La Digitalisierung, o il futuro che non arriva mai

La Germania e il digitale: panoramica di un rapporto conflittuale

Nelle ultime settimane la tecnologia ha permesso di aggirare molti ostacoli prodotti dal lockdown.

Molti servizi ancora attivi sono gestibili tramite app o tramite email e anche gli utenti più restii hanno fatto almeno un tentativo di utilizzarli. Questa forzatura potrebbe spingere a superare paure e a prendere nuove abitudini, eventualmente anche a diffondere una maggiore cultura digitale. In Germania questa sarebbe un’ottima notizia, dopo molti tentativi fatti nel corso degli anni per portare il Paese a un nuovo standard e permettere a imprese e privati di accedere a migliori infrastrutture.

La cosiddetta Digitalisierung è stata per molto tempo un tema ricorrente nel discorso politico, distorto fino a coincidere con un futuro che alla fine non arriva mai, per cui forse non val la pena essere pronti troppo presto: tanto il vecchio modo di fare le cose va ancora bene e non crea confusione. Il trascinarsi di questa mentalità ha finito per tenere il Paese in un limbo, in cui qualunque riforma non attuata è già obsoleta. E il futuro per cui prepararsi è già passato.

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Spoiler: la Germania non è Wakanda.

A che punto è la Germania

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“Quando si tratta di attrezzature, la Germania è piuttosto indietro, non solo in confronto ai paesi più avanzati. (…) Lo spirito è forte, ma il WiFi è debole. Andreas Schleicher – Direzione Istruzione OCSE e ideatore del programma PISA (Fonte: tageschau)

Contrariamente a uno stereotipo positivo, la Germania come Paese non è tra i leader nell’avanzamento e nella diffusione della tecnologia e del digitale. Lo sono alcune aziende private tedesche, soprattutto quelle che possono permettersi di aggirare le limitazioni dell’infrastruttura carente, ma per il resto ci sono grandi vuoti.

Il Global Competitiveness Report 2019 del World Economic Forum vede la Germania al 72° posto per numero di connessioni Internet via cavo a fibra ottica e al 58° posto per le connessioni mobili a banda larga. Per la categoria complessiva “adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (ICT adoption) è 36esima al mondo.

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Fonte: World Economic Forum

Detiene invece il primo posto per capacità di innovazione, il 12° e ultimo pilastro del report.

Posizionamenti così distanti in categorie chiave mostrano come il digitale per tanto tempo non sia stato parte del senso per l’innovazione alla tedesca. Forse è arrivato il momento di chiedersi per quanto tempo ancora la Germania può permettersi di ignorarlo e mantenersi competitiva. Secondo alcuni osservatori, potrebbe essere già tardi.

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Fonte: World Economic Forum

La rete

Elemento irrinunciabile per lo sviluppo del digitale è l’infrastruttura.

La rete dati in Germania è strutturalmente obsoleta, poco estesa, poco affidabile, disomogenea per potenza e qualità del segnale.

Copertura della rete, confronto con la media OCSE del 2017:

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Nel 2017, il posizionamento della Germania per velocità di connessione (Mbit/s):

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Nel 2017 la velocità della rete tedesca era appena poco più della metà di quella della Sud Corea, capolista mondiale. Fonte: statista.com

Non va meglio guardando ai dati per dispositivi mobili, dati del 2019:

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2019 | Dati mobili disponibili in Europa a parità di spesa – 30€. Fonte: http://research.rewheel.fi/

Sottovalutazione e ritardi – Come si è arrivati alle attuali condizioni

La Germania non ha un ministero dedicato al digitale, del tema si occupa uno Staatsministerium – equivalente come funzioni a un sottosegretariato ministeriale – senza portafoglio. Questo aspetto è stato spesso criticato: molti vorrebbero che ci fosse un ministero per il digitale, con la possibilità di stanziare investimenti e dare seguito a riforme necessarie. Per il momento, però, il digitale è ancora un tema frammentato a livello federale tra gli interni, l’economia e i trasporti.

Nel 2018 la sottosegretaria (Staatsministerin) al Digitale per gli interni, Dorothee Bär (CSU), rilasciò al suo esordio un’intervista indimenticata al Welt. In cima alla classifica degli ipse dixit più ricordati ce n’è uno a tema social media: “su Twitter ci sono solo politici, giornalisti e psicopatici” – detto per spiegare come mai non avesse un account Twitter, un fatto ritenuto strano per un sottosegretario al Digitale.

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Molto suggestivo per i tratti avveniristici anche un riferimento ai taxi volanti: Bär aveva precedentemente sostenuto che fossero già operativi a Dubai, benché di ideazione tedesca. Il giornalista le chiese se li avesse già provati, lei rispose “non ancora”.

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Ancora ministri e confusione digitale: il ministro degli Interni Horst Seehofer (CSU) in una video intervista ha dichiarato di non essere molto attivo sui social media, ma di essere in compenso molto presente su Internet, addirittura già dagli anni ‘80.

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Seehofer naviga in Internet dagli anni ’80.

Le gaffes capitano e non sono certo misura degli sfortunati autori. Rimane però il dubbio che il tema sia un po’ troppo sottovalutato dalla politica, se argomenti così basilari per il pubblico sono invece ancora ostici per i politici competenti sul tema.

Il riferimento da parte di Seehofer agli anni ‘80 è un’interessante coincidenza. Ovviamente non è possibile che Seehofer navigasse in Internet a quei tempi, ma è invece un fatto che già nel 1981 l’allora Cancelliere Helmut Schmidt (SPD) avesse annunciato un piano di investimenti massicci per la costruzione di una rete in fibra ottica:

„Sobald die technischen Voraussetzungen vorliegen, wird die Deutsche Bundespost aufgrund eines langfristigen Investitions- und Finanzierungsplanes den zügigen Aufbau eines integrierten Breitbandglasfasernetzes vornehmen“

“Non appena saranno soddisfatti i requisiti tecnici, Deutsche Bundespost creerà rapidamente una rete integrata in fibra ottica a banda larga basata su un piano di investimento e finanziamento a lungo termine.” (Verbale B 136/51074 dall’archivio federale)

Il piano trentennale prevedeva di dotare la Germania di una rete in fibra ottica entro il 2015. Se il piano avesse avuto seguito la Germania avrebbe oggi la migliore rete a banda larga del mondo.

Cos’è successo, dato che questo piano non si è realizzato? Nel 1982 Schmidt non è più Cancelliere, gli succede Helmut Kohl (CDU) con un nuovo governo che converte gli investimenti per la fibra ottica destinandoli invece alla tv via cavo, con cavi in rame.

La motivazione secondo l’allora ministro delle Poste e Comunicazioni Christian Schwarz-Schilling (CDU):

„Das deutsche öffentlich-rechtliche Fernsehen war in dieser Zeit mit einer absoluten linken Schlagseite versehen.“

“La programmazione della televisione pubblica tedesca a quell’epoca era completamente sbilanciata a sinistra”.

Secondo alcuni c’era un calcolo politico dell’Union dietro questa scelta: se non si potevano influenzare programmi di approfondimento politico come “Monitor” e “Panorama“, trasmessi sulla prima rete pubblica ARD, allora avrebbe dovuto esserci almeno una concorrenza dall’esterno, attraverso la televisione privata sulle reti via cavo.

Secondo altri sarebbero stati invece interessi privati a motivare Schwarz-Schilling: fino a letteralmente poche ore prima di diventare ministro deteneva ancora delle azioni della Sonnenschein KG, tra i privati che realizzarono la posa dei cavi in rame. All’epoca il rame costava meno di un terzo delle fibre ottiche.

La sua fu una scelta aspramente criticata già allora, ma Schwarz-Schilling ha negato anche recentemente di essere mai stato a conoscenza delle disposizioni prese durante il cancellierato di Schmidt, aggiungendo che comunque non sarebbero state vincolanti.

Questo cambio di rotta spiega in parte l’obsolescenza della rete tedesca e perché si sia preferito finanziare la rete in rame che è la più lenta: 100 Mbits/s download e 40 Mbits/s upload in condizioni ottimali, mentre la fibra ottica può tranquillamente gestire 1000 Mbit/s.

Le occasioni (perse) per mettersi al passo – Digitale Agenda 2014–2017

L’agenda europea 2020 viene in soccorso dei Paesi in difficoltà, unificando lo standard digitale. Si propone di “fornire ai consumatori e alle imprese un migliore accesso ai beni e servizi digitali in tutta Europa”:

una migliore connessione a Internet per tutti attraverso la copertura totale con banda larga di base, in particolare grazie agli sviluppi della banda larga mobile e satellitare, al fine di sviluppare una connettività gigabit per tutti i principali attori socioeconomici, mediante un uso armonizzato della banda di frequenza 470-790 MHz nell’Unione e l’offerta della banda larga per la connessione a Internet mobile 5G entro il 2020

Ciascun Paese avrebbe dovuto dotarsi di un piano per realizzare gli obiettivi, in Germania questo prese la forma della Digitale Agenda 2014–2017. Restringendo a tre obiettivi principali si sarebbe dovuto creare la connessione a banda larga, fornire 30 Mbit/s per tutti (2013) e dotare il 50% delle abitazioni con contratti per almeno 100 Mbit/s (2020). I primi due obiettivi non sono stati raggiunti in tempo e il terzo è stato rimandato al 2021.

Rete 4G

L’attuale rete 4G (LTE) ha scarsa copertura dati e telefonia mobile, tanto da lasciare completamente isolate molte zone:

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Confronto copertura 4G in Europa, percentuali (2018).
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In giallo, vuoti della rete dati. In rosso, vuoti della rete per la telefonia mobile. (2018)

La velocità di trasferimento dei dati localmente e i punti morti nella rete mobile si possono visualizzare con una app fornita dalla Agenzia federale per le reti (Bundesnetzagentur, “BNetzA”) – il regolatore tedesco delle telecomunicazioni.

Tramite le misurazioni, viene generata una mappa che indica la velocità di download in percentuale (mediana), indicata sulla carta con una scala di colori tra blu scuro (valore massimo) e giallo (valore minimo).

Selezionando una località si può visualizzare un pannello di informazioni, inclusi gli operatori della zona.

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Rete 5G

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“The Unrestrained Demon!” This illustration—while maybe silly to us today, in 2018–was in response to the death of linesman John Feeks in New York in 1889. The illustration appeared on the cover of Judge magazine on October 26, 1889 (Bettmann/CORBI).

L’obiettivo 5G è ora posticipato al 2020, ma si sa già che ci vorrà più tempo.

Ancora una volta non aiuta l’impreparazione dei politici. Anja Karliczek (CDU), ministra per l’istruzione e la ricerca, ha dichiarato che la copertura totale per il 5G non serve: il servizio può anche non arrivare “an jeder Milchkanne“, cioè “porta a porta”.

Si può tentare lo stesso di far funzionare il 5G anche con pochi interventi sulla rete attuale? E’ quello che si tenta di capire, date le molte difficoltà di ammodernamento.

Come già chiarito, non è disponibile la banda larga e non lo sarà in breve tempo e l’assunto di base è che senza banda larga non può esserci 5G perché nessuna alternativa può offrire la stessa velocità.

Si era anche ipotizzato di utilizzare la rete a 700 MHz, liberata dalla tv DVB-T nel 2015, dal momento che sarebbe stata compatibile nonostante le frequenze più basse. Ma la soluzione è stata abbandonata: gli slot dei tre provider – Telekom, Vodafone e Telefonica (O2) – sono troppo ridotti e frammentati per offrire la velocità necessaria per il 5G. E’ indispensabile potenziare nel frattempo la rete LTE (4G) almeno per raggiungere la copertura nelle zone rurali. L’idea di fornire un cosiddetto “roaming regionale” è stata anche abbandonata perché non presentava vantaggi per gli operatori: gli oneri dell’infrastruttura sono ingenti e non c’erano attrattive economiche a compensare.

La dichiarazione di Karliczek è stata profetica almeno in riferimento alle zone rurali dove la rete attuale è più debole e frammentata. Purtroppo anche in questo caso il ragionamento è fallace: “in campagna Internet non serve”. Ma anche questo assioma è stato molto attaccato, sia dai Verdi che da associazioni di consumatori. In prima linea ci sono anche importanti gruppi di agricoltori che chiedono una rete affidabile e, idealmente, il 5G per abbandonare pratiche obsolete e poter fare uso di processi automatizzati.

I tempi per la costruzione della rete 5G sono stimati tra gli 8 e i 12 anni, l’obiettivo per il completamento era stato spostato al 2025, ma sembra che si sia già in forte ritardo.

Intanto le aste per le frequenze 5G sul territorio tedesco si sono concluse un anno fa: se le sono aggiudicate quattro operatori – Deutsche Telekom, Vodafone, Telefónica / O2 e 1 & 1 Drillisch – per 6,6 miliardi di euro.

L’asta prevedeva una serie di obblighi per i vincitori: per l’espansione del 5G, gli operatori vincenti sono soggetti all’obbligo di costruire le prime 1000 stazioni base per il nuovo standard radio entro la fine del 2022. Le società si concentreranno tutte sulle aree metropolitane: dovranno installare migliaia di nuove antenne radio e collegarle alla rete in fibra ottica. Telekom da solo punta a circa 36.000 località di trasmissione entro il 2021, 7.000 in più rispetto al 2019.

I gruppi di operatori dovranno anche fornire la copertura con Internet mobile veloce. Inizialmente, sarà sufficiente la LTE convenzionale, che entro la fine del 2022 dovrebbe raggiungere il 98% delle famiglie in ogni Land con almeno 100 megabit al secondo – come previsto dal mancato obiettivo della Digitale Agenda 2014-2017. Nella prima fase, sarà sufficiente raggiungere solo il 25% delle famiglie in Germania e entro il 2025 il 50%. Secondo i calcoli degli analisti, basterebbe coprire con la LTE circa 40 città per raggiungere l’obiettivo. Nel 99% dell’area la telefonia mobile e la rete dati potranno essere in roaming tramite reti esterne.

Altro requisito è l’installazione di 500 antenne aggiuntive nelle zone dove non c’è copertura per la telefonia mobile. Anche i vuoti di segnale nei treni, lungo le autostrade e le strade principali dovrebbero essere finalmente riempiti.

Complessivamente, si stima che l’espansione del 5G costerà decine di miliardi di euro.

Il ricavato dell’asta è andato al fondo digitale, di cui il governo federale intende spendere fino a 12 miliardi di euro per la promozione di Internet veloce entro la attuale legislatura. Primo obiettivo: la posa di rete a fibre ottiche in case, aziende, scuole e istituzioni pubbliche.

Un elemento curioso sull’infrastruttura 5G: la Germania era stata l’unico Paese nel 2019 a non porsi il problema della sicurezza in merito ai chip Huawei. Mentre quasi tutti avevano sollevato obiezioni, gli USA in testa, la Germania aveva scelto un approccio inaspettatamente flessibile, dichiarando tramite Arne Schönbohm, capo dell’ufficio federale per la sicurezza IT, di preferire “la supervisione al divieto”. Secondo gli esperti questo approccio potrebbe non permettere di intervenire in tempo, in caso di problemi, e lasciare quindi esposti a gravi conseguenze. Ne è seguito un lungo dibattito politico, al termine del quale si è deciso di non escludere Huawei dal novero dei fornitori di materiali per la rete 5G.

Nel frattempo Huawei ha chiuso contratti con 47 operatori europei.

Sfide e controversie precedenti l’emergenza Coronavirus

Oltre alle questioni strutturali appena viste, si intravede come la mentalità e cultura influiscano sul ritardo del digitale in Germania. In alcuni casi si tratta di abitudini difficili da abbandonare, il fatto che la Digitalisierung sia sempre dipinta come foriera di cambiamenti radicali non aiuta a superare la diffidenza. D’altro canto, la burocrazia tedesca è un mastodonte tutt’altro che agile e immaginarne una riforma radicale è un pensiero che può incutere timore.

La burocrazia e il cartaceo

Il più grosso ostacolo al digitale è il cambio di mentalità che richiede. Molto spesso il digitale è interpretato come un’altra modalità di fare le stesse cose quasi come prima, ma questo non è solo riduttivo: è proprio sbagliato e controproducente. Ci sono alcuni esempi che chiariscono bene questo fraintendimento in Germania.

Uno di questi è il forte attaccamento al cartaceo: la burocrazia si avvale pesantemente dell’archiviazione di documenti. Basti pensare che per accedere ad alcuni servizi pubblici è necessario presentare per prima cosa una copia (cartacea) non più vecchia di 3 mesi del proprio certificato di residenza. Al complicarsi delle interazioni tra uffici pubblici si moltiplicano i certificati ottenuti e quelli da fornire al passaggio successivo. Se se ne perde uno si può richiedere, ma possono esserci limiti al numero di copie in un determinato lasso di tempo. Anche se i documenti vengono processati in tempi brevissimi e con efficienza, è evidente che questo sistema mostra dei limiti. La digitalizzazione potrebbe risolvere molto, a patto di ripensare il metodo di processare e condividere le informazioni.

Un fraintendimento tipico: il digitale ridotto a mezzo alternativo per visualizzare il cartaceo.

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“Per partecipare, si prega di compilare prima la dichiarazione di partecipazione allegata, scattare una foto e semplicemente inviarcela via e-mail.”

Il caso del contante e dei pagamenti smart

I tedeschi hanno un rapporto molto stretto con il contante: in Europa sono quelli che ne portano di più nel portafoglio e lo prediligono negli acquisti – l’80% contro il 45% nei Paesi Bassi.

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Euro in contanti nel portafoglio, media per Paese. (2018)

Di per sé questa informazione non dice molto sull’attitudine tedesca ai metodi di pagamento, ma dice tanto se confrontata con il ritardo con cui si diffondono metodi di pagamento digitali.

Il contante è in Germania il simbolo della trasparenza di transazione, che finisce per esprimere il valore del rispetto per la privacy individuale – un valore imprescindibile nella cultura tedesca. Max Otte, economista e promotore della campagna Save Our Cash, per sostenere la superiorità del contante arriva addirittura a rovesciare il punto di vista: “il punto non è perché i tedeschi amino il contante, il punto è come mai la transizione al cashless è stata così rapida per gli altri”. La sua posizione è un’obiezione tipica presentata nelle discussioni sull’uso del contante.

Un sondaggio sulle abitudini del 2017 ha rivelato che per il 90% dei partecipanti il motivo per cui preferire il contante era ancora la sicurezza, citando la privacy come elemento di protezione. Solo il 48% pensava che fosse più sicura la carta di debito, mentre i pagamenti smart erano in fondo alla lista.

Nel 2018 i pagamenti con la carta hanno superato per la prima volta i pagamenti in contanti.

Nel 2020 le cose sono ulteriormente cambiate: anche prima della pandemia di Covid-19 la Bundesbank registrava un incremento di pagamenti contactless, iniziato nei due anni precedenti. Ad aumentare soprattutto i pagamenti tramite carta, ma ormai anche altri metodi smart sono ampiamente diffusi: la pratica di pagare con lo smartphone è ormai definita standard.

Cosa ha prodotto questo cambiamento in tempi così brevi? Probabilmente un insieme di condizioni: la disponibilità di più modalità di pagamento, la loro affidabilità dal punto di vista tecnico (facilità di gestione per l’utente in primis), e una maggiore informazione e consapevolezza dei rischi. La maggior parte degli utenti usa infatti app fornite dalla propria banca (11%), con cui è già instaurato un rapporto di fiducia, mentre suscitano ancora diffidenza sistemi terzi come Apple Pay e Google Pay (4% e 5%).

Dall’inizio della pandemia molti negozi e supermercati hanno invitato i clienti a pagare con le opzioni contactless. Una maggiore consapevolezza dei mezzi ha aiutato molti a cavarsela e li ha spinti anche ad aiutare chi è rimasto un po’ indietro:

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rewe – Con Girocard, Payback o smartphone – ci fa piacere se pagate #contactless! Le normali carte e i contanti continueranno ovviamente a funzionare. Comm. 1 – Ma non toccano tutti il coso per la carta per inserire il codice? Comm. 2 – E quindi appunto per quello: “contactless”.

Standardizzazione e creazione di nuove competenze

Entrare nel mondo del digitale significa anche assicurarsi che la forza lavoro sia preparata. I dati OCSE 2019 dicono che la Germania se la cava bene per quanto riguarda le nuove generazioni, nonostante le scuole siano ancora indietro, ma che occorre intervenire sulla formazione continua per chi è già impiegato e necessita di aggiornarsi.

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Confronto sui benefici della digitalizzazione, sull’esposizione alla digitalizzazione, policy per assicurare il massimo ritorno dalla transizione al digitale. (OCSE 2019)
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Quota di progetti o attività su piattaforme digitali per Paese. (OCSE dati 2018)

Nel 2015 Telekom realizzò un documento in collaborazione con l’università di St Gallen: “Arbeit 4.0: Megatrends digitaler Arbeit der Zukunft” – “Lavoro 4.0: le tendenze del lavoro digitale del futuro”. Il documento contiene 25 tesi, elaborate da 60 esperti di varie discipline, che chiariscono il potenziale rivoluzionario del digitale nel mondo del lavoro: tutto va ripensato, non si tratta solo di sostituire procedure obsolete o analogiche con un software automatizzato, ma di ripensare le relazioni e i ruoli in larga scala. In sintesi, occorre una nuova mentalità.

Nel 2020, un terzo delle piccole e medie imprese tedesche non riesce a coprire il fabbisogno di competenze digitali tramite i dipendenti. In particolare mancano competenze sull’online marketing, sui social media e sull’analisi dati – secondo uno studio della banca pubblica per lo sviluppo KfW.

Cambio di mentalità e di approccio

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Nel 2013, durante la visita di Barack Obama in Germania, Angela Merkel definì Internet come un “Neuland”, cioè un territorio sconosciuto, inesplorato. Diede a questo concetto una connotazione estremamente negativa, specificando che “consente ai nemici ed oppositori dell’ordine democratico di mettere a rischio il nostro stile di vita in modi completamente nuovi”. Una dichiarazione che contiene del vero, ma che sicuramente dipinge un quadro molto estremo riducendo Internet alla frontiera del mito Western senza legge.

Un falso elemento di ostacolo alla fluidità del digitale è il quadro normativo sulla protezione dei dati dell’utente, che in Germania è particolarmente restrittivo. E’ così in gran parte per una questione culturale legata alla storia recente: l’assoluto controllo da parte dello stato sulle vite dei cittadini fino a fine anni ‘80 del novecento in una parte del paese. C’è ancora memoria diretta della popolazione di quel sistema di controllo, che lascia traumi e una profonda sensibilizzazione all’idea di rinunciare al controllo esclusivo sui propri dati personali. La conseguenza è una profonda diffidenza sul digitale ed è un comune fraintendimento che la profilazione sia strettamente se non esclusivamente legata al digitale. Per questo molti rifiutano di fare uso di carte bancarie, di profili o account digitali, di servizi digitali sostitutivi alla presenza fisica (portali online, anche istituzionali). Recentemente la prima obiezione alla diffusione di dispositivi smart home è stata legata al rischio di rivelare più o meno consapevolmente informazioni personali sensibili solo perché abbagliati da un senso di maggiore comodità superflua.

Sempre questione di mentalità è anche ritenere che l’interazione online sia di qualità inferiore o che indebolisca a lungo andare la capacità di relazioni nella vita reale. Anche in questo caso si tratta di un’impressione che non trova conferma. L’OCSE cita proprio uno studio svolto in Germania per smentire questa idea:

they found no evidence that having broadband Internet at home had a negative impact on offline social connections such as going to the movies, concerts, visiting neighbours, friends, and volunteering activities.

Their results for children aged 7 to 16 also show no evidence that broadband Internet access crowds out social activities in or out of school, but rather indicates that it may support participation in social group activities outside school.

Ancora una volta, invece che ritrarsi e rifiutarsi di essere coinvolti per diffidenza, sembra molto più efficace creare consapevolezza sui limiti dei mezzi e soprattutto creare un nuovo senso di comunità, un senso di appartenenza alla società digitale.

In questo clima, il dibattito sul tema dei big data e della loro fruizione è stentato e indietro su posizioni troppo massimalistiche e non abbastanza focalizzate su un giusto equilibrio tra diritti di cittadinanza digitale e misure adeguate a prevenire e sanzionare gli abusi.

Coronavirus e big data

L’arrivo della pandemia di Covid-19 ha impresso accelerazione alla transizione verso il digitale, soprattutto per la pubblica amministrazione. Ha consentito di superare molti limiti in particolare sull’uso del cartaceo e, come già visto, sull’uso del contante. In gran parte è stato necessario per conformità alle limitazioni sulla circolazione delle persone. Impensabile tenere in piedi una burocrazia basata sulla vidimazione del cartaceo con le attuali limitazioni: per avere i giorni di malattia approvati dal medico da marzo 2020 è sufficiente avere la conferma via email (o altro messaggio elettronico) da inoltrare al datore di lavoro e all’assicurazione sanitaria (Krankenkasse). Fino a poche settimane prima in molti casi (a seconda della Krankenkasse) il massimo grado di digitalizzazione per questa operazione consisteva nel poter inviare/caricare la foto digitale del permesso medico cartaceo sul sito dell’assicurazione sanitaria e all’ufficio del personale. Sarebbe una rivoluzione poter mantenere queste semplificazioni quando il livello di rischio legato alla pandemia si abbasserà e gradualmente riprenderanno le attività produttive.

Si era parlato già un anno fa di una app per digitalizzare le ricette mediche, con l’obiettivo di standardizzare le procedure e garantire una app gratuita e sicura per tutti. Al tempo si erano presentate difficoltà sia sul piano legale dell’approvazione delle app per la salute, che in merito ai requisiti molto stringenti per dotare gli studi medici e dentistici di sistemi IT con il previsto grado di sicurezza. Queste e molte altre misure di digitalizzazione della sanità erano previste per il 2020.

Cos’ha fatto la Germania durante la pandemia di Covid-19

Contro la diffusione del Covid-19 la Germania ha scelto una strategia basata sul contact tracing e sul potenziamento della capacità di assistenza ospedaliera.

Il contact tracing è la strategia scelta anche da altri Paesi asiatici, tra cui Singapore e la Sud Corea. Per capire meglio di cosa si tratta, occorre distinguerlo da altri due concetti insieme ai quali è spesso citato.

Il contact tracing consiste nel rintracciare potenziali infetti anche prima che sviluppino i sintomi, basandosi sul fatto che siano entrati in contatto con altri contagiati. Si può essere inconsapevoli del contatto ed è per questo che intervengono misure di controllo basate sull’analisi di spostamenti e sulla presenza nello stesso luogo di altri contagiati. Benché il contact tracing si limiti per definizione al rilevamento dei contatti, è solitamente sottinteso in combinazione a una strategia di contenimento e di monitoraggio dei sintomi per scongiurare altri potenziali contagi. L’obiettivo è iniziare subito il periodo di quarantena, in caso di contatto con contagiati. Se questo trascorre senza sviluppare la malattia, si può tornare a una vita normale. La forza di questa strategia è l’interruzione dei contagi con misure molto estreme, ma per una porzione limitata della popolazione e concentrandosi su soggetti a rischio. Lo svantaggio è che si rivela efficace se attuato immediatamente all’insorgere dell’epidemia o quando i focolai sono pochi e facilmente delimitabili.

I test a tappeto implicano invece una strategia quasi opposta: un grandissimo numero di test viene effettuato, con l’obiettivo di testare la quasi totalità della popolazione, escludendo quindi solo i casi ritenuti praticamente non soggetti al virus (magari perché già isolati per altri motivi) o chi ha già avuto la malattia (se confermata l’immunizzazione). Il vantaggio principale, se la strategia è attuabile, è una mappatura estesa della diffusione del contagio. Gli svantaggi di questa strategia sono la difficoltà di elaborare la mole di dati e stabilire quali strategie di contenimento vadano applicate nei casi (ancora) negativi. Il test negativo, se effettuato con questa strategia, non dice che probabilità ci siano di sviluppare la malattia. Inoltre, più è estesa la popolazione, maggiori sono il lavoro e i costi di manutenzione della mappatura.

Il tracking digitale è spesso citato come “metodo” ma è invece piuttosto uno strumento. Si riferisce alla possibilità di raccogliere informazioni sugli spostamenti dei contagiati anche prima che sviluppino i sintomi, con lo scopo di individuare altri potenziali malati prima che possano infettare altri. Le caratteristiche tecniche e l’invasività del tracking digitale variano a seconda della capacità tecnica e del quadro normativo vigente. E’ talvolta confuso con il contact tracing, o usato erroneamente come sinonimo, ma come spiegato si tratta invece di uno strumento di supporto a quella strategia – il contact tracing può essere svolto anche senza ricorrere al digitale, ma naturalmente con tempi e proporzioni diverse. A Singapore è parte integrante del contact tracing e si svolge anche attraverso l’uso di una app specifica, chiamata TraceTogether. La app raccoglie i dati degli utenti in forma anonima e funziona registrando gli incontri con altri utenti, attraverso il bluetooth. Se in futuro un utente risulta positivo, la app consente di risalire ai contatti avuti con altri e invia a questi una notifica che li invita a fare il test. Non sono archiviati dati sull’identità degli utenti né sui loro spostamenti. I dati sui contatti tra utenti vengono automaticamente cancellati dopo 21 giorni e la app sarà disattivata quando l’emergenza Covid-19 sarà finita. Nonostante se ne parli molto, le autorità di Singapore hanno più volte chiarito che la app è solo uno dei molti strumenti che compongono la strategia di contact tracing nel Paese e tendono a ridimensionarne la portata.

L’utilizzo del contact tracing come strategia contro la pandemia è caldeggiato dall’OMS dai primi esordi del Covid-19. La raccomandazione a questa strategia è precedente l’insorgere del coronavirus, infatti la Sud Corea e Singapore hanno avuto modo di affinare la strategia durante le epidemie di SARS e MERS, un elemento che ha sensibilizzato l’opinione pubblica motivandola a offrire collaborazione.

In Germania, si è dibattuto a lungo sulla possibilità di estendere il monitoraggio dei dati mobili, come misura di emergenza a contrasto dell’epidemia. Prima di vedere le novità su questo punto, vediamo cosa già si faceva e si poteva fare prima.

Deutsche Telekom forniva già al Robert Koch Institute (RKI) dati da dispositivi mobili in grado di mappare i flussi di movimento di circa 46 milioni di utenti, e anche Telefónica aveva già dato la disponibilità a farlo. Si tratta di dati anonimi e aggregati che non rilevano la localizzazione o gli spostamenti dei singoli utenti, conformemente alla legge sulla protezione dei dati, come confermato dal funzionario federale per la protezione dei dati Ulrich Kelber. Telekom commercializza da anni pacchetti di dati anonimi attraverso la sua controllata Motionlogic. Anche Telefónica fornisce dati aggregati ad altre società, comuni e autorità. La procedura è coordinata con il responsabile federale della protezione dei dati e si svolge automaticamente senza che sia richiesto il consenso dell’utente. Esiste comunque la possibilità di opt-out ma è un passaggio attivo: Telekom e Telefónica offrono moduli di opt-out specifici agli utenti.

Perché non basta?

L’idea di una app a supporto del contact tracing ha ormai preso piede anche in Germania, ma la discussione al momento è ancora in corso. I punti critici sono infrastrutturali, etici e legali.

Il problema dei dati raccolti attualmente è che non sono sufficientemente raffinati per il contact tracing: i dati forniti sono rilevati dalle celle radio, che anche nei luoghi con maggiore densità al massimo possono rilevare la presenza degli utenti in uno spazio di diverse centinaia di metri quadri. Anche una procedura di triangolazione è insufficiente, soprattutto in quelle aree con pochi rilevatori – non così poche, come già visto.

Il RKI, insieme all’Istituto Heinrich Hertz (HHI) dell’Istituto Fraunhofer, ha chiarito che la app deve consentire “di registrare la vicinanza e la durata del contatto tra le persone nelle ultime due settimane e di salvarle in forma anonima sul cellulare” per essere efficace.

Il più grosso ostacolo al successo della strategia è quello del consenso all’uso dei dati: questi possono essere raccolti solo su base volontaria. Sorprendentemente, però, un sondaggio ha rivelato che circa il 70% della popolazione sarebbe disposta a rinunciare a un po’ di privacy per dare un contributo contro l’epidemia. Rimane chiaramente impossibile far sì che tutti abbiano uno smartphone o un dispositivo che supporti l’eventuale app, così come è impossibile imporre di scaricare una determinata app su un dispositivo personale, sia anche per ragioni di salute e di sicurezza. Senza contare che rimane sempre per tutti la possibilità di lasciare il telefono a casa e non essere tracciabile. Dato che proprio alla Germania si deve l’”invenzione” della protezione dei dati, culminata a livello europeo nel GDPR del maggio 2018, questa potrebbe essere una grossa sfida – molto dipenderà dal cambiamento di sensibilità dell’opinione pubblica.

Dati da app di fitness per aiutare nel tracciamento

Il Robert Koch Institut (RKI) nel frattempo ha sviluppato una app insieme a Thryve (mHealth Pioneers GmbH – azienda specializzata in fitness tracking) che raccoglie i dati fitness dell’utente e registra eventuali anomalie che possano essere ricondotte a sintomi di Covid-19 – per esempio, battito cardiaco alterato, febbre, etc. Per usarla è necessario avere uno smartwatch o un altro dispositivo che rilevi il battito cardiaco – lo smartphone non basta. Oltre alle informazioni fitness, viene registrato il CAP dell’utente per valutare la diffusione geografica del virus. Non sono raccolti i dati provenienti dalla geolocalizzazione. La partecipazione è volontaria e i dati sono forniti dietro pseudonimo. Secondo gli esperti, è sufficiente che la installi e la usi circa il 60% della popolazione, che è una percentuale alta: a Singapore la percentuale è stata molto minore e si sono ottenuti buoni risultati insieme ad altri metodi (distanza sociale, igiene delle mani, pulizia dei luoghi condivisi).

Lo scopo della app è soprattutto fare emergere nuovi focolai per controllarli prima possibile.

Una breve considerazione: alle giuste richieste di garanzie e spiegazioni chiare su tutta la filiera di controllo dati, specialmente se attuata per la prima volta in condizioni emergenziali, deve corrispondere anche la comprensione di un vantaggio innegabile e cioè che più dati si raccolgono e – soprattutto – meglio li si interpreta, e meno restrizioni della libertà personale saranno necessarie per la popolazione. Sapere che alcune aree sono a maggior rischio o sapere che un determinato comportamento ha portato a maggiori contagi sono informazioni preziosissime per evitare i rischi inutili e mantenere abitudini sicure.

Possibili sviluppi futuri

Ci si può aspettare che la discussione sul contact tracing si intensifichi nelle prossime settimane, perché sarà necessaria una strategia di mappatura per la cosiddetta “fase 2”, cioè il progressivo allentamento della fase di lockdown.

Altri argomenti da tenere d’occhio saranno l’eventuale discussione a livello europeo di una strategia comune per il lungo periodo e – benché questo possa sembrare prematuro – le prerogative del 6G, il sistema successivo al 5G, che mira soprattutto a superare i limiti di governance e della cosiddetta “digital sovereignty” del 5G.

Francesca Vargiu

2 pensieri riguardo “La Digitalisierung, o il futuro che non arriva mai”

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