Elezioni ad Est fra novità, sconfitte e vecchi enigmi

Le elezioni nei due stati orientali di Sassonia e Turingia segnano una netta avanzata della destra estrema di AfD, un risultato tutto sommato buono dei democristiani della CDU, un exploit della “sinistra conservatrice” di BSW. Mentre i partiti del governo nazionale devono incassare un’ennesima sonora sconfitta, le prospettive per il governo dei due Länder al voto non sono affatto scontate.

Ieri, 1° settembre, si è votato in due stati tedeschi, Turingia e Sassonia.

Quella che potrebbe sembrare poco più che una notizia locale in realtà non lo è. Non solo perché la Germania, paese organizzato in modo federale per una scelta di fondo del sistema costituzionale che ha profonde ragioni storiche, prevede per i propri stati federati da un lato competenze amplissime – dall’organizzazione della giustizia a quella di scuola, università e ricerca e sino al sistema radiotelevisivo pubblico – e dall’altro una influenza diretta nella politica federale tramite il Bundesrat, la camera composta dei governi di tutti e sedici i Länder. Chi dunque governa a Dresda ed Erfurt, rispettivamente le capitali di Sassonia e Turingia, non solo governa davvero, con un “portafoglio” pesante, ma ha anche voce in capitolo a Berlino. In più, il voto nei Länder è sempre anche un test per l’opinione pubblica complessiva, per l’elettorato e quanto esso pensa del governo centrale a Berlino. Ogni elezione statale tedesca è dunque al tempo stesso un’elezione “regionale” ed un piccolo o grande mid-term.

Stavolta il mid-term era grande, forse non tanto per la quantità – Sassonia e Turingia hanno rispettivamente 3,2 ed 1,7 milioni di aventi diritto al voto, mentre in tutta la Germania sono oltre 61 milioni – ma senz’altro nella qualità delle elezioni. Perché qui e in meno di tre settimane anche nel vicino Brandeburgo è chiamata alle urne la gran parte della ex Germania Est che, a 35 anni dalla caduta del muro, continua ad avere in diversi aspetti dinamiche a sé. Chi tenga in mente un paese “lungo” come l’Italia, fatto di mondi sì interconnessi, ma in tante cose imbevuti di dinamiche loro proprie, può ben intuire cosa voglia dire se ad esprimersi nel voto non è “solamente” una regione, ma “il Nord”, “il Sud”. O appunto l’Est.

Il Parlamento della Turingia durante un dibattito (foto: EDM)

I risultati. In primo luogo, c’è stata una crescita vistosa della partecipazione al voto. La campagna elettorale ha evidentemente suscitato un grande interesse, e questa mobilitazione non è andata solo a vantaggio di uno o dell’altro, ma di diversi attori politici contemporaneamente. Forse non tutti, ma tanti hanno saputo mobilitare, e tanti si sono effettivamente mobilitati. L’affluenza al voto è stata del 74% sia in Turingia (+10% rispetto al 2019 e dato più alto dal 1994) sia in Sassonia (+8% rispetto al 2019 e dato più alto in assoluto dalla riunificazione delle due Germanie). Se è vero che “la concorrenza è l’anima del commercio”, senz’altro la percepibile concorrenza fra proposte politiche anche radicalmente diverse ed arricchita da un partito nuovo di zecca – ci arriviamo – ha mosso tanti, da quasi ogni parte, ad andare a votare.

I protagonisti e, sia pure in modo diverso, vincitori di queste elezioni sono stati la destra estrema di AfD, i democristiani della CDU ed il nuovo partito “di sinistra conservatrice” BSW, fondato dalla popolare politica nazionale Sahra Wagenknecht.

Foto: Imago/Karina Hessland

AfD è, ne abbiamo parlato mille volte su Kater, un partito di destra etno-nazionalista, che dalla sua fondazione nel 2013 però ha ormai messo radici profonde in tutta la Germania. Ad Est in modo particolare questo partito sa evidentemente intercettare un segmento rilevantissimo delle opinioni politiche, va alla grande fra i giovani, e fuori dalle grandi città è sempre più spesso ormai l’unica forza politica significativamente presente – in concorrenza con i democristiani della CDU. E anche nelle città, comunque, non è che AfD vada male, al massimo va meno bene. Persino nel cuore urbano della Lipsia moderna e progressista AfD supera senza problemi il 10% dei voti, mentre nei quartieri meno centrali della metropoli sassone raggiunge e supera il 25%.

In Turingia AfD arriva nettamente prima classificata, ha dunque “vinto le elezioni”. AfD raggiunge qui un terzo dei voti (33%) e, per conseguenza, supera (di poco, ma supera) la soglia fatidica di un terzo dei seggi parlamentari. In Sassonia la AfD arriva seconda di un’incollatura dietro alla CDU (rispettivamente 30,6% e 31,9%). In entrambi i Länder AfD fa incetta di collegi elettorali fuori dai grandi centri (28 su 60 collegi in Sassonia, 29 su 44 in Turingia), ma i suoi risultati sono fra il buono e l’eccellente ovunque, almeno dal suo punto di vista.

