L’ala destra

Il congresso di AfD, da cui l’ala radicale esce ancora più rafforzata

Questo novembre è mese di congressi per i partiti politici tedeschi: dopo i Verdi e la CDU, lo scorso fine settimana si è tenuto anche il Parteitag di AfD, il partito di estrema destra.

La location stavolta è Braunschweig, in Bassa Sassonia, per la precisione la Volkswagen Halle Braunschweig – che però in questi giorni ha temporaneamente perso il nome. La Volkswagen, infatti, ha deciso di non voler avere niente a che fare con AfD, e ha coperto l’insegna gigante in cima al suo centro congressi.

E il colosso automobilistico non è l’unico, a non gradire la presenza di AfD: in città si sono date appuntamento circa 20.000 persone per una manifestazione di protesta.

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Le operazioni di copertura dell’insegna

I 566 delegati avevano un compito delicato: designare il nuovo duo al vertice. Gli attuali leader, Jörg Meuthen e Alexander Gauland, erano stati eletti poco meno di due anni fa, nel dicembre 2017, alla fine di un tempestoso congresso ad Hannover; e se Meuthen aveva fatto già fatto sapere che si sarebbe ricandidato, Gauland invece ha scelto di fare un passo indietro, in nome di un auspicato ricambio generazionale.

Nel suo discorso, l’ex esponente CDU ha spiegato di volersi fare da parte per lasciare spazio ai giovani, e ha ribadito la necessità per il partito di prepararsi ad assumere responsabilità di governo. “Se i verdi, i rossi e i rossi-scuro [cioè la Linke] vanno insieme, verrà il giorno in cui a una CDU indebolita resterà una sola opzione: noi”, ha detto Gauland, invitando gli alternativi a interpretare appieno il loro ruolo di “difensori del popolo e della gente comune” (anzi, il termine da lui usato è Anwalt, che vuol proprio dire “avvocato”: vi ricorda qualcuno?).

La mossa di Gauland ha aperto i giochi: se da un lato la sua indicazione di rendere il partito più salonfähig, cioè più “presentabile”, implica inevitabilmente un ammorbidimento e uno spostamento verso posizioni più moderate, dall’altro non è possibile ignorare il peso sempre maggiore dell’ala più radicale ed estremista, ben rappresentata dalla cosiddetta Flügel (per l’appunto “l’ala”) il cui leader più riconoscibile è Björn Höcke, capo della sezione in Turingia. E che i nazionalisti non intendessero rinunciare alla loro influenza nel partito lo si era capito già qualche giorno prima del congresso, quando aveva annunciato la sua candidatura a leader Wolfgang Gedeon, ex medico e autore di numerosi libri. Gedeon è infatti da tempo al centro di numerose polemiche per alcune dichiarazioni in odore di antisemitismo, che ricordano molto da vicino alcune delle uscite più note – e famigerate – dello stesso Björn Höcke. Se Höcke definiva il Memoriale dell’Olocausto di Berlino un “monumento alla vergogna” e si auspicava una “inversione di 180 gradi” nella politica della memoria tedesca, Gedeon ritiene che il negazionismo sia una posizione perfettamente legittima, e parla di “lobby ebraiche” responsabili di terribili complotti ai danni della Germania e arrivate addirittura ad infiltrarsi nel partito.

Il candidato preferito da Gauland per la sua successione, però, è un altro: Tino Chrupalla, deputato al Bundestag proveniente dalla Sassonia. Ex CDU entrato in AfD nel 2015, Chrupalla non è uno degli “estremisti”, per quanto abbia buone relazioni con tutte le anime del partito e non si discosti troppo dalla retorica incendiaria su Islam e immigrazione che rappresenta il marchio di fabbrica dell’ala nazionalista, e potrebbe quindi rappresentare una soluzione di compromesso.

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Tino Chrupalla

Alla fine i delegati hanno deciso di riconfermare Meuthen con oltre il 69% dei voti a favore, e anche di dar retta a Gauland: Chrupalla è infatti stato eletto, dopo un ballottaggio con l’altro candidato, il deputato Gottfried Curio. Del fatto che però possa davvero trattarsi di una soluzione di compromesso è legittimo dubitare: la sua elezione è stata resa possibile proprio dal sostegno della Flügel. Probabilmente, dalla sua elezione e da questo congresso l’ala radicale esce sostanzialmente rafforzata, sempre più influente e sempre meno timida nel mostrare la sua forza, nonostante gli scandali per donazioni illegali.

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Björn Höcke e Alexander Gauland (Foto: Julian Stratenschulte/dpa)

Una situazione che pone con rinnovata urgenza una questione ormai da anni al centro del dibattito pubblico tedesco: che fare con AfD? Che atteggiamento avere nei confronti di un partito in esplicito odore di neonazismo, in un Paese in cui una roba del genere è – sul serio, però – un reato? Tentare di “normalizzarli”, trattandoli come un partito qualunque, rischiando però di spostare il confine di ciò che è politicamente e socialmente accettabile in territori molto pericolosi? O non stancarsi di denunciare la loro natura di autentici nemici della democrazia e delle conquiste del liberalismo occidentale, come di recente ha fatto Markus Söder, il leader della CSU e governatore della Baviera, durante un discorso tenuto al congresso della CDU?

Argomenti a favore di una o dell’altra ipotesi ce ne sono, ad essere sinceri. Ma anche per i più convinti sostenitori della “normalizzazione” è difficile controbattere ad un appassionato articolo apparso sabato sulla Frankfurter Rundschau a firma di Michel Friedman, giurista, conduttore televisivo e docente emerito all’Università di Francoforte.

Friedman, che è stato fra l’altro vicepresidente del Zentralrat der Juden in Deutschland (il Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania), ha denunciato con forza tutti gli aspetti più oscuri di AfD, partito eletto democraticamente “ma non democratico”. Un movimento autoritario e reazionario, artefice principale del clima di violenza nei confronti degli immigrati e dei rifugiati, vittime in questi anni di numerosi attacchi – come quello alla sinagoga di Halle.

Che un partito come questo sia presente in tutti i parlamenti regionali, e sia la principale forza d’opposizione nel Bundestag, è una minaccia per la democrazia, scrive Friedman, contro cui tutti i cittadini a cui sta a cuore lo stato di diritto devono mobilitarsi. AfD vuole un altro stato, un’altra società, in cui non ci sia più spazio per “gli altri”; e mentre i suoi esponenti fanno a gara a chi è il più radicale ed il più estremista, il pericolo cresce, inesorabilmente. I segnali ormai non possono più essere ignorati: e nessuno potrà dire “non lo sapevo”.

Edoardo Toniolatti

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