Cosa c’è dietro un simbolo

La decisione dell’USK sui simboli nazisti nei videogiochi e cosa ci rivela sulla cultura e sulla società tedesca

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Un ben noto stereotipo, assai duro a morire, vuole che sia praticamente impossibile parlare della Germania senza in qualche modo dover parlare di Nazismo.

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Don’t mention the war! The Germans, Fawlty Towers

Eppure, senza soccombere alla reductio ad Hitlerum, c’è modo e modo di parlare del rapporto della Germania con il Nazismo, in particolare con i suoi simboli.
Proviamo a fare un brevissimo viaggio nell’immediato, approfittando di due eventi che ci aiutano molto a capire questo rapporto: da un lato i fatti di Chemnitz e dall’altro la recente decisione dello USK (Unterhaltungssoftware Selbstkontrolle – l’organizzazione tedesca che fornisce il rating dei videogiochi, equivalente del PEGI europeo) di consentire l’utilizzo di simboli nazisti nei videogiochi, pratica finora vietata.
A prima vista può sembrare che il mondo vada alla rovescia e che tutto sarà irrimediabilmente perduto, se non stiamo attenti. Non è così. Vediamo perché.
Chi segue l’attualità in Germania sicuramente sa già a grandi linee che cosa è successo a Chemnitz, in Sassonia. Brevemente: l’estrema destra in Germania è riuscita a trasformare una cittadina di 250.000 abitanti in una sorta di laboratorio eversivo, raccogliendo gruppi estremisti di varia matrice e dando loro eco e visibilità, attraverso manifestazioni pubbliche come marce e concerti. Il miglior resoconto dei fatti in italiano lo trovate qui, senza moralismi posticci, né solleticamenti di umori fuori luogo in proporzione agli eventi – sempre dando per scontato che non piacciano a nessuno. Kater ne ha parlato qui, approfondendo soprattutto il tema della riunificazione.
Durante le manifestazioni a Chemnitz i gruppi neo-nazi hanno mostrato simboli, come le svastiche, e compiuto gesti associati al nazismo. Tra questi lo Hitlergruß: il saluto tributato a Hitler, una variante del saluto romano. In questi giorni (dopo circa due settimane dai fatti) sono arrivate le prime condanne: un uomo è stato condannato a 8 mesi di reclusione e 2000 € di multa per Hitlergruß e per comportamenti violenti. Chi ha il mito dell’efficienza della Germania non batterà ciglio davanti a una condanna così puntuale, ma invece si tratta di un percorso eccezionalmente rapido, proprio a causa del tipo di reato, che ha una tolleranza notoriamente quasi nulla nel sistema tedesco.
A questa prima condanna ne seguiranno altre nei prossimi giorni.
Come si allacciano i fatti di Chemnitz e i videogiochi?
Grazie a un elemento che è sia croce che delizia dei nostri tempi: la narrazione.
Nell’era post-fattuale in cui viviamo, ci siamo abituati a constatare che il racconto è tutto. Non conta più solo cosa sia successo, ma anche come i fatti vengono esposti, se siano plausibili e al tempo stesso appassionanti, in un connubio di verosimile e meraviglioso che avrebbe mandato in visibilio il Tasso – che certamente non si sarebbe mai aspettato che, un giorno, alla critica di condividere una fake news le persone si sarebbero sentite legittimate a rispondere: anche se non è vero, quello che conta è il messaggio quindi lo condivido.
Lasciando in pace il Tasso e tornando in argomento, lo USK nel modificare i criteri che permetteranno di mostrare i simboli nazisti nei videogiochi ha sostanzialmente volto in positivo il potere della narrazione, o meglio della contestualizzazione.
Facciamo un passo indietro, cerchiamo rapidamente di capire meglio il senso del divieto – che esiste tuttora e non verrà rimosso – e in che modo sarà applicato d’ora in avanti.
Il codice penale tedesco (Strafgesetzbuch) proibisce l’uso dei simboli nazisti tramite l’articolo 86a, che più in generale proibisce la diffusione di simboli di organizzazioni incostituzionali. La lista delle organizzazioni – e dei simboli – è lunga e non esaustiva, ma ci sono dei documenti di riferimento distribuiti pubblicamente. Nelle liste si vede bene come non solo i simboli originali sono proibiti, ma anche versioni alterate intenzionalmente o meno: per esempio la swastika specularmente ribaltata è altrettanto proibita, nonostante sia un simbolo positivo nelle religioni e nella spiritualità dell’Asia orientale.
