Cosa sta succedendo nella Linke

La sinistra tedesca di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia

La Zeitenwende, il “punto di svolta” annunciato da Olaf Scholz nel suo ormai celebre discorso a fine febbraio, pochi giorno dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, rappresenta un vero e proprio cambiamento epocale per la Germania. 

Come ha detto il Cancelliere davanti al Bundestag riunito in seduta straordinaria, il mondo si è ritrovato catapultato in una nuova realtà, piena di domande che richiedono risposte nuove ed inedite. Per la Germania si tratta di una autentica cesura, un mutamento di prospettiva profondo e radicale, che coinvolge praticamente tutte le sfere della politica tedesca. Dall’energia al commercio, dagli esteri alla difesa, la Germania post-Zeitenwende rimette in discussione assunti della politica tedesca ritenuti ormai fissi e immutabili, dipingendo uno scenario sconosciuto che per molti è causa di incertezze ed inquietudine.

E fra quelli più colpiti da incertezze ed inquietudine figura certamente la sinistra tedesca, la Linke.

Il rapporto con la Russia è sempre stato molto particolare per la Linke. Erede della SED, il partito di governo dell’ex Germania Est, la sinistra tedesca ha sempre fatto della vicinanza quantomeno affettiva a Mosca un suo tratto caratteristico, soprattutto come pendant di altri due aspetti essenziali, un feroce anti-americanismo e un’opposizione radicale alla NATO. Tanto che durante la campagna elettorale proprio la questione NATO rappresentò la chiave che permise a Olaf Scholz di non precludersi alcuna possibilità di alleanze senza spaventare troppo il centro dell’elettorato. Ad ogni domanda sulle potenziali costellazioni di governo l’attuale Cancelliere rispondeva sempre con lo stesso mantra: parleremo con chiunque (tranne AfD, naturalmente), ma l’unico criterio dirimente è una scelta chiara sulla politica estera, che non metta in discussione l’appartenenza della Germania al campo occidentale e atlantista. Un requisito fatto apposta per la Linke, nei cui confronti suonava più o meno così: se volete entrare in coalizione, risolvete prima la faccenda fra di voi. Un avvertimento preso sul serio dal partito di sinistra, la cui leadership nei giorni prima del voto si affrettò a chiarire che certo, la NATO rimane un punto problematico che non ci entusiasma, ma il tema di un’eventuale fuoriuscita tedesca non è né sarà in discussione.

Ci hanno pensato poi le urne a cancellare l’eventualità della Linke al governo, con un risultato tragico. Finito addirittura sotto la soglia del 5%, il partito è entrato al Bundestag solo perché è riuscito a far eleggere tre suoi candidati con mandato diretto. 

Una batosta di queste proporzioni ha naturalmente innalzato il livello della tensione interna, ancor più di quanto si registrasse in condizioni normali. La guerra fredda costante fra Realos e Fundis, fra moderati e radicali, ha iniziato a farsi sempre più calda. L’invasione dell’Ucraina l’ha resa incandescente.

La reazione ufficiale è di dura condanna dell’aggressione russa, come dichiarato dalle due leader Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler, con richiesta di cessate il fuoco immediato e ritiro delle truppe di Putin, ma l’imbarazzo in molti degli esponenti di primo piano è palpabile. Ancora pochi giorni prima dell’invasione alcuni deputati avevano manifestato davanti alla porta di Brandeburgo contro “le provocazioni” dell’ambasciatore ucraino, e dopo che la situazione è precipitata si è assistito al diffondersi di un generico “eh però la NATO”, come esemplificato da questo tweet dell’organizzazione giovanile berlinese del partito – nel frattempo eliminato.

“No alla guerra imperialista! No alla NATO!”

Col passare dei giorni le cose però si sono fatte più complicate.

Le atrocità commesse dalle truppe russe e il sostegno crescente dell’opinione pubblica alla causa ucraina hanno reso più difficile continuare sul solco del “dagli alla NATO”; soprattutto, da dentro il partito si sono fatte sentire in maniera assordante le voci di chi ritiene che questa guerra comporti una cesura non solo per la Germania ma anche per la Linke.

E la voce che si è levata più forte di tutte è quella di Gregor Gysi.

Gregor Gysi (Foto: imago/photothek)

Nato a Berlino Est nel 1948, Gysi è noto soprattutto per esser stato l’ultimo leader della SED, eletto al vertice nel dicembre 1989, quando ormai il partito aveva rinunciato al dominio assoluto nella DDR. Moderato tenuto in buona considerazione dai critici del regime – era stato l’avvocato di molti degli arrestati durante le proteste di quel periodo – Gysi iniziò immediatamente un percorso di democratizzazione del partito, a cui cambiò il nome in Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS), e al cui interno rimase attivo fino alla fusione nella Linke, nel 2007. Nonostante la pesante accusa di essere stato un informatore della Stasi, accusa da lui sempre respinta, Gysi è rimasto uno dei volti più riconoscibili e autorevoli dell’ala moderata della sinistra tedesca, spesso in polemica con altri esponenti di primo piano talvolta inclini a farsi sedurre da posizioni un filino populiste. Se in queste parole leggete fra le righe un’allusione a Sahra Wagenknecht non sbagliate.

