Il voto a Est e la K-Frage

Cosa ci dicono i risultati in Sassonia e in Turingia sul governo nazionale, e soprattutto su una domanda che, a un anno dal voto nazionale, diventa pressante: chi saranno i candidati alla Cancelleria?

Se avete letto l’ottimo pezzo di Edoardo D’Alfonso Masarié sui risultati delle elezioni a Est – e se non l’avete fatto, cosa aspettate? Andate, su! – avrete un’idea piuttosto precisa della situazione, e del percorso estremamente accidentato e ingarbugliato che occorrerà percorrere per arrivare a formare i due governi regionali in Sassonia e soprattutto Turingia.

Vi sarà chiaro chi ha vinto (AfD e BSW), chi ha in qualche modo retto (la CDU), chi ha perso in modo più o meno rovinoso (i partiti del governo semaforo). Partendo da questi dati, e da quello che prevedibilmente ci aspetta in Sassonia e in Turingia, può essere utile provare a spostare lo sguardo altrove, sia geograficamente che temporalmente. Geograficamente significa riflettere sulle conseguenze che questi risultati elettorali avranno a Berlino, sul piano del governo e della politica nazionale; temporalmente, invece, vuol dire trarre qualche indicazione dalle urne sassoni e turingiane per le elezioni politiche del settembre 2025, in particolare su un punto decisivo che inizia a diventare pressante per tutti i partiti: la K-Frage, cioè la domanda (Frage) su chi sarà il candidato Cancelliere (Kanzlerkandidat).

Per il governo semaforo l’impatto delle elezioni in Sassonia e Turingia è tutto sommato lineare: una spinta ulteriore nella spirale discendente da cui SPD, Grünen e FDP non sembrano in grado di uscire. E le tensioni fra i tre partiti salgono sempre più. Non sono pochi quelli che la sera stessa del voto hanno più o meno fatto capire che sarebbe ora di staccare la spina, soprattutto fra i liberali, ormai davvero a rischio di scomparire non solo dai Parlamenti regionali ma anche da quello Federale.

Wolfgang Kubicki, decano della FDP, la tocca piano: “Il risultato elettorale lo mostra: il semaforo ha perso la sua legittimazione. Se una parte rilevante dell’elettorato rifiuta il proprio sostegno in questo modo, ci devono essere conseguenze.” Significativa anche la seconda parte del tweet: “Le persone hanno l’impressione che questa coalizione danneggi il Paese. E danneggia sicuramente la FDP.”

Che il semaforo corra a gran velocità verso il capolinea è più di un’impressione, in realtà. Se la popolarità del governo è ai minimi storici, la situazione del Cancelliere è ancora più grave. Secondo alcuni sondaggi, se si potesse eleggere direttamente il Cancelliere solo il 23% dei tedeschi sceglierebbe Scholz, e la stragrande maggioranza non lo vorrebbe ricandidato nel 2025 – un dato che si riflette persino fra gli elettori della SPD.

Addirittura si inizia a vociferare di un “piano Biden” per Scholz, con ipotesi di dimissioni già alla fine dell’anno e il conseguente tramonto di ogni idea di ricandidatura. Uno scenario praticamente inedito nella politica tedesca recente, che poi lascerebbe aperta anche un’ulteriore domanda: se non Scholz, chi? Chi accetterebbe di andare incontro a una sconfitta sicura – perché sarà una sconfitta – nel 2025, con percentuali probabilmente disastrose, finendo così col bruciarsi?

L’unica cosa certa è che fino al voto in Brandeburgo, previsto per il 22 settembre, non si muoverà nulla. Gli ultimi sondaggi danno AfD davanti, ma la SPD – che attualmente governa il Land alla guida di una Kenia-Koalition insieme a CDU e Grünen – non è troppo distante: parliamo di un gap che, nelle rilevazioni più ottimistiche, è di un solo punto. I socialdemocratici quindi sperano che possa ripetersi per loro quello che è successo in Sassonia alla CDU, che cioè pur di pochissimo riescano a spuntarla relegando AfD al secondo posto, e potendo così guidare le trattative per la formazione del nuovo governo. Magari sostituendo i Verdi, a rischio di restare fuori dal Landtag, con il BSW, il movimento di Sahra Wagenknecht che a quel punto sfiorerebbe davvero il trionfo, finendo in tutti e tre i governi nei tre Länder andati al voto.

Intanto però Scholz e il suo governo hanno deciso di correre ai ripari. E cosa fare quando la tua popolarità è in picchiata, la tua coalizione traballa e dall’altra parte hai un partito di estrema destra ai suoi massimi storici? Te la prendi con gli immigrati, naturalmente! Il Cancelliere ha infatti scelto l’immigrazione come tema principale per riconquistare la fiducia dei tedeschi. Oltre ad invitare la CDU a colloqui dedicati a trovare un piano d’azione comune, colloqui però miseramente naufragati, Scholz ha messo su la faccia ferocissima: rimpatri verso l’Afghanistan (la prima volta da quando sono tornati i Talebani), verso l’Uzbekistan, addirittura la reintroduzione di controlli alle frontiere per almeno sei mesi, sostanzialmente mettendo Schengen tra parentesi. Certo, può dichiarare al Bundestag che “la Germania ha bisogno di migranti”, ma poi se – da socialdemocratico! – si mette a fare cose da AfD, che credibilità può avere?

