Sahra la rossobruna

Sahra Wagenknecht, stella della Linke, è oggi per il suo partito soprattutto un problema. Un problema rossobruno.

Nel panorama della sinistra tedesca, ma forse in generale di tutto lo scenario politico, è difficile trovare una figura più polarizzante di Sahra Wagenknecht.

La moglie di Oskar Lafontaine, fondatore e padre nobile della Linke che però ha abbandonato un anno fa, è diventata negli anni una vera e propria star del partito di sinistra. La sua immagine forte e riconoscibile, unita a un sapiente uso di una retorica incendiaria ma molto efficace, ne ha fatto uno dei volti più noti e celebrati della Linke, uno dei segreti della duratura visibilità garantita a un partito che, numeri alla mano, sembrerebbe invece destinato a un ruolo decisamente più marginale. Nonostante le perenni tensioni interne, gli scontri fra moderati ed estremisti, fra realisti e radicali, per molti l’equazione “Linke = Sahra Wagenknecht” è stata a lungo assolutamente valida.

Quella che a prima vista per la Linke sembrava una benedizione, però, si è rivelata una condanna travestita. E da parecchio tempo ormai die rote Sahra (“Sahra la rossa”) è soprattutto un problema.

Sahra Wagenknecht – e sullo sfondo Alice Weidel, co-leader di AfD (Foto: imago/Sven Simon)

Come detto, il tasso di litigiosità interno al partito di sinistra è da sempre elevatissimo. Wagenknecht appartiene all’ala più radicale, ma il suo successo le ha consentito di evitare attacchi plateali da parte della componente moderata. Da alcuni anni però la situazione è diventata praticamente ingestibile, con la corda tirata così tanto che non ci si chiede più se si spezzerà, ma quando.

Le cose iniziarono a precipitare soprattutto dopo il 2015 e la crisi dei rifugiati, quella che portò in Germania oltre un milione di persone e indissolubilmente legata al celebre wir schaffen das di Angela Merkel, la frase diventata ormai proverbiale con cui la Cancelliera certificava la sua politica di apertura dei confini. Al coro di voci critiche, provenienti soprattutto da destra, si aggiunse ben presto anche quella di Wagenknecht, che definì “irresponsabile” la decisione di Merkel e arrivò addirittura ad accusarla di corresponsabilità dell’attentato di Berlino del dicembre 2016, a causa dell’apertura indiscriminata ai rifugiati e della presenza di personale militare tedesco in Afghanistan. Molti nella Linke non apprezzarono; chi invece apprezzò furono alcuni esponenti di AfD, tanto che un editoriale della Frankfurter Rundschau iniziò a chiamarla die blaue Sahra (“Sahra la blu”), dal colore associato agli alternativi.

Col passare del tempo diventava sempre più chiaro che i confini del partito di sinistra stavano stretti a Wagenknecht, che infatti cercava di intercettare esperienze movimentiste e di aggregazione provenienti da altriambienti. Fu lei l’esponente politica più vicina ai gilet gialli francesi, tanto da manifestare davanti alla Cancelleria in divisa d’ordinanza nel dicembre del 2018.

Foto: aufstehen.de

E alcuni mesi prima, in estate, aveva dato vita a un nuovo movimento, chiamato Aufstehen (letteralmente: alzarsi, risollevarsi), con l’obiettivo di riunire le diverse forme di protesta di sinistra in una piattaforma alternativa e radicale. Iniziativa ispirata non solo ai gilet gialli, ma anche ad esperienze come La France insoumise di Jean Luc Mélenchon o il gruppo Momentum all’interno del partito laburista britannico, e che inizialmente ebbe un successo travolgente, tanto che al momento del lancio ufficiale, il 4 settembre 2018, il sito contava oltre 100.000 adesioni. Ma proprio quando sembrava tutto pronto per il grande salto, nel marzo 2019 Wagenknecht si è dimessa dalla guida di Aufstehen, per ragioni legate a motivi di salute ma causando lo stesso forti mal di pancia fra chi si era lanciato con speranza ed entusiasmo in questa nuova avventura.

