un nazionalismo fortissimo che pur attribuendo una superiorità alla Germania non diviene razzismo, ma che anzi carica la Germania di una responsabilità incredibile verso gli altri popoli europei. Ai fini del nostro discorso, è particolarmente interessante la parte in cui Fichte afferma: “Il principio secondo cui essa [la Germania, ndr] deve tracciare i suoi confini e chiudere il cerchio delle genti tedesche le fu tracciato dalla natura: chiunque crede nello spirito, e alla libertà dello spirito, e vuole il progresso all’infinito dello spirito per mezzo della libertà, dovunque sia nato e qualunque lingua parli è della nostra razza; egli ci appartiene; egli verrà con noi”. Si tratta di una sorta di “nazionalismo inclusivo”, dove la “razza” è rintracciata più per comunanza di ideali che di sangue, e tuttavia siamo di fronte ad una visione molto forte dell’appartenenza. Al netto dei secoli trascorsi tra noi e il testo fichtiano, e delle differenze tra la mentalità comune di un popolo e la sua filosofia, tenere presente questi aspetti culturali può essere utile per capire un po’ i tedeschi, e così il caso Özil ed eventuali casi futuri.
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