Ai tedeschi piacciono tanto diminutivi e vezzeggiativi. “Si capisce!” dirà magari chi è abituato alle chilometriche parole composite: veri e propri scioglilingua, i quali però pure nel linguaggio quotidiano dei “crucchi” in carne ed ossa valgono come poco simpatici, perché difficili (eh sì, anche per loro!) e soprattutto perché spesso provenienti dal gergo giuridico o burocratico. Ovviamente, neanche nell’ex Reich è tanto carino rivolgersi alla fidanzata o ad un caro amico in “avvocatese”! Come ha di recente notato Jetzt, inserto giovanile della Süddeutsche Zeitung, in realtà un gergo fatto di diminutivi e vezzeggiativi un po’ bambineschi cela una forte relazione emotiva con situazioni e parole magari complicate, ma vissute talmente da vicino da far sorgere come spontanea la necessità di un addolcimento del linguaggio. Di questi lemmi a mezza via fra il puerile e l’ufficioso ve ne sono tantissimi, ma a troneggiare sono senz’altro “Wessis” e “Ossis” – rispettivamente diminutivi di Westdeutsche e Ostdeutsche: insomma i tedeschi dell’ex Germania Ovest e della sua nel frattempo scomparsa sorella dell’Est.
Che una frattura statuale durata oltre quarant’anni lasci solchi ancor oggi è, nonostante ogni genere di appello e di sforzo per l’unità, più che comprensibile. Non di rado ai due diminutivi Wessis e Ossis vengono tuttavia associati concetti ulteriori, non puramente storico-geografici, che lasciano intravedere dietro la zuccherosa patina del vezzeggiativo un significato assai forte: la sensazione, diffusa non soltanto nella ex Repubblica Democratica, che i quarant’anni di socialismo reale da una parte e di capitalismo renano dall’altra abbiano creato due società parallele, comunicanti solo fino ad un certo punto, il territorio di una delle quali sia stato in un determinato momento della storia annesso dall’altra, relegandone la popolazione a cittadini “di serie B” di un “nuovo” Stato che in realtà tanto nuovo non era, ma solo la continuazione di uno dei due precedenti. Quanta parte di tale narrazione, sicuramente non del tutto priva di fondamenti, corrisponda al vero non spetta a Kater giudicarlo. Quello che però è interessante notare in un anno rilevante per l’ex Germania Est, con tre quinti del suo territorio al voto per rinnovare i parlamenti dei Länder, è come a farsi portavoce di rivendicazioni con questo retroterra ideale, assurgendo dunque a paladini di una “causa orientale”, siano spesso politici di prima linea che una vita nella ex DDR non l’hanno mai vissuta, essendosi trasferiti da Ovest ad Est quando ormai Muro e confine non c’erano già più.
Prima di scorrere qualche biografia di Ossis, che scesi dal pulpito tanto Ossis però non sono, occorre tuttavia una precisazione. Anche se il flusso demografico interno, dalla caduta del muro in poi, è stato misura più che preponderante da Est verso Ovest, contribuendo ad un declino demografico e sociale che è realmente fra i problemi più pressanti nel territorio della ex DDR, vi fu a partire dal 1990 anche un piccolo ma significativo gruppo che andò controcorrente. Ben lungi da essere nostalgici postumi del marxismo che fu, a popolare gli strati medio-alti delle città orientali fu una schiera fatta in prevalenza da burocrati, giuristi e funzionari chiamati a sovraintendere alle istituzioni politiche ed economiche di un paese che, in modo assolutamente improvviso, aveva adottato i modelli sociali e giuridici d’un altro Stato, senza che vi fosse il tempo né per formare ex novo una classe dirigente che padroneggiasse tali modelli, né per riconvertire quella vecchia, che in università aveva studiato Lenin e non la Costituzione di Bonn. Riguardo a quest’ultima categoria – la vecchia classe dirigente, anche di rango mediano, della DDR – la politica della Repubblica federale non volle commettere l’errore fatto quarant’anni prima con gli apparati istituzionali ereditati dal dodicennio hitleriano, quando la denazificazione fu fatta sì, ma un po’ all’acqua di rose: per quanto fosse chiaro che non ogni dipendente pubblico da Dresda al Baltico era uno stalinista dalla mitraglietta facile, si preferì un repulisti deciso e a