Björn Höcke in tribunale

Il capo della corrente più radicale e xenofoba di AfD è stato denunciato

Se siete lettori di Kater avete ben presente chi è Björn Höcke.

Forse il volto più famoso – o famigerato – di AfD, Höcke è il leader del partito nel Land orientale della Turingia, ed è il capo della corrente più radicale, la cosiddetta Flügel (“ala”) che ufficialmente è stata sciolta tre anni fa ma ufficiosamente sembra ancora in ottima salute. Protagonista di comizi incendiari e dichiarazioni discutibili (eufemismo), finì sulle prime pagine dei giornali tedeschi nel gennaio del 2017, quando un suo discorso durante un incontro del partito a Dresda scatenò reazioni durissime. In quell’occasione Höcke attaccò la “politica della memoria” della Germania, augurandosi un’inversione a 180° gradi, e non è difficile immaginare a cosa si riferisse. Definì anche il Memoriale per le vittime della Shoah di Berlino un “monumento alla vergogna” (“Denkmal der Schande”), lamentando come la Germania sia “l’unico Paese ad aver piantato un monumento alla vergogna nel cuore della propria capitale”.Insomma, quando pensiamo a qualcuno più o meno in odore di neonazismo, pensiamo a uno come lui. E probabilmente lo stesso pensa anche il Tribunale distrettuale (Landgericht) di Halle, in Sassonia-Anhalt, che lo ha accusato di aver usato un vocabolario direttamente riconducibile al nazismo durante un comizio nella regione, due anni fa. Durante un incontro pubblico nella piccola cittadina di Merseburg, Höcke avrebbe usato la formula Alles für Deutschland (“Tutto per la Germania”), slogan delle SA durante il regime, che come tutto il linguaggio testuale e visivo del nazismo è oggi proibito per legge. Il capo della AfD turingiana dovrà quindi presentarsi in tribunale.

Björn Höcke (Foto: DTS Imago)

Ci sono due aspetti rilevanti di questa notizia su cui vale la pena soffermarsi. Uno ha a che fare con il contesto, con la fase politica che la Germania sta attraversando in questa fine estate 2023. L’altro invece tocca una riflessione più generale, che va oltre la politica in senso stretto e riguarda la dimensione ampia dello spazio pubblico, delle sue regole e dei suoi confini.

Il contesto, oggi, è quello dell’ascesa apparentemente inarrestabile di AfD. A fine giugno gli alternativi hanno per la prima volta vinto le elezioni per la guida del piccolo Circondario di Sonneberg, in Turingia, poi una settimana dopo hanno eletto il loro primo Sindaco, nel piccolo comune di Raguhn-Jeßnitz in Sassonia-Anhalt. In più negli ultimi mesi i sondaggi gli danno percentuali galattiche, stabilmente sopra il 20% e ormai seconda forza a livello nazionale. Il primato dell’Union non sembra essere in discussione, ma solo perché, per l’appunto, l’Union è l’unione di due partiti, CDU e CSU: se li si contasse individualmente, AfD sarebbe in vetta, mezzo punto più su della CDU.

Un sondaggio GMS del 19 settembre…
… uno INSA del 16…
… e uno Kantar, sempre del 16.
Il sondaggio INSA del 3 luglio che vede AfD primo partito con la scomposizione dell’Union nei sue due tronconi.

Alle elezioni politiche mancano due anni, che da certi punti di vista è un’era geologica, e non è detto che i numeri rimangano questi. In più non va dimenticato che quando si tratta di eleggere il Bundestag, il Parlamento Federale, e dunque il Cancelliere, i tedeschi tendono a essere molto più conservatori, non nel senso che votano a destra ma che difficilmente scelgono un cambiamento radicale – sedici anni di Angela Merkel si spiegano anche così.

Questo però non significa che si possa semplicemente ignorare la faccenda. Anche perché prima delle politiche ci saranno tre elezioni regionali nell’Est del Paese, in Turingia, in Brandeburgo e in Sassonia, dove AfD è da molti anni fortissima e una seria pretendente al titolo di primo partito. Come forse ricorderete, alle scorse Bundestagswahl gli alternativi confermarono che sostanzialmente l’Est è roba loro, facendo incetta di Direktmandate (i mandati diretti al Parlamento Federale), e risultando i più votati in Sassonia e Turingia. 

I sondaggi proiettano autentici sfracelli, con distacchi che toccano anche i dieci punti percentuali.

Cosa dicono i sondaggi in Brandeburgo…
… e in Turingia.

Le ragioni dietro questo successo devastante sono diverse. Ne avevamo parlato anche in questo pezzo di qualche mese fa, in cui scrivevamo che AfD vince non perché è conservatrice, ma propriamente reazionaria, asserragliata in un rifiuto del presente unito alla promessa di un impossibile quanto feroce ritorno al passato. 