I democristiani della CDU si dimostrano essere l’unica forza politica in grado di fare una certa concorrenza alla AfD a queste latitudini. Sono l’unico partito “tradizionale” in doppia cifra tanto in Sassonia quanto in Turingia, e sicuramente questo risultato è frutto da una parte di personale politico senza dubbio apprezzato e conosciuto in loco, dall’altra di una logica del “voto utile”: di fronte alla marea montante di AfD, la CDU è l’unica forza davvero in grado di fare argine. I democristiani raggiungono quindi il primo posto in Sassonia ed il secondo in Turingia (23,6%), staccando sì tutti gli altri, ma qui a loro volta nettamente staccati da un’AfD di nove punti e oltre 110.000 voti più forte.

Esempio paradigmatico di questo faticosissimo ma assolutamente rispettabile risultato della CDU è il Primo ministro sassone Michael Kretschmer. Il quale, non di rado un eterodosso rispetto alla linea nazionale del proprio partito in tante questioni (immigrazione, Russia), ha uno stile politico “pancia a terra” rispettato da osservatori e concorrenti, con dozzine di appuntamenti – che sia campagna elettorale o meno – dove cerca il “dialogo” con i “cittadini”, si prende non di rado dosi non omeopatiche di insulti con una pazienza stoica, ma alla fine riesce a mobilitare, arriva primo confermando in termini percentuali il risultato del 2019 e mette così uno stop di fronte alle mire della destra estrema. Nel suo collegio elettorale a Görlitz, la città più ad est di tutta la Germania al confine con Polonia e Repubblica Ceca, Kretschmer si aggiudica – grazie al voto disgiunto – un 47% personale contro il 34% del suo partito, mentre la lista di AfD arriva prima con il 37%. Ciò ad esemplare dimostrazione di quanto singoli candidati possano fare la differenza.

Anche in termini di flussi elettorali – in entrata ed in uscita – la situazione per la CDU sassone è un chiaroscuro:

I democristiani riescono sia a convincere persone che cinque anni erano state a casa (in grigio nella grafica della Tagesschau, il primo telegiornale tedesco) sia ad attrarre diversi elettori in uscita da Verdi (Grüne), socialdemocratici (SPD) e dalla Sinistra (Linke). Al contempo, però, la CDU perde elettori a vantaggio di AfD ed anche del nuovo BSW. Una tendenza, questa, che avevamo già visto un anno fa alle elezioni in Assia e Baviera: i democristiani confermano di avere sì successo nell’intercettare i delusi dai partiti di centro-sinistra, ma né loro né questi ultimi riescono in nessun modo ad arrestare la costante emorragia di voti a favore dei populisti e della destra estrema.

BSW è il nome del partito nuovo di zecca fondato da Sahra Wagenknecht, già icona della Sinistra, poi entrata in rotta di collisione con chi, a suo giudizio, si identificava sempre di più con una “sinistra d’opinione” delle benestanti élites accademiche ed urbane e sempre meno con le fasce meno abbienti e privilegiate della popolazione. Checché se ne pensi, la scissione messa in atto da Wagenknecht a gennaio di quest’anno ha non solo portato i suoi frutti, ma ha spaccato il suo ex partito esattamente lungo questa faglia – svuotando soprattutto la ex casa madre di una fetta impressionante di elettorato. E portando a Sahra ed ai suoi in entrambi i Länder al voto un onorevolissimo terzo posto, con quasi il 16% dei voti in Turingia e quasi il 12% in Sassonia.

I flussi elettorali (in questo grafico per la Sassonia) dimostrano che quella del BSW è una vera scissione: il nuovo partito pesca sì un po’ da tutti, anche da AfD frenandone in parte il successo, ma la sua ascesa è soprattutto un salasso per la Linke, che perde per strada ben oltre la metà dei suoi elettori: in dati reali definitivi da 224.000 (10,5%, 2019) a 104.000 voti (4,5%, 2024) in Sassonia, da 344.000 (31%) a 158.000 (13%) in Turingia. Qui a salvare il salvabile della già gloriosa sinistra turingiana è stato Bodo Ramelow, Primo ministro uscente (l’unico della Sinistra in tutta la Germania), il cui consenso personale ha senza dubbio attutito la caduta del suo partito, senza però poterla evitare.

Alla popolarità di Wagenknecht ad Est (e in generale) contribuiscono diversi fattori, tra i quali senza dubbio anche il solo fatto di essere una novità in e contro un sistema politico che a queste latitudini è oggetto di critica, con l’accusa di non poter o saper garantire quel livello di benessere e sicurezza che tanti elettori si auspicherebbero come possibile e dovuto. Non va però dimenticata la circostanza contingente della scissione fra BSW e Linke, la goccia che ha fatto traboccare il vaso della separazione: gli armamenti all’Ucraina, che Wagenknecht rifiuta categoricamente – e con lei di tutta evidenza una quota non marginale degli elettori. Non irrilevante è su questo tema anche una sintonia di fondo fra il nuovo BSW e la ben più radicata tradizione del pacifismo in Germania, dimostrata – se così si vuole – dal fatto che fra i parlamentari ora eletti per il BSW in Turingia ci siano ben due ex-deputati dei Verdi, la forza che un tempo era la patria politica del pacifismo tedesco.