tratti brusco, con la necessità di dover importare in sostituzione personale altamente qualificato dai vecchi Länder dell’Ovest. Personale che però c’era e che talora per passione, talora per carriera accettò la sfida. Ne è nata così una generazione di quadri e funzionari, dal giudice al sindacalista ed al commissario di polizia, che in comune con l’Est in cui vive ha il presente, ma non quell’ingombrante e significativo passato. Nelle facoltà giuridiche della “vecchia” Baviera, ad esempio, è diffusa la battuta per cui certi colleghi avrebbero fatto una carriera assai limitata se fossero rimasti sotto gli stringenti e tradizionali criteri di progressione professionale del Land d’origine, diventando al massimo presidenti di sezione d’un tribunale di provincia, mentre nei “nuovi Länder” hanno potuto raggiungere posizioni inimmaginabilmente apicali, magari addirittura giudici costituzionali. A quasi trent’anni dalla caduta del Muro – frutto di un moto rivoluzionario spontaneo dei cittadini della DDR che stupì tutti, Wessis inclusi! – questo ceto medio ed alto che ha popolato le città dell’Est tedesco senza condividerne il passato è ora in parte non trascurabile divenuto il portavoce delle istanze sociali e politiche di quella porzione di Paese. Che identità abbiano questi paladini dell’oriente, Ossis per passione ma non per tradizione, è mistero arduo da disvelare.
Un esempio paradigmatico di questa parabola è quello di Kurt Biedenkopf, Primo ministro della Sassonia dal 1990 al 2002, sotto la cui guida la CDU nel Land fresco di rifondazione ottenne risultati “bavaresi”. Biedenkopf arrivò però in Sassonia solo poche settimane prima delle elezioni del 1990, come un “legato” del Cancelliere e leader del partito Heltmut Kohl, che lo preferì a candidati sia della vecchia CDU orientale, compromessa con il regime realsocialista, sia ad esponenti della rivoluzione pacifica del 1989. Se i risultati elettorali paiono dar ragione alla strategia di Kohl e Biedenkopf, la biografia di quest’ultimo ha assai poco a che spartire con l’orizzonte di vita personale e sociale nella ex DDR: la sua carriera, prima accademica come professore di giurisprudenza poi politica come esponente di primo piano della CDU del Nordreno-Vestfalia, iniziò nientemeno che con gli studi alla Georgetown University di Washington. Non esattamente un’esperienza comune fra uomini e donne dell’ex blocco sovietico.

Anche venendo dal passato al presente, la CDU occidentale si conferma un’eccellente fucina di politici… orientali. Del leader della destra di AfD, Alexander Gauland, non si può dire che gli manchi l’esperienza del socialismo reale: nato e cresciuto nella sassone Chemnitz ribattezzata Karl-Marx-Stadt (“Città-Karl-Marx”), Gauland riuscì diciottenne a fuggire ad Ovest dopo che le autorità della DDR gli avevano negato l’accesso agli studi universitari. Terminati gli agognati studi (anch’egli in giurisprudenza), Gauland iniziò nelle fila della CDU di Francoforte una carriera di tutto rispetto al servizio della politica, che coronò fra il 1987 ed il 1991, quando sedette nel Consiglio dei ministri dell’Assia come Capo della cancelleria statale. Il 1991 vede Gauland tornare dopo oltre trent’anni ad Est, dove nella prussiana Potsdam rileva dall’ex partito socialista al potere il maggiore quotidiano locale, di cui diventa editore. In questo ruolo provocò scalpore un suo editoriale dell’estate 2011, nel quale egli additava la mancanza di un ceto medio borghese locale, fatto di professionisti, piccoli imprenditori e funzionari, come concausa dei problemi politici ed economici del Brandeburgo (il Land di Potsdam). Sugli schermi della politica riappare poi improvvisamente nel 2013, questa volta nelle fila della destra di AfD. In questa formazione non tarda a spiccare, prima come leader locale in Brandeburgo poi su scala federale: ad aiutarlo è stata senz’altro la sua comprovata esperienza politica e di governo, merce piuttosto rara in una tutto sommato giovane formazione di protesta. Ad onor del vero quella esperienza, ora tanto preziosa per i trionfi elettorali di AfD ad Est, fu però fatta con la CDU dell’Ovest.

