Kevin il rosso

Un profilo di Kevin Kühnert, leader dei giovani della SPD in rotta con la dirigenza del partito

La SPD, lo storico partito socialdemocratico tedesco, affronta da tempo un crisi di consenso. Le dimissioni di Andrea Nahles dalla guida del Partito (iniziata dal 2017) sono infatti sono l’ultimo episodio di un periodo molto turbolento della sinistra tedesca.

Già dopo le larghe intese del 2018 era emersa una forte fronda interna tra militanti ed elettori che non vedevano di buon occhio l’ipotesi di continuare con le larghe intese iniziate nel 2013 (governo Merkel III), poi approvate attraverso una consultazione tra gli iscritti che ha visto prevalere il “si” alle larghe intese (66% contro il 34% dei contrari).

Negli ultimi mesi, però, la crisi si è acuita: le elezioni federali in Baviera e Assia hanno visto la Spd ottenere risultati scarsi (in Baviera arriva al record negativo del 9,7%), mentre le elezioni europee hanno consegnato ai socialdemocratici una perdita di oltre dieci punti percentuali, passando dal 27,3% al 15,5%. In questa situazione, è apparso chiaro che tanto CDU quanto SPD stanno perdendo consenso anche a causa dell’eccessiva durata delle larghe intese, ma sono i socialdemocratici a subire l’emorragia di voti più forte. Andrea Nahles, poi, ha rassegnato le dimissioni dal suo ruolo di Presidente del partito e di capogruppo al Bundestag.

In questo scenario, tuttavia, si fatica a trovare una figura in grado di risollevare la SPD, fermando la perdita di voti verso altre forze (prima di tutto i Verdi) e riconquistando la fiducia dell’elettorato.

Una delle personalità attorno a cui si è creato dibattito, suscitando l’entusiasmo di alcuni elettori socialdemocratici e facendo storcere il naso ad altri, è Kevin Kühnert, il ventinovenne attualmente a capo degli Jusos, i giovani della SPD.

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Kevin Kühnert (Foto: ©Michael Kappeler/DPA)

Kühnert è nato nel 1989 a Berlino, e si è unito alla SPD nel 2005, durante il liceo. Dopo la maturità, ha partecipato a progetti di avvicinamento dei giovani alla politica durante l’anno di servizio civile volontario (Freiwilliges Soziales Jahr) e ha lavorato in un call center. In seguito ha studiato Giornalismo e Comunicazione e poi Scienze politiche e Sociologia (in Germania durante la triennale si può scegliere un secondo corso di laurea con meno ore del primo), senza però laurearsi. Nel frattempo, ha lavorato come assistente per Melanie Kühnemann al Landtag di Berlino, il parlamento federale.

In questi anni, ha proseguito la sua attività politica nella SPD e nella Jusos, l’organizzazione giovanile del partito, ed è stato segretario della Jusos Berlino dal 2012 al 2015. Attualmente è consigliere presso il municipio berlinese di Tempelhof-Schöneberg. Nel 2017, durante il congresso di Saarbrücken, è stato eletto segretario nazionale della Jusos.

In questi anni, Kühnert si è costruito l’immagine di un giovane leader appartenente all’ala sinistra del partito (in linea con la tradizione che vuole la Jusos più a sinistra della SPD) . In particolare, sono due le fasi principali dell’ascesa della sua figura.

La prima risale al 2018, ai tempi del referendum tra gli iscritti socialdemocratici in merito alla Große Koalition. In quell’occasione, Kühnert si è schierato apertamente contro le larghe intese, e con l’appoggio degli Jusos è divenuto uno dei leader del movimento d’opinione contro l’alleanza con i cristiano-democratici, conosciuto mediaticamente come “No GroKo”.

Grazie all’opposizione alle larghe intese, Kühnert è balzato all’attenzione delle cronache nazionali e non solo, suscitando simpatia anche al di fuori della Jusos tra gli elettori socialdemocratici contrari all’appoggio al quarto governo di Angela Merkel, contrapponendosi a dirigenti molto più famosi di lui. Kühnert, tra l’altro, ha affermato più volte che rinnovare la larghe intese avrebbe portato al tracollo della SPD, che dalla GroKo avrebbe perso più della CDU, due tesi verificatesi nelle tornate elettorali di questi ultimi mesi.