E così veniamo, brevemente, agli sconfitti di queste elezioni. Ad uscire puniti dalle urne sono i partiti del governo nazionale, guidato a Berlino da Olaf Scholz e formato da socialdemocratici (SPD), Verdi e Liberali (FDP). Il governo rosso-verde-giallo è in crisi nera, ed il voto in Turingia e Sassonia lo mette questo nero su bianco. I Liberali precipitano letteralmente a risultati da zero-virgola: 0,9% in Sassonia, superati persino dalla lista indipendente per i diritti degli animali, 1,1% in Turingia, dove cinque anni fa – sia pure per solo un mese – avevano addirittura espresso il Primo ministro. I Verdi in Turingia raggiungono oggi un misero 3,2% (peggior risultato dal 1999) e devono andarsene senza alcun seggio dal Parlamento, in Sassonia vi rientrano per il rotto della cuffia (5,1%, lo sbarramento è al 5,0%). La differenziazione fra città e campagna, certo presente per tutti i partiti, per i Verdi è estrema: ad Est dimostrano di non aver mai potuto o saputo mettere radici al di fuori delle poche grandi città, risultando così confinati in risultati spesso marginali (fra 1% e 2% “fuori porta” pressoché ovunque) e prestando il fianco alle critiche – certo non rare né disinteressate – di chi li vuole dipingere come avulsi da un elettorato che, però, di fatto non li vota. Verdi e Liberali, entrambi partiti che si vorrebbero “del futuro” per eccellenza, sono gli unici fra le forze politiche a non approfittare in misura percettibile della cresciuta partecipazione al voto, non essendo dunque stati in grado, a differenza di tutti gli altri, di mobilitare ex astenuti.

I Socialdemocratici devono infine accontentarsi di risultati magrissimi: 6% in Turingia, 7% in Sassonia, in entrambi i casi pericolosamente vicini alla soglia del 5%. Che almeno questo pericolo sia stato scampato viene accolto con un sospiro di sollievo in casa SPD, ma mai era successo nella storia tedesca che il partito del Cancelliere in carica cadesse così in basso. Sommati, i tre partiti del governo nazionale si fermano al 10% in tutto in Turingia ed al 13% in Sassonia, risultati che danno una plastica dimostrazione della distanza fra maggioranza parlamentare a Berlino ed umori del corpo elettorale. E, a dirla tutta, se pensiamo alle ultime europee ed alle altre elezioni degli ultimi due anni, questa dimostrazione non è certo la prima.

Guardiamo quindi per ultimi i risultati complessivi. Ecco il nuovo parlamento sassone:

Fonte: Zeit.de

La CDU primo partito, ad un’incollatura la AfD, terzo il BSW e poi tutti gli altri. L’unica coalizione davvero possibile – matematicamente e politicamente – è un’inedita, che però è già sulle bocche e nei pensieri di tutti: un’alleanza fra democristiani, la “nuova sinistra” del BSW e i socialdemocratici di SPD che, alla fine dei conti, almeno si sono difesi bene.

Ben più complicata è la quesitone per il parlamento della Turingia.

Fonte: Zeit.de

Qui al risultato “impossibile” del 2019, senza una maggioranza per nessuna coalizione, segue un nuovo esito da enigma della sfinge. Una sì nuova, ma non impensabile coalizione fra CDU, BSW e SPD arriva esattamente alla metà dei seggi (44 su 88) e dunque non raggiunge la maggioranza. La somma fra AfD e Linke, partiti sia pure diversissimi ma agli estremi del sistema e con cui la CDU rifiuta qualunque coalizione, arriva all’altra metà dei seggi (44 su 88). Una vera e propria patta.

Ci attendono quindi dalla Turingia nuovi e sinora imprevisti sviluppi. La CDU cercherà di formare un governo di minoranza? Si lascerà alle spalle il divieto di collaborazione formale con la Linke? E Bodo Ramelow, Primo ministro uscente e parlamentare rieletto, giocherà un ruolo per aiutare gli “avversari” democristiani – e con loro lo Stato stesso – ad uscire da una situazione pericolosa di ingovernabilità? A spoglio ultimato Ramelow si è dichiarato, da vero statista, disposto “a tutto” per sostenere un governo delle forze democratiche contro il neonazismo di Höcke e della AfD. Un “whatever it takes” turingiano. Quando un solo voto in parlamento può fare la differenza, allora gli scenari ad aprirsi sono davvero imperscrutabili come le convinzioni, confesse od inconfesse, di ogni singolo parlamentare.

Edoardo D’Alfonso Masarié

@edodalfonso

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