Politicamente distantissimo da Gauland è Bodo Ramelow, politico della Linke e dal 2014 primo esponente di tale partito a raggiungere la carica di Primo ministro di un Land, la Turingia. Al governo con una coalizione insieme a SPD e Verdi, Ramelow è dal dicembre 2018 anche coordinatore dei Primi ministri di tutti e cinque i Länder della ex Germania Est, un ruolo che lo porta naturalmente ad una politica di rivendicazione e orgoglio per l’Est soprattutto nei confronti del governo federale. L’apprezzato politico di sinistra è un alfiere talmente convinto delle ragioni dell’Est che a fatica si direbbe che – ebbene sì, anche lui! – non è un esponente di una classe dirigente locale, bensì della società e della politica dell’Ovest. Ramelow infatti era un funzionario sindacale arrivato nel 1990 dall’Assia (Ovest) in una Turingia (Est) che aveva disperato bisogno di sindacalisti che non avessero un passato politico di compromissione con il potere politico, cosa pressoché impossibile nella ex DDR. Se di persone come Ramelow o Biedenkopf nessuno mette in dubbio né il rigore né passione politica per la terra nella quale, pur non essendovi cresciuti, hanno poi con convinzione scelto di vivere, quello che fa impressione – non solo a Kater, ma a studi anche più autorevoli – è una debolezza per non dire assenza di una classe dirigente locale, cresciuta attraverso le asperità della dittatura e la conquista rivoluzionaria della libertà. Dei tanti, soprattutto giovani, attivi nelle formazioni spontanee che furono decisive nella rivoluzione del 1989 o che a vario titolo si impegnarono come voci critiche o comunque autonome nella società della DDR, non v’è pressoché traccia nelle prime file della politica e della società tedesca. Con una grande, vistosa eccezione: Angela Merkel. La quale però, come ha riportato con esattezza lo Zeit, ha ormai da un pezzo perso fra l’elettorato dell’Est quel riconoscimento ed apprezzamento da “una di noi” di cui un tempo aveva goduto. Tanto da essere aspramente criticata, a marzo 2018, perché nella componente CDU del governo federale non v’è neppure un solo ministro che provenga dai “nuovi Länder”: anche l’Est vuole finalmente la sua rappresentanza e Angela Merkel non basta più.

La chiosa è meritata da una figura carismatica che attira attenzioni da dentro e fuori la Germania e che è spesso assurta a simbolo del malcontento dell’Est che sfocia nel voto populista: Björn Höcke.

Il leader di AfD in Turingia, candidato Primo ministro del Land per il suo partito nel 2014 e anche per il prossimo ottobre 2019, campione dell’ala nazionalista degli “alternativi”, figura-simbolo della portentosa forza elettorale della nuova destra nei Länder dell’ex Repubblica Democratica Tedesca… è in realtà anche lui un Wessi! Höcke è insegnante di storia (ora in aspettativa parlamentare) in un liceo di Bad Sooden-Allendorf, piccolo comune dell’Assia al confine con la Turingia. Quando a metà degli anni Duemila la famiglia Höcke dovette cercare casa vicino al luogo di lavoro di papà Björn, scelse di comprarla nel paese accanto, dall’altra parte dell’ex cortina di ferro. Non sappiamo se decisero così solo perché là i prezzi delle abitazioni sono notoriamente più bassi o per altre, differenti ragioni; di sicuro però il capofamiglia ha prediletto il comune di residenza a quello dove lavora per intraprendere la propria carriera politica, scelta che gli ha schiuso diverse possibilità. Mentre in Assia AfD è entrata nel parlamento solo a fine 2018, in Turingia Höcke ha potuto profilarsi già poco dopo la fondazione del partito (2013) con le elezioni statali del 2014, a partire dalle quali ha sommato alla sua esperienza partitica anche un’intera legislatura come capogruppo parlamentare. Una carriera ormai politicamente robusta, basata sui voti di tanti Ossis spesso più frustrati dalle difficoltà economiche e sociali delle proprie città che non attratti dalle fumanti prediche nazionaliste di Höcke, che però alla fine hanno deciso di dar il loro voto ad uno che quelle stesse difficoltà le ha vissute fin dal principio insieme a loro. Ah no, scherzavo: all’epoca Höcke era un biondo giovinetto della Renania ed il Muro era tanto, tanto lontano da lui.
1 commento su “Wessis o Ossis, questo è il problema”