L’attuale divieto è il retaggio del processo di “denazificazione” (Entnazifizierung) avviato in Germania Ovest dagli alleati nell’immediato dopoguerra e successivamente abbandonato, con l’uso progressivo di amnistie e altre forme di reintegro nella società di ex esponenti nazisti. Alla fine della guerra, la Costituzione della Germania Ovest (1949) formalizzava la condanna della Volksverhetzung (incitamento all’odio): gli atteggiamenti denigratori verso altre etnie, religioni o atti violenti nei confronti di gruppi specifici diventavano reato. Nel corso degli anni ‘50 fu aggiunto l’articolo 86a per vietare l’uso di simboli di partiti e organizzazioni considerati incostituzionali, inclusi quelli filonazisti e il KPD (il partito comunista tedesco bandito dal 1956), con lo scopo di eliminarli completamente dalla sfera pubblica. Un’importante eccezione nell’uso era concessa per la ricerca scientifica e storica, o per l’accuratezza delle ricostruzioni in prodotti artistici come film, libri e opere teatrali.
Negli anni ‘60 in Germania Ovest ci fu un nuovo interesse per il nazismo e il suo retaggio nella società contemporanea, interesse che portò a rendere effettive le leggi concepite nel primo dopoguerra. In quegli anni il risveglio di coscienza collettivo passò attraverso l’esigenza di radici storiche “pulite” della generazione degli studenti, che letteralmente si chiedeva e chiedeva ai propri genitori e nonni “ma tu dov’eri allora? Da che parte stavi?”. Da allora in poi la Germania ha assunto il compito di vigilare sul proprio passato, con l’obiettivo di prenderne distanza dotandosi degli strumenti culturali per non riviverlo più. Da un lato questo ha creato una viva dialettica, che arricchisce le nuove generazioni e le protegge dal tabù del nazismo. Dall’altro lato, ha reso molto difficile ancora adesso affrontare l’idea delle amnistie, l’idea di ex nazisti rimasti impuniti e di fatto reintegrati nella società. Paradossalmente, il successo del reintegro crea ancora oggi scandalo: basti pensare a come fu accolta nel 2006 la dichiarazione dell’autore Gunter Grass, che rivelò di essersi arruolato volontariamente nelle Waffen-SS a 17 anni. Ci sono ancora oggi discussioni su questo caso: per molti, nonostante Grass non abbia mai risparmiato critiche al regime hitleriano, un fatto simile non si può derubricare con scioltezza a “errore di gioventù”. E’ stato accusato, anzi, di ipocrisia per aver criticato il nazismo pur non trovandosi in una posizione sufficientemente “virtuosa”, dal punto di vista morale, che gliene desse il diritto.
Tornando all’articolo 86a, come abbiamo visto esso contiene un’importante eccezione: per esigenze scientifiche, di ricostruzione storica, o artistiche, può essere concesso utilizzare simboli nazisti. Questo è valido ancora oggi ed è proprio il confine su cui dialetticamente la Germania costruisce il proprio equilibrio con il passato: come si fa, però, a valutare il confine tra arte e ricostruzione storica, per esempio, nei film? Grazie al concetto di Sozialadäquanz, “adeguatezza sociale”, che definisce che un comportamento è socialmente adeguato se è entro i limiti di ciò che è socialmente normale e approvato dal pubblico in generale. E’ storicamente e abitualmente accettato dal pubblico attuale vedere in ricostruzioni storiche le uniformi naziste, le effigi naziste, il volto di Hitler etc. La stessa cosa può dirsi dei film: per esempio, secondo la valutazione effettuata dall’organo competente, Inglourious Basterds non desta alcuna preoccupazione nel pubblico. E’ una storia di fantasia, ambientata nel periodo della Germania nazista, e non ha infatti incontrato problemi di censura, con l’eccezione della locandina in cui la swastika che sostituiva la O è stata coperta.

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Ma allora perché, se l’articolo 86a prevede eccezioni in base al principio di adeguatezza sociale, non è stato possibile fino a poco tempo fa mostrare i simboli nazisti nei videogiochi? E che cosa è successo ora che ha cambiato le cose?
Per capire bene questo punto, idealmente bisognerebbe avere la pazienza di fare i conti con l’estesissima burocrazia tedesca e con la particolare sensibilità per arte e cultura che contraddistinguono la Germania.
Ma è possibile anche riassumere in breve: i film e i videogiochi in Germania non sono valutati dallo stesso ente, perché mentre i film sono considerati culturalmente importanti ed equiparati a forme artistiche, i videogiochi sono invece considerati “solo” forme di intrattenimento. Da un punto di vista legale sono quindi soggetti a due diversi percorsi di valutazione: i film sono esaminati dallo FSK (Freiwillige Selbstkontrolle der Filmwirtschaft – associazione per l’autocontrollo volontario dell’industria cinematografica) e i videogiochi dallo USK (Unterhaltungssoftware Selbstkontrolle – associazione per l‘autocontrollo dei software di intrattenimento).
Per le forme di intrattenimento, come i videogiochi, non era prevista fino ad Agosto 2018 l’applicazione del concetto di Sozialadäquanz. Da adesso in poi, invece, i videogiochi in esame allo USK verranno valutati caso per caso, in base all’appropriatezza del contenuto nel contesto.
Che cosa cambierà da adesso in poi, a parte poter includere la swastika nei giochi e mostrare finalmente Hitler coi baffi?

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L’avete riconosciuto? Sì? Bravissimi: è proprio lui, ‘Heiler’, di ‘Wolfenstein II: The New Colossus’. O almeno nella versione distribuita in Germania.

Ci sono stati molti tentativi, nel corso degli anni, di far cambiare idea allo USK sulla valutazione dei videogiochi e ci sono stati molti appelli alla BPjM (Bundesprüfstelle für jugendgefährdende Medien – Consiglio federale di revisione per i media nocivi ai minori) da singoli sviluppatori e importanti software houses perché adottasse per i videogiochi le stesse regole previste per i film. Appelli che finora erano stati tutti rigettati.
Non è dato sapere, al momento, se sia stato un singolo caso o la somma di molti a produrre questo cambiamento: le dichiarazioni di USK e BPjM non fanno riferimento nel dettaglio alle motivazioni, ma riconoscono esplicitamente l’importanza dei videogiochi nella cultura contemporanea.
Secondo alcuni l’apripista è stato un browser game prodotto nel 2017 dal gruppo funk (che ha come target i giovani tra i 14 e i 29 anni), Bundesfighter II Turbo, in cui il giocatore può far sfidare i rappresentanti dei partiti candidati alle elezioni. L’esponente AfD, Alexander Gauland, ha una mossa speciale interessante: incrocia le gambe e le braccia a formare una swastika rovesciata. Il caso è stato sollevato alla BPjM, che però ha deciso di non dare seguito con azioni legali, nonostante i ricorsi presentati in tribunale. Sembra che a determinare la decisione di non procedere sia stato il contesto umoristico del gioco che non pone rischi per il pubblico più giovane.
Ritornando ora al discorso su Chemnitz che avevamo temporaneamente abbandonato: quella che cambierà sarà la narrazione.
Grazie a questa importantissima decisione sarà possibile raccontare più storie e sarà possibile raccontarle meglio, finalmente anche dalla parte delle vittime.
Che cos’hanno in comune, infatti, i videogiochi come quelli della serie Wolfenstein? Il loro sguardo sul nazismo è soprattutto estetico, quindi parziale. Non importa che i nazisti siano dichiaratamente i “cattivi” da combattere, importa anche cosa è detto delle vittime. Nella versione dell’ultimo capitolo della serie, The New Colossus, distribuita in Germania, il protagonista non combatte i Nazisti del Terzo Reich, ma il “Regime”: i simboli, le uniformi, l’aspetto e il nome di Hitler sono stati modificati per non essere riconducibili al nazismo. Ma forse il punto più importante su cui soffermarsi è questo: in un dialogo in cui Hitler, cioè Heiler, parla del protagonista è stata completamente rimossa la parte in cui si racconta che la madre del protagonista era ebrea ed era stata denunciata dal padre ai nazisti, finendo per morire in un campo di sterminio.
E’ difficile fare illazioni, ma forse l’applicazione del principio di Sozialadäquanz in questo caso avrebbe prodotto un risultato molto meno drastico e avrebbe magari lasciato intatto il racconto delle vittime anche nella versione tedesca.
La difficoltà di raccontare la Storia dalla parte delle vittime in un videogioco distribuibile in Germania, senza incorrere nelle restrizioni dell’86a, l’ha spiegata recentemente su Gamasutra Joerg Friedrich, uno dei creatori di Through the Darkest of Times, un gioco di strategia il cui protagonista è il leader di un gruppo della resistenza durante il Terzo Reich.

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http://throughthedarkestoftimes.com/Press/

Nella lunga lettera a Gamasutra, Friedrich spiega quali erano le loro intenzioni di design e che difficoltà hanno incontrato lungo il percorso:
“Spesso i nazisti appaiono (nei giochi) come ‘stupidi malvagi’, un po’ come l’Impero di Star Wars. Le vere atrocità commesse, e la Shoah, non vengono raccontate. Volevamo che questo cambiasse. E non ci piaceva come i giochi copiassero l’estetica dei nazisti senza dare rilievo alle loro azioni.
Dovevamo ancora fare i conti con l’86a: ci siamo rifiutati di creare un universo fittizio e di trovare un altro nome per i nazisti o di inventare altri simboli. Ma non potendo usare quelli veri, e rifiutandoci di inventarne di fittizi, non ci restava altro che rimuovere delle parti.
“Ma più cose scoprivamo e più ci rendevamo conto che non era semplice.
Rimuovere le svastiche è un conto, ma rimuovere il saluto hitleriano è molto più difficile.
Sebastian (altro creatore e designer) ha creato una scena iconica sul rogo pubblico dei libri nel maggio 1933, basata su filmati dell’epoca. Gli studenti nazisti che alimentano il rogo sono intorno al fuoco e fanno il saluto hitleriano. Nel mentre Erich Kästner (un famoso autore tedesco i cui libri furono bruciati), rimane nell’ombra e guarda quello che viene fatto alle sue opere. Ci siamo accorti che con le regole attuali lo USK non ci avrebbe dato un rating per il gioco, e che quindi il gioco non sarebbe potuto uscire in Germania.”
“Abbiamo provato a modificare la scena, a zoomare in modo che si vedesse solo il rogo. Gli studenti nazisti si sarebbero potuti editare in modo da non mostrare il braccio che faceva il saluto, ma a quel punto non si sarebbe visto Kästner. Tutta la scena perdeva forza e significato. Una scena iconica, chiara anche senza spiegazioni, diventava vaga senza aggiungere una spiegazione esplicita.
Nessun altro media ha questo problema. Nessun regista ha questa preoccupazione. Un regista potrebbe tranquillamente mostrare quello che c’è da vedere, perché è rappresentato nel corretto contesto legale.
Ma siccome noi stavamo lavorando a un videogioco, il contesto era irrilevante. Nessuno l’avrebbe preso in considerazione. Né l’assicurazione, né lo USK. Senza il rating USK, non avremmo potuto venderlo in Germania.
Non era giusto e ci faceva arrabbiare.”

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Un dettaglio della scena del rogo dei libri, nel gioco Through the Darkest of Times.

I creatori di Through the Darkest of Times hanno fatto quindi la cosa più immediata di questi tempi: hanno avviato un dibattito su Twitter per cercare di raccogliere pareri, sia di esperti che di persone comuni potenzialmente interessate al gioco. L’obiettivo era soprattutto capire se valesse la pena iniziare una battaglia legale per poter far uscire il gioco in Germania senza adattamenti. Uno dei nodi è stato per loro discutere con chi voleva lo stesso risultato, ma per ragioni opposte: è giusto che i simboli siano utilizzabili in Germania perché ormai il passato è stato metabolizzato e il Paese è maturo per comprendere la loro contestualizzazione; ma anche: perché non mostrarli? In fondo il Nazismo non è così terribile come la propaganda attuale vuole farci credere.
Nel mezzo della discussione, è arrivata la notizia che lo USK applicherà il principio di adeguatezza sociale anche ai videogiochi. E’ una buona notizia per Friedrich, ma per tutti gli sviluppatori interessati al tema. Ed è un’ottima notizia per tutta la società tedesca, nonostante qualche voce contraria.
Perché in fondo i simboli non devono essere un tabù: se ci si ferma ai simboli senza sapere perché devono essere vietati, allora si perdono di vista le conseguenze che hanno avuto quei simboli su milioni di vittime. Il divieto assoluto conferisce ai simboli un potere di fascinazione che li slega dalla loro storia, dai motivi per cui erano stati scelti e per cui sono diventati così importanti durante il periodo nazista.
A Chemnitz hanno sfilato i simboli del Nazismo, che vengono giustamente banditi come mezzo di propaganda neo-nazi. La gravità delle marce di Chemnitz non sta nella visibilità dei simboli, ma nel ricorrere proprio a quei simboli specificamente con atteggiamento di sfida e senza contestualizzazione. L’assenza di contestualizzazione è anche quello che consente, a chi sostiene questi gruppi o non li rifiuta, di minimizzarne la portata riducendoli a meri elementi identitari estetici. A Chemnitz c’è stata solo una narrazione parziale, che non dice nulla della Germania attuale e della distanza che la separa da quello che è stata. E’ questa distanza che va riempita, con una continua dialettica.
E’ quindi positivo che si sia affermato il principio di valutare l’uso dei simboli caso per caso, e nessuno probabilmente lo giustificherebbe a Chemnitz e in contesti confrontabili. Ma altri contesti possono invece offrire più comprensione e possono stimolare l’impegno dei singoli e della società a prenderne le distanze, guardando sempre alle vittime di allora e a quelle potenziali di adesso. Senza farsi paralizzare dalla paura, ma affrontandola.

Francesca Vargiu

@GraceVanFruscia 

Breve nota su come funzionano USK e BPjM:
Per poter essere distribuito in Germania, un videogioco deve prima ottenere un rating dallo USK: il rating attesta per che pubblico sono adatti i contenuti del gioco, in base all’età. Non dà alcuna indicazione sulla difficoltà del gioco per età, ma solo sui contenuti. Un gioco che richieda di saper leggere, per esempio, può essere adatto a minori di 6 anni. I valutatori sono tutti volontari che abbiano frequenti contatti con i giovani sia per lavoro che per circostanze private: devono giocare il gioco e dare il loro parere anonimamente.
Nel caso in cui un gioco non abbia ottenuto un rating dallo USK – circostanza ormai impossibile, ma che poteva verificarsi nei primi anni dalla creazione dello USK – il gioco non è automaticamente proibito, ma è a rischio di essere messo all’indice dallo BPjM. Per esempio, se un gioco senza rating ricevesse una lamentela formale da parte del pubblico, il BPjM a quel punto lo prenderebbe in esame per valutare di porlo all’indice.
I giochi all’indice non possono essere pubblicizzati né venduti ufficialmente.

PEGI e USK:
Mentre 30 paesi europei sono riuniti in un unico organismo, il PEGI (Pan European Game Information), la Germania ha invece istituito un ente separato dal 2003. Ciò è dovuto a un fatto di cronaca accaduto nel 2002 a Erfurt, in Turingia, dove uno studente espulso da una scuola sparò e uccise 16 persone prima di suicidarsi. L’autore della strage era appassionato di giochi first-person shooter e altri definiti “violenti”. Questo portò a ritenere i giochi stessi potenzialmente responsabili per il suo comportamento e il BPjM optò per maggiori restrizioni di accessibilità ai giovani, con la creazione dello USK come organismo deputato a valutarne il contenuto.

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