Non solo in Italia quello delle pensioni è un tema decisivo per milioni di elettori. In una società analogamente invecchiata come quella tedesca, dove quasi il 60% degli elettori ha più di cinquant’anni e l’affluenza al voto è tanto più alta quanto maggiore è l’età dell’elettore, la conseguenza per partiti e candidati è chiara: proporre politiche particolarmente favorevoli alla seconda e la terza età può accrescere le probabilità di vittoria.

Certo, non bisogna esagerare né semplificare troppo. Così come è smentita dai fatti la diffusa idea che i “nuovi cittadini” con una storia di migrazione alle spalle votino solamente a sinistra, sarebbe altrettanto falso immaginare schematicamente “partiti di e per vecchi” da una parte “partiti di e per giovani” dall’altra. Certo è però che alcuni temi interessano in modo diverso i diversi strati dell’elettorato, e quello delle pensioni e delle assicurazioni sociali in genere trova sicuramente più risonanza fra gli elettori meno giovani.
Lo sviluppo demografico consistente in un profondo invecchiamento della società unisce Germania ed Italia non solo nella composizione del corpo elettorale, ma anche nelle sfide che esso pone alla tenuta dei sistemi previdenziale e per il loro sviluppo. Tale aspetto non viene dimenticato da nessuno dei maggiori partiti che si candidano per l’imminente rinnovo del Bundestag. Vediamoli in una veloce carrellata.

I temi sociali sono sicuramente quelli comunicati con più veemenza dal candidato socialdemocratico Olaf Scholz. Il partito dell’attuale Vicecancelliere e Ministro delle Finanze propone una garanzia pubblica dell’importo medio delle pensioni pari al 48% dell’importo medio degli stipendi dei lavoratori attivi, da finanziarsi direttamente attraverso le casse pubbliche (cioè le imposte). Ciò significherebbe la sicurezza di alcuni aumenti della pensione per diversi milioni di pensionati o futuri tali, soprattutto fra coloro che nella propria carriera lavorativa hanno guadagnato mediamente meno di altri. La SPD rifiuta inoltre un aumento dell’attuale innalzamento graduale dell’età pensionabile “regolare”, che in Germania arriverà a 67 anni nel 2031 (in Italia il confine dei 67 anni è stato ormai raggiunto nel 2019). Per garantire una maggiore stabilità al sistema, la SPD propone di includere nel sistema previdenziale generale anche i funzionari pubblici, i quali hanno dai remoti tempi delle monarchie diritti previdenziali propri, ed i lavoratori autonomi.
Molto vicine alle posizioni dei socialdemocratici sono quelle dei Verdi. Anche loro sono per una garanzia pubblica di un livello delle pensioni pari al 48% degli stipendi medi e per il superamento di sistemi speciali, come appunto quello dei funzionari pubblici. Ulteriori aumenti dell’età pensionabile non sono nei programmi dei Verdi, mentre il partitone ecologista guarda alla sfida demografica pensando ad un’ulteriore gamba nel sistema previdenziale pubblico, da costituirsi con un fondo d’investimento nel mercato dei capitali indipendente e di diritto pubblico a carattere semi-obbligatorio (per tutti coloro che non lo rifiutino esplicitamente).
Se sulla politica previdenziale l’accordo fra ecologisti e socialdemocratici sembra quindi cosa fatta, non lo stesso può dirsi guardando ai programmi degli altri partiti. La Sinistra (Die Linke) propone infatti nel suo programma una garanzia pubblica del livello delle pensioni pari al 53% degli stipendi medi (quindi 5 punti in più di SPD e Verdi) e una pensione minima (in Italia diremmo “di cittadinanza”) di 1.200 € al mese. Sull’età pensionabile la Sinistra propone di fatto un abbassamento a 65 anni, mentre il partito – con un forte radicamento all’Est – guarda in modo molto critico alle ancora grandi differenze previdenziali fra chi fino al 1990 ha lavorato nella disciolta Germania Est ed il resto del Paese, dovute fondamentalmente ad un mancato riconoscimento degli standard previdenziali della DDR quali “diritti acquisiti” anche dopo la Riunificazione. La proposta di inclusione di funzionari pubblici e lavoratori autonomi nel regime previdenziale generale accomuna invece la Sinistra ad SPD e Verdi. Anche il cavallo di battaglia del socialdemocratico Scholz, un salario minimo di 12 € l’ora (rispetto ai 9,60 € attuali), accomuna SPD a Sinistra e Verdi e comporterebbe, dal punto di vista finanziario, un sensibile aumento dei contributi e dunque anche delle pensioni future. Secondo i calcoli più recenti ad approfittarne maggiormente sarebbero in particolare le donne, le quali già devono affrontare un gender gap previdenziale dovuto sia a minori retribuzioni medie sia alle più frequenti interruzioni di carriera a causa del lavoro di cura familiare di cui si fanno carico più spesso degli uomini.
Una maggiore flessibilità dell’età pensionabile è invece fra le proposte dei liberali di FDP, per i quali ciascun lavoratore, una volta raggiunti i 60 anni, dovrebbe essere libero di andare in pensione se i contributi versati superano il livello minimo altrimenti abilitante alle prestazioni di assistenza sociale. Una pensione complementare basata sull’investimento obbligatorio nel mercato dei capitali del 2% dello stipendio è la loro principale proposta per una garanzia di medio-lungo periodo del livello delle prestazioni pensionistiche.
Molto vago è invece il programma di CDU e CSU sul tema. Per i due partiti democristiani “le pensioni devono essere sostenibili, sicure e finanziate solidamente”. Per capire come, la compagine guidata da Armin Laschet propone di affidare dopo le elezioni lo sviluppo di nuove proposte ad una commissione di esperti, che guardino al sistema previdenziale “per i prossimi trent’anni” (quindi per un periodo che, conti alla mano, interessa solamente a chi oggi ha almeno quarantacinque anni o forse anche qualcuno di più). Rispetto all’età pensionabile il programma di CDU e CSU è meramente descrittivo della legislazione vigente, mentre per i lavoratori autonomi si pensