Verso il 23 febbraio – L’Union

La strada verso la Cancelleria sembrava assolutamente spianata per Friedrich Merz.
È ancora così?

Per buona parte dei (pochi) mesi che hanno separato la caduta del governo semaforo dalle elezioni anticipate, previste per il 23 febbraio, la campagna elettorale tedesca è stata relativamente sonnacchiosa.

Una delle ragioni è stata senza dubbio la tempistica. Il percorso che porta ai seggi è iniziato ufficialmente subito prima di Natale, e i tedeschi fra fine dicembre e inizio gennaio devi lasciarli stare: vogliono solo mangiare raclette, guardare Dinner for One in tv e poi il 31 a mezzanotte scendere per strada a sparare botti che basterebbero per una guerra civile, e basta, altro che politica.

E non dobbiamo dimenticare che queste elezioni sembravano essere le più telefonate di sempre. Sapevamo già chi avrebbe vinto, chi avrebbe perso, chi sarebbe stato Cancelliere, chi avrebbe governato con chi. Non è che ci fosse tutta questa suspense, ecco.

Poi però sono iniziate a succedere cose, che in un modo o nell’altro hanno preso ad animare il dibattito. Tragedie come quelle di Magdeburgo o di Aschaffenburg, che come naturale hanno occupato per giorni le prime pagine dei giornali e scosso profondamente l’opinione pubblica. Oppure Elon Musk che si sveglia e decide di entrare nel dibattito pubblico tedesco non a gamba tesa, ma direttamente con le bombe a mano. Il capo del fu Twitter prima ha usato la sua piattaforma per conferire ad AfD il titolo di unica salvatrice della Germania, e di passaggio anche per dare più volte dell’imbecille a Olaf Scholz, poi si è servito direttamente di un giornale tedesco, la Welt am Sonntag – cioè l’edizione domenicale della Weltper pubblicare un editoriale a favore degli alternativi, ridimensionandone il “supposto” estremismo di destra. Com’è possibile che si tratti di epigoni di Hitler, si chiede Musk, se la loro leader è una donna dichiaratamente lesbica (Alice Weidel) che convive con un’altra donna? Un’affermazione che può sostenere solo chi non ne sa molto della storia dell’
estremismo di destra tedesco, o chi in malafede vuole spingere per una precisa agenda – ed è probabile che nel caso di Musk siano valide entrambe le ipotesi contemporaneamente. Come che sia, l’editoriale del miliardario trumpista ha scatenato un enorme dibattito in Germania, concentrato soprattutto sul tema della libertà di stampa e che ha visto anche le dimissioni di alcuni redattori della Welt in protesta allo spazio concessogli. Non contento, come certamente avrete letto Musk ha poi intervistato Alice Weidel su X ed è anche intervenuto direttamente a un incontro elettorale di AfD, scatenando grande entusiasmo fra i presenti.

Cose che hanno animato il dibattito, sì, ma senza spostare significativamente le coordinate di ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare. Non dei game changer, diciamo.

Poi però è arrivata l’ultima settimana di gennaio, una settimana autenticamente rivoluzionaria per la politica tedesca – per quanto successo mercoledì, quando la mozione sull’immigrazione proposta da Friedrich Merz è passata con i voti di AfD, e per quanto successo venerdì, quando la proposta di legge sempre sui temi migratori sostenuta in primis dalla CDU è stata respinta. Una settimana che ha rimescolato tutto, e ha trasformato le elezioni più telefonate di sempre in elezioni in cui, chissà, qualcosa di clamoroso potrebbe ancora succedere. Ma andiamo con ordine e passiamo in rassegna partiti, candidati, programmi e prospettive con una serie di articoli dedicati. Cominciando naturalmente dai vincitori annunciati: l’Union, unione di CDU e CSU, e il suo candidato Cancelliere, Friedrich Merz.

L’Union

Quando ha accettato la candidatura a Cancelliere, a settembre scorso, il capo della CDU Friedrich Merz aveva ben chiare due cose. La prima era che praticamente fra sé e la Cancelleria non restava più alcun ostacolo, visto che disastro in termini di popolarità è stato il governo semaforo per i partiti che lo componevano; la seconda è che a livello strategico gli conveniva spostare quanto più possibile il discorso sul piano dell’economia, concentrando la sua campagna sul tema della ripresa senza farsi invischiare in discussioni scivolose sull’immigrazione, discussioni che inevitabilmente avrebbero favorito AfD. Ora, a un paio di settimane dal voto, possiamo dire che la prima non è più certezza così assodata, e che per quanto riguarda la seconda Merz ha fallito miseramente. Nonostante i suoi sforzi iniziali, per un motivo o per l’altro il capo della CDU ha permesso che l’immigrazione diventasse il tema centrale di questa campagna elettorale, facendosi trascinare su un terreno sul quale aveva tutto da perdere. A quel punto ha deciso di giocare in attacco, facendosi promotore di un atteggiamento durissimo che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sottrarre consenso (e voti) ad AfD. Se si sia trattato di una scelta felice lo sapremo con certezza solo la sera del 23, ma per ora la conseguenza più eclatante di questa decisione è stato il pasticcio di due settimane fa.

Friedrich Merz (Foto: © Michael Kappeler / DPA)

Da un lato Merz ha sostanzialmente accettato di votare insieme ad AfD, sconfessando in qualche modo tutte le solenni promesse fatte fino a quel momento (nessuna collaborazione con gli alternativi, a nessun livello, né ora né mai), e dall’altro non ne ha tratto alcuno dei vantaggi che sperava di ottenerne. È riuscito invece innanzitutto a scatenare un’enorme ondata di rabbia e indignazione in tutto il Paese, con decine di migliaia di tedeschi che si sono riversati per strada a protestare contro la deriva estremista; a rendere molto più complicata qualsiasi trattativa post-voto con i due partiti papabili per le coalizioni di governo, e cioè SPD e Grünen, furiosi per quanto accaduto e certamente poco propensi a sedersi al tavolo con una CDU a guida Merz; e infine a riportare AfD nei sondaggi al di sopra del 20%

Sondaggio YouGov del 12 febbraio

Non solo: con la sua scelta Merz ha rivelato anche che la CDU non è posi così compatta e unita dietro al suo leader come si voleva far credere. Numerose critiche al candidato Cancelliere sono arrivate da diversi fronti interni. Ad esempio da Daniel Günther, Ministerpräsident del Land settentrionale dello Schleswig-Holstein; o da Michel Friedman, vicepresidente del Zentralrat der Juden in Deutschland (il Consiglio Generale deli Ebrei in Germania) e decano della CDU, che in conseguenza dell’apertura ad AfD ha abbandonato il partito a cui era iscritto da decenni. Soprattutto, in maniera piuttosto irrituale è tornata a farsi sentire la vecchia arcinemica di Merz, Angela Merkel. L’ex Cancelliera ha criticato duramente la decisione del suo possibile successore, e poi a un incontro tenutosi ad Amburgo, organizzato dalla Zeit, si è presa un bel po’ di tempo prima di rispondere alla domanda su chi preferirebbe come Cancelliere, Friedrich Merz o Robert Habeck, replicando alla fine in maniera un po’ sibillina: “faccio parte della CDU, al momento”. Leggendo fra le righe, praticamente una dichiarazione di guerra.

Vedremo come andrà a finire, ma certo è che fino a una decina di giorni fa Merz era assolutamente sicuro di essere il prossimo Cancelliere, ora chissà. E se davvero fallisse, si tratterebbe del più clamoroso suicidio politico della storia recente – una cosa che supererebbe di gran lunga la risata a favore di telecamere che, quattro anni fa, costò la Cancelleria ad Armin Laschet.

È comunque molto difficile che un’eventualità del genere si verifichi, anche perché, secondo parecchi sondaggi, Merz continua ad essere il candidato Cancelliere preferito dai tedeschi, con un distacco di diversi punti rispetto ad Habeck, secondo classificato, e Scholz, solo terzo. Ma se c’è una cosa che la politica tedesca ci ha insegnato in questi ultimi anni è proprio che l’inaspettato può sempre trovare una strana via per succedere, e che le storie già scritte possono sempre sfumare via.

Programma

Due sono i temi su cui l’Union punta in maniera più decisa, e cioè come prevedibile economia e immigrazione. I conservatori lamentano la situazione estremamente difficile in cui versano imprenditori e industrie del Paese, a cui intendono dare respiro riducendogli l’onere fiscale a massimo il 25% (quasi 5 punti in meno rispetto al valore attuale, di poco inferiore al 30%). È prevista poi una profonda riforma fiscale che riduca anche l’IVA, in particolare nel settore della ristorazione, che sta ancora cercando di riprendersi dopo la botta della pandemia. Investimenti decisi e strutturali, dunque, per i quali però bisogna capire bene dove prendere i soldi: secondo uno studio realizzato dall’Istituto dell’Economia Tedesca (Institut der deutschen Wirtschaft – IW) di Colonia, il programma dell’Union  costa circa 89 miliardi di euro – e non è neanche uno dei più costosi, rispetto ai 138 miliardi di quello della FDP e addirittura ai 149 miliardi di quello di AfD. Data però la promessa dei conservatori di non voler toccare in alcun modo lo Schuldenbremse, il “freno al debito” ancorato in Costituzione, è lecito domandarsi da dove tireranno fuori i fondi.

Le proposte sull’immigrazione e simili ricalcano abbastanza quanto si leggeva nella mozione non vincolante votata mercoledì 29 gennaio al Bundestag: rimpatri, respingimenti alle frontiere, stop alla “immigrazione illegale”, anche grazie al riconoscimento di Siria e Afghanistan come “Paesi sicuri” e in cui quindi i richiedenti asilo possono essere rispediti in tutta tranquillità. E pure per chi si trova già in Germania le cose dovrebbero cambiare, non in meglio: i conservatori intendono cancellare la possibilità di richiedere la cittadinanza tedesca dopo tre anni, così come quella di mantenere la propria cittadinanza di origine a fianco di quella tedesca. In generale secondo l’Union bisogna introdurre in Germania una Leitkultur, una “cultura condivisa” o “dominante” – concetto che, se frequentate le cose tedesche, saprete bene essere croce e delizia della politica tedesca di destra degli ultimi vent’anni. Che aspetto dovrebbe avere questa Leitkultur nel programma non è specificato, ma insomma, state a guardare i dettagli, e che diamine. L’unica cosa certa è che il Gendern, cioè la pratica di declinare i nomi usando anche le desinenze al femminile o l’apostrofo, non ne fa certamente parte, anzi: pratiche del genere, chiaramente motivate da “ragioni ideologiche”, vanno assolutamente rifiutate, e combattute con veemenza.

Prospettive

Per quanto riguarda le prospettive, il discorso per l’Union è molto semplice: o si arriva alla Cancelleria, oppure è un disastro, per certi versi ancora peggiore rispetto al 2021, perché allora la vittoria, per quanto probabile, non era data per certa come invece lo è oggi. Prendere meno del 30%, dopo quattro anni di un governo semaforo che ha battuto tutti i record di impopolarità, sarebbe un colpo durissimo per Merz, perché metterebbe in dubbio in maniera probabilmente definitiva la sua capacità di incarnare un nuovo corso di successo per la CDU. Con chi governare è un punto di importanza relativa, la cosa fondamentale è riprendersi la Cancelleria.

Le coalizioni più probabili sono chiaramente o una nuova Grosse Koalition insieme alla SPD o un’inedita – quantomeno a livello nazionale – alleanza nero-verde insieme ai Grünen; entrambe le opzioni però presentano difficoltà notevoli. Innanzitutto numeriche: per formare un governo bisogna avere una maggioranza, e socialdemocratici e Verdi finora non sembrano in grado di portare a casa quel 20% che servirebbe. Ma i problemi sono anche di natura più propriamente politica, visto che nessuno dei due partiti sembra morire dalla voglia di sedersi al tavolo delle trattative con Friedrich Merz, che è pur sempre quello che nei fatti ha aperto la porta ad AfD. E poi non dimentichiamoci che uno dei leader dell’Union è pur sempre Markus Söder, il capo della CSU, che un giorno sì e l’altro pure non perde occasione di ricordare che un governo con i Verdi lo si farà solo passando sul suo cadavere.

Curiosità e cose buffe

Sapete da cosa si capisce che l’Union ha deciso di spostarsi molto più a destra?
Dal cibo. O meglio, dalla sua visione del cibo. Poco più su parlavamo di Leitkultur, “cultura dominante”: ecco, cosa c’è di più culturale, di più identitario della cucina?

Probabilmente si deve a questo adeguamento allo Zeitgeist la proposta di alcuni esponenti CDU del Nordreno-Vestfalia, che suggeriscono di porre un tetto al numero di kebabbari presenti nelle città. Proposta che, va detto, anche alcuni imprenditori del settore accoglierebbero con favore, visto che ridurrebbe la concorrenza.

Ma se volete un esempio ancora più eclatante, non dovete far altro che mettervi a seguire i social del Ministerpräsident della Baviera, capo della CSU, Markus Söder, che ormai, tramontato il sogno di diventare Cancelliere, ha evidentemente deciso di indossare i panni molto più glamour di food blogger. Volete decantare la bellezza di una Rib-Eye Steak con patate, o di una golosissima Schnitzel? Volete condividere lo schifo che vi fanno le verdure, oppure cercate utili suggerimenti su un modo alternativo di mangiare i Big Mac? Niente paura, l’account Instagram di Markus Söder è qui per voi – tanto che il sito satirico Der Postillon, qualche mese fa, titolava: “Incredibile: noto food-influencer come secondo lavoro fa il politico bavarese”. Deve però trattarsi di un’aspirazione coltivata anche da altri politici di primo piano:

Edoardo Toniolatti

@EdoToniolatti

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