Nel 2020 arriva la pandemia di Covid-19, ed è un’altra occasione per Wagenknecht di cavalcare il dibattito. Pur concordando in linea di principio con le restrizioni istituite dal governo tedesco, mostra una certa simpatia per chi in quei mesi manifesta, invitando a non considerare tutti dei complottisti senza cervello, e avanzando seri dubbi sull’effettiva indipendenza della ricerca scientifica. 

È però dal febbraio del 2022 che la situazione prende una piega ancora più estrema. Sono i giorni in cui si guarda con ansia al confine russo-ucraino, da mesi le tensioni nella zona sono altissime ed escono a ripetizione report e dossier dei servizi segreti di mezzo mondo sulle intenzioni aggressive di Vladimir Putin. In un intervento in televisione diventato ormai leggendario Wagenknecht getta acqua sul fuoco: dobbiamo essere grati del fatto che “Putin non è un invasato nazionalista”, e non ha alcuna intenzione di invadere l’Ucraina. Quattro giorni dopo Putin letteralmente invade l’Ucraina.

Wagenknecht condanna l’invasione, naturalmente, ma fin da subito si schiera fra coloro che indicano nella NATO e negli USA i veri responsabili, a causa delle loro politiche “espansionistiche” ed “imperiali” che mettono a rischio l’esistenza stessa della Russia. Sono posizioni che scatenano reazioni durissime a sinistra, anche all’interno della stessa Linke in cui infuria il dibattito, e che nuovamente le portano il plauso di alcuni esponenti di primo piano di AfD, nota per le sue posizioni in odore di putinismo.È proprio di questi giorni un nuovo capitolo della vicenda. Insieme ad Alice Schwarzer, leggendaria attivista femminista tedesca, Wagenknecht ha pubblicato un “Manifesto per la pace” su change.org in cui si chiede con forza la cessazione delle ostilità e la ripresa dello sforzo diplomatico. E fin qui tutti d’accordo: il problema è che fra le richieste c’è anche l’immediata cessazione dell’invio di armi e supporto militare all’Ucraina. “Il popolo ucraino, attaccato brutalmente dalla Russia, ha bisogno della nostra solidarietà”, si legge nel testo. “Ma quale sarebbe adesso la vera solidarietà?”, si chiedono le due autrici. “Per quanto tempo ancora si dovrà combattere e morire sui campi di battaglia dell’Ucraina?”

Sahra Wagenknecht e Alice Schwarzer (Foto: Bettina Flitner/laif)

L’invio di armi – contraerea, carri armati, magari un domani anche caccia? – non fa altro che prolungare un conflitto tragico e devastante, che l’Ucraina sta sostenendo grazie al supporto occidentale ma che non può vincere contro una potenza nucleare. L’unica soluzione, si legge, è fermare subito i combattimenti e tornare al tavolo dei negoziati – che “non significa arrendersi, significa scendere a compromessi, da entrambe le parti”. Il manifesto ha riscosso un discreto successo: oltre alle due autrici, 69 volti noti della politica e della cultura tedesca l’hanno firmato – tra i nomi di rilievo Erich Vad, ex generale della Bundeswehr e consigliere di politica militare di Angela Merkel, o Martin Sonneborn, giornalista e leader del partito-satira Die PARTEI, nonché ovviamente il marito di Wagenknecht, Oskar Lafontaine – e ha in questo momento oltre 724.000 sottoscrizioni. Soprattutto però è stato il trampolino di lancio per una grande manifestazione per la pace che Wagenknecht e Schwarzer hanno lanciato sabato scorso a Berlino, con l’obiettivo di far vedere al governo tedesco quanto numerosi siano i tedeschi che desiderano la fine della guerra e vogliono arrestare l’escalation che, a loro modo di vedere, il continuo invio di armi all’Ucraina rende inevitabile.