Molto ha anche a che fare con le difficoltà in cui si trova il governo tedesco. La coalizione semaforo di SPD, Grünen e FDP è probabilmente al minimo storico in termini di apprezzamento popolare, vittima di battibecchi e scontri interni sempre più numerosi, estenuanti e protratti per settimane. L’impressione che ne traggono i tedeschi è che questi perdano tempo a  litigare, altro che governare. E in mezzo a questo sentimento generale AfD riesce a trarre il massimo profitto col minimo sforzo, affinando in maniera molto astuta la propria strategia. Una strategia di semplice posizionamento: “dire l’opposto di quello che dice il governo”. Partito di profittatori (in senso eminentemente politico), AfD sembra aver compiuto un passo ulteriore nella trasformazione del concetto di “partito di protesta”. Più che concentrarsi su un tema specifico, o sull’elaborazione di una proposta forte e chiaramente riconoscibile, AfD si limita a mettersi dalla parte opposta rispetto a quella in cui si posizione il governo, indipendentemente dal tema trattato. Una specie di inversione del classico concetto di single issue party: invece di un tema o un’idea da cui far discendere un posizionamento, un posizionamento  – l’opposizione più estrema e radicale possibile – da cui far discendere cosa pensare e cosa dire.

Una strategia rozza, se vogliamo, ma a quanto pare efficace nella sua brutalità.

Il secondo aspetto da sottolineare, come si diceva più su, è legato a una considerazione generale sul dibattito pubblico, sulle sue regole e sui suoi vincoli, e sul modo in cui costruisce lo spazio entro cui si svolge. 

Appena ho letto la notizia che Höcke sarebbe stato processato ho ripensato a un vecchio articolo di Sascha Lobo, blogger ed editorialista dello Spiegel. Nel 2017 Lobo analizzò il discorso con cui Höcke si era annunciato al mondo, quello tenuto a Dresda che citavamo in apertura, trovandoci toni, stile e parole che lo rendevano autenticamente, tecnicamente nazista. Un discorso che sarebbe potuto agevolmente figurare in una antologia goebbelsiana, la cui disamina serviva a smascherare un alibi: dopo questo discorso, nessuno può più votare AfD e dire, dopo, “non lo sapevo”. Votare AfD vuol dire votare questa cosa qui.

A quasi sette anni di distanza, e con un processo in vista, è ragionevole ipotizzare che per molti quel “votare AfD vuol dire votare questa cosa qui” non abbia rappresentato una linea rossa da non valicare, ma piuttosto un incentivo. E anzi si può pensare che la denuncia del Tribunale di Halle risulti alla fine un boomerang: sappiamo che AfD è campione mondiale di vittimismo, che è bravissima a recitare la parte del perseguitato, e il rischio di trasformare Höcke in un martire è certamente da non sottovalutare. 

Eppure non è sano che in una società considerazioni di questo tipo scendano in secondo piano rispetto ai punti fermi di ciò che è dicibile e tollerabile nel discorso pubblico? Che a un certo punto ci si ricordi che ci sono delle linee che non si possono attraversare, indipendentemente dalle conseguenze che farle rispettare può innescare?

Soprattutto, non è così che dovrebbe funzionare la costruzione dello spazio pubblico? L’insegnamento più profondo e al tempo stesso minimale dell’illuminismo e della modernità è il costante affinamento delle procedure con cui i valori alla base di una società vengono ridiscussi e rinegoziati: sempre più sfumature da considerare, sempre più soggetti, individui e ambiti da includere, in uno sforzo che tenda progressivamente a una dimensione davvero universale. Uno spostamento continuo, che nei secoli ci ha fatto capire ad esempio che “persone” erano anche le donne, o chi non ha la pelle bianca, e che abbiamo realizzato e continuiamo a realizzare proprio riflettendo incessantemente su quelle procedure, sui loro requisiti, sulle loro premesse.  E delle tecniche che adoperiamo per rinegoziare i nostri valori – la nostra identità – fanno parte i dibattiti, le discussioni, ma anche i processi: eventi che ridefiniscono la nostra comprensione di cosa si può fare e dire in una società, che danno forma all’opinione pubblica nel senso più proprio e pregnante del termine.

Vedere Björn Höcke in un’aula di tribunale magari spingerà qualcuno a vedere in lui un martire della libertà di parola, o porterà altra acqua al mulino di chi lamenta una fantomatica “dittatura del politicamente corretto”, ma sperabilmente farà soprattutto un’altra cosa: costringerà la Germania a riflettere nuovamente sul suo spazio pubblico, e a prendere sul serio il modo in cui lo si realizza.

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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