Grazie a quella campagna, Kühnert è riuscito a presentarsi come un giovane dirigente interessato a spostare la SPD a sinistra, rompendo i legami con la CDU e provando a riprendere l’elettorato fuggito in questi anni.

La seconda fase della costruzione di quest’immagine si è avuta a maggio, quando in un’intervista alla Zeit (il quotidiano vicino alla SPD) ha affermato che i socialdemocratici devono richiamarsi esplicitamente al socialismo. Soprattutto, ha criticato la concentrazione di grossi patrimoni immobiliari nelle mani di pochi, e ha parlato di una “collettivizzazione” di fabbriche come la BMW, un’espressione che è stata subito letta come una posizione politica veteromarxista, e che ha procurato al giovane alcune derisioni ma anche l’appoggio di parte dell’elettorato socialdemocratico.

In realtà, Kühnert non ha parlato di statalizzazione, quanto meno se con questo termine intendiamo un esproprio in stile bolscevico. In effetti, alla domanda di maggiori chiarimenti da parte dell’intervistatore ha risposto di non voler tanto una “statalizzazione” (Verstaatlichung) quanto una “collettivizzazione” (Kollektivierung) nel senso di una partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali e una maggiore divisionie dei profitti. “Senza una forma di collettivizzazione”, ha poi affermato, “non si può superare il capitalismo”. Per quanto radicale, la dichiarazione non si può leggere tout court come una forma di apologia del socialismo reale (tanto più che nella stessa intervista si prendono le distanze dalla DDR, ad esempio).

L’intervista, quindi, ha fatto scalpore anche a causa del fatto che da alcune parti le considerazioni di Kühnert, certo già di per sé forti, sono state presentate senza essere approfondite nel loro vero significato. Ad ogni modo, al di là delle varie considerazioni sulle tesi espresse, il caso ha rinfocolato l’immagine di un leader giovane e autenticamente socialista, in rotta con l’attuale dirigenza SPD.

Chiaramente, alcuni hanno da subito bollato come una boutade l’intervista, in Germania come all’estero. Lo hanno fatto ad esempio il capo del consiglio di fabbrica della BMW, Manfred Schoch, rispondendo ai giornali che gli chiedevano un parere, o l’ex presidente del Bundestag per la SPD Wolfgang Thierse, negando che richiamarsi al socialismo voglia dire supportare statalizzazioni brutali. L’esponente della sinistra SPD Matthias Miersch ha invitato a discutere sui limiti da porre al mercato. Condanne sono invece arrivate da praticamente tutta la CDU/CSU e dalla FDP. Non sono mancate testate, come la HAZ, che hanno notato come la questione fosse affrontata troppo emotivamente, mentre l’intervista sollevava questioni che meriterebbero di essere discusse più seriamente. In Italia, il Corriere ha associato Kühnert al socialismo reale, un tenore non dissimile da Dagospia, che ha titolato “Torna l’esproprio proletario”.

In effetti, se per i partiti avversari dei socialdemocratici è stato facile fare quadrato contro le dichiarazioni dell’intervista, sono emerse le contraddizioni nella SPD, dilaniata tra un’ala più centrista, attenta a non “spaventare i moderati”, e quella più radicale, interessata a spostare a sinistra tanto il dibattito quanto le proposte del partito.

Di certo, tanto la campagna No GroKo che l’intervista alla Zeit hanno contribuito a creare curiosità intorno alla figura di Kevin Kühnert, che nella situazione di crisi e incertezza vissuta dai socialdemocratici, e nella fase apertasi con le dimissioni della Nahles, potrebbe continuare a suscitare interesse e consenso da parte di alcuni elettori del partito. Non manca, per giunta, chi vedrebbe di buon occhio una sua candidatura, nel caso si vada verso un congresso.

 

Luigi Daniele

@luigi_daniele 

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