Il manifesto ha attirato numerose critiche sia a Wagenknecht che a Schwarzer, ma c’è stato un partito che l’ha particolarmente apprezzato: AfD, che sulla guerra ha posizioni praticamente sovrapponibili. Tanto che alcuni esponenti di primo piano degli alternativi hanno detto che avrebbero partecipato con piacere alla manifestazione di Berlino, causando nella Linke un gigantesco imbarazzo amplificato anche dalle risposte ambigue di Wagenknecht e del marito, che se da un lato hanno escluso ogni collaborazione con estremisti di destra dall’altro hanno sostanzialmente aperto le porte della manifestazione a tutti coloro che “hanno a cuore la pace”, indipendentemente dalla loro collocazione politica.Per promuovere la manifestazione Wagenknecht è stata anche ospite del talk show Hart aber fair, dove ha denunciato stupri e crimini di guerra “da parte di entrambe le forze in campo” e costringendo così il conduttore Louis Klamroth a intervenire contro quella ha definito “una fake news”, visto che tutti i report delle organizzazioni internazionali sono piuttosto concordi nell’indicare una parte precisa – quella russa – come responsabile delle violenze.

Alla manifestazione di sabato, che secondo le autorità ha portato in piazza 13.000 persone, ha effettivamente partecipato anche gente di estrema destra, per quanto non in primissima fila. C’erano complottisti, Querdenker, negazionisti dell’Olocausto, sostenitori di Qanon, anche alcuni Reichsbürger. E c’erano esponenti di AfD, anche di primo piano.

Oskar Lafontaine, Sahra Wagenknecht, Alice Schwarzer e Erich Vad sul palco a berlino, sabato scorso. (Foto: Monika Skolimowska / dpa)

La questione Wagenknecht ha probabilmente raggiunto un punto di non ritorno nella Linke: le sue posizioni e le sue dichiarazioni mettono i dirigenti sempre più in imbarazzo, e al tempo stesso continuano ad attrarre il plauso di impresentabili come Björn Höcke, il leader della corrente più estremista di AfD, che – in una mossa di trollaggio purissimo ma comunque di grande efficacia – ha addirittura proposto a Wagenknecht di entrare nel partito.

Il commento della trasmissione satirica heute show: “Una coppia perfetta”

Sicuramente Wagenknecht non raccoglierà l’invito, tuttavia non è affatto detto che resterà – o la faranno restare – dentro la Linke. È però innegabile che la sua traiettoria rappresenti in modo eccezionalmente accurato quella di una certa sinistra che, nella sua radicalità e nella sua vicinanza ad alcune forme di populismo, finisce con l’avere più di un punto di contatto con il suo opposto speculare, l’estrema destra, dando vita a quel coagulato ideologico che in Italia viene spesso definito “rossobrunismo”. Un miscuglio sincretico in cui si incrociano anticapitalismo, antiamericanismo, sovranismo e altro ancora (avete presente Diego Fusaro?), a cui la guerra in Ucraina sta offrendo una visibilità insperata, perché riesce comunque a infiltrarsi nel dibattito e a costringere l’opinione pubblica a confrontarcisi. Il suo armamentario retorico è spesso rozzo e dozzinale, e la sua facciata caritatevole viene smascherata facilmente: per dire, alla manifestazione di sabato la solidarietà all’Ucraina è stata praticamente assente dagli interventi che si sono succeduti sul palco, e al tempo stesso si fa una fatica micidiale a trovare, nelle dichiarazioni di organizzatori e partecipanti, una condanna ferma e decisa di Putin e della sua invasione. L’appello alla diplomazia e ai compromessi “da entrambe le parti” si presenta come pacifismo preoccupato di salvare vite umane, o come realismo che guarda in faccia la realtà delle forze in campo, ma in realtà opera in base a riflessi pavloviani, si adagia sugli stessi meccanismi concettuali e ideologici di sempre. Come se più che riflessione si trattasse di semplice abitudine.Sahra Wagenknecht sembra ormai incarnare questa posizione alla perfezione – una posizione che, secondo alcuni recentissimi sondaggi, ha comunque un discreto potenziale in termini elettorali. E non è forse una sorpresa che un partito da lei guidato sarebbe particolarmente attraente per chi oggi vota AfD.

“Potrebbe immaginare di votare un partito guidato da Sahra Wagenknecht?”: fra chi risponde affermativamente, il 60% degli elettori di AfD.

Il rischio per la sinistra tedesca, in una fase estremamente complicata che la vede lottare ad ogni elezione per non scomparire, è che rimanga invischiata ancora a lungo negli strascichi del passaggio della sua ex stella.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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