Olaf Scholz. In primo piano, sfocato, Friedrich Merz. (Foto: Kay Nietfeld /dpa)

Se da una parte c’è un governo in crisi e un Cancelliere in caduta libera, dall’altra parte all’opposizione dovrebbero essere tutti contenti e su di giri, no? E invece anche dalle parti dell’Union la situazione è piuttosto complicata.

Friedrich Merz, il capo della CDU, naturalmente si è detto soddisfatto del risultato ottenuto in Sassonia, e di aver tenuto in Turingia, ma il percorso che dalle urne va ai tavoli delle trattative di governo è per lui pieno di potenziali problemi. Il suo partito con ogni probabilità finirà col governare in entrambi i Länder, ma in coalizioni tutt’altro che ideali da una prospettiva conservatrice. La presenza del BSW significa collaborare con gente che fino all’altro ieri era nella Linke, nei confronti dei quali vige ancora la fatwa riconfermata di recente nel programma fondamentale della CDU: nessuna cooperazione con gli estremi, di destra o di sinistra. Per di più, in Turingia potrebbe essere necessario accordarsi con la Linke per un patto di non belligeranza, che garantisca una specie di “sostegno esterno” del partito di sinistra – che non entrerebbe nel governo ma non voterebbe contro.

Scenari che costringono Merz a pericolosi equilibrismi. Benedire l’accordo con BSW e il patto con la Linke significherebbe esporsi alle critiche dei falchi del partito, che di sinistra non vogliono neanche sentir parlare. Non prendere una posizione, lasciando che se la sbrighino le sezioni locali, sarebbe però ancora peggio: un segnale di pessima leadership – anzi, di vera e propria assenza di leadership. Un messaggio che, a un anno dalle elezioni politiche e con la candidatura alla Cancelleria ancora in ballo, non si può assolutamente far passare.

La K-Frage, dalle parti dei conservatori, è infatti ancora una partita apertissima. Certo Merz è il favorito d’obbligo, in quanto capo della CDU, ma intorno a lui si stringe il cerchio dei pretendenti alternativi. A guidare il drappello è naturalmente Markus Söder, il capo della CSU e Ministerpräsident bavarese. Söder ormai da tempo sta tentando di “superare a destra” Merz, presentandosi come il vero hard-liner dello schieramento: sfoggiando un pizzetto nuovo di zecca, aggiunta estiva al suo look, il leader bavarese continua nella sua battaglia contro i Verdi, secondo lui il vero “centro ideologico” del governo semaforo, giurando e spergiurando che un governo nero-verde non si farà mai e poi mai. Quanto differenza rispetto a quattro anni fa, quando flirtava apertamente con gli ecologisti e concedeva interviste insieme a Robert Habeck dai toni ben più che cordiali.

Sulla candidatura Söder non si tira indietro: come ha dichiarato durante un incontro ai primi di settembre, “per me quello di Ministerpräsident è l’incarico più bello, ma non mi sottrarrei dall’assumermi la responsabilità per il nostro Paese.”

Il nuovo pizzetto di Markus Söder (Foto: Joerg Carstensen / dpa)

Il bavarese non è però l’unico a puntare sulla linea dura. Il giorno dopo il voto in Sassonia e in Turingia ha preso la parola Boris Rhein, Ministerpräsident dell’Assia, sottolineando come sia necessaria una “Zeitenwende nella politica dell’immigrazione”, riferendosi ovviamente al celebre discorso di Scholz all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina. “La Germania ha un problema di terrorismo legato all’immigrazione, e il semaforo deve reagire”, ha detto prendendo spunto anche dai fatti di Solingen, sollecitando il governo a introdurre controlli alle frontiere e a mostrarsi più efficiente nei respingimenti.

Boris Rhein (Foto: Christine Gorlich)

Particolarmente silenzioso invece è stato un altro dei contendenti: Hendrik Wüst, quarantanovenne Ministerpräsident del Nordreno-Vestfalia.

Hendrik Wüst (Foto: dpa)

Molti osservatori vedono in lui il vero outsider della corsa alla candidatura, e c’è da scommettere che stia aspettando il risultato in Brandeburgo per scendere ufficialmente in campo, probabilmente con un posizionamento agli antipodi di Söder e Rhein. Wüst da tempo infatti ha scelto di incarnare la via moderata e “progressista” dei conservatori, sponsorizzando anche a livello nazionale la coalizione nero-verde con cui governa nel suo Land. Una mossa che sembra molto azzardata, in questi tempi in cui il Green-bashing offre ottimi risultati con minimo sforzo, ma che tiene in considerazione un aspetto tutt’altro che secondario. Nonostante tutti gli tirino addosso, nei sondaggi nazionali i Grünen rimangono comunque sopra il 10%, arrivando in alcune rilevazioni anche al 13% – a pochissima distanza da una SPD che invece sembra non riuscire a schiodarsi dal 14%. Ripetere a destra e a manca che non si farà mai un governo con i Verdi, quando invece potrebbe essere necessario visto che numericamente anche la Grosse Koalition non sarebbe sufficiente, rischia di essere una tattica poco lungimirante.

Edoardo Toniolatti

@EdoToniolatti

1 commento su “Il voto a Est e la K-Frage”

Lascia un commento