Gregor Gysi e Sahra Wagenknecht nel 2013 (Foto: DPA)

Wagenknecht, popolarissima e controversa leader della corrente radicale e moglie del fondatore del partito Oskar Lafontaine, è stata duramente attaccata nelle scorse settimane per la sua posizione ambigua su Putin. Nonostante abbia anche lei condannato l’aggressione, alcune sue dichiarazioni hanno scatenato reazioni furibonde; e per dar sfogo alla sua Gysi le ha scritto una lettera. Una lettera che è in realtà un atto d’accusa a una parte consistente del suo partito, e un’esortazione ad abbandonare quei bagagli ideologici che impediscono alla Linke di diventare una sinistra davvero moderna, mantenendola ancorata al passato.

La lettera, indirizzata non solo a Wagenknecht ma anche ad altri esponenti del partito, ha toni durissimi – potete farvene un’idea piuttosto accurata leggendo questo bel pezzo di Ubaldo Villani-Lubelli sull’HuffPost, in cui ne appaiono tradotti lunghi stralci. “Le vostre spiegazioni mi fanno inorridire”, scrive Gysi, riferendosi agli interventi con cui Wagenknecht e altri hanno voluto chiamare in causa la NATO e gli Stati Uniti come corresponsabili dell’aggressione. Si tratta di “una assoluta mancanza di emozione” e di empatia nei confronti delle vittime, dovuta unicamente all’intenzione di “preservare la vostra vecchia ideologia: la NATO è il male, gli USA sono il male, il governo federale è il male”. La NATO non è certo un’opera pia, e Gysi ricorda di averla criticata numerose volte in passato, ma stavolta all’alleanza atlantica non può essere imputato alcun errore, nulla che possa giustificare o anche solo motivare l’aggressione russa. Escludendo categoricamente l’invio di armi “voi negate fattualmente all’Ucraina il diritto di difendersi, e siete indirettamente a favore della sua capitolazione”. Certamente il riarmo in Germania è un passo nella direzione sbagliata, e ci sarà tempo per discutere delle ragioni che hanno portato a questa situazione, ma non adesso: adesso è il momento di fermare Putin, il cui “pensiero imperiale” è “una catastrofe da sconfiggere assolutamente”.

La replica non si è fatta attendere: Wagenknecht ha ricordato di aver anche lui condannato l’invasione dell’Ucraina, e ha definito “una calunnia” l’accusa di scarsa empatia. Ma le parole di Gysi segnano un cambio di passo nel dibattito interno al partito, una nuova fase le cui conseguenze non sono facilmente prevedibili. 

Sulla stessa linea di Gysi si è schierata anche la Rosa-Luxemburg-Stiftung, la fondazione vicina alla Linke, con un lungo e appassionato editoriale a firma di Daniel Marwecki, significativamente intitolato We were wrong, avevamo torto. “La guerra ha tracciato chiare linee morali”, si legge nell’articolo: “ogni tentativo di comprendere gli interessi di sicurezza della Russia […] improvvisamente appare in Germania come ingenuo a voler essere generosi, e a non volerlo essere invece come cinica e intenzionale ignoranza dei prolungati piani imperiali di Putin.” Molti esponenti della Linke hanno lungamente spiegato come l’espansione a est della NATO abbia innescato la reazione che ha portato all’invasione: beh, quel dibattito è stato reso obsoleto dagli eventi, scrive Marwecki. 

L’entusiasmo per l’ultranazionalismo di Putin, per il suo militarismo e il suo sciovinismo è estraneo alla sinistra e ai progressisti: eppure “non è senza ironia che alcuni esponenti della sinistra in Germania e negli USA ogni tanto suonino come freddi strateghi della geopolitica quando si parla di Russia. Improvvisamente, a un attore imperiale come la Russia vengono riconosciute legittime preoccupazioni di sicurezza, che vanno prese in considerazione. Intanto, l’Ucraina è ridotta a uno stato-cuscinetto, pedina di potenze straniere.” Come che sia, però, un dato rimane incontrovertibile: molti esponenti politici tedeschi, dai conservatori alla sinistra, hanno commesso un errore nel giudicare Putin, che con la sua guerra “ha creato una nuova epoca in Europa”. “Come diceva Lenin, ci sono settimane in cui accadono decenni. In una notte, Putin ha trasformato la NATO in Europa orientale in qualcosa a cui nessuna persona di sinistra avrebbe mai voluto pensare: un’alleanza difensiva antiimperialista.”

E questo cambiamento epocale deve coinvolgere anche la sinistra, conclude Marwecki. “Questo naturalmente non significa che le forze progressiste debbano celebrare il riarmo della Germania. Al contrario. Ma per diventare una forza politica credibile ed efficace nella sua critica alla politica estera, ora anche la Linke deve cambiare insieme ai tempi.”

È improbabile che l’inasprirsi di questa tempesta lasci la Linke così come è ora, che non abbia alcuna conseguenza sull’assetto del partito e sui rapporti fra le correnti. È ragionevole ipotizzare che a uscirne sconfitta sarà l’ala radicale: va forse letto in questo senso l’abbandono di Oskar Lafontaine, che poche settimane fa ha ufficialmente lasciato il partito che nel 2007 aveva contribuito a fondare. In molti si chiedono quanto tempo passerà prima che lo segua anche la moglie Sahra Wagenknecht. 

Anche per la Linke in pochi giorni sono successi decenni, per riprendere la frase di Lenin citata da Marwecki. L’invasione dell’Ucraina ha accelerato in maniera formidabile e improvvisa l’emersione delle linee di scontro interno, liquefacendo rapidamente la tregua fra radicali e moderati e rendendo urgente come non mai lo scioglimento di molti nodi fondamentali. Una piccola Zeitenwende anche per la sinistra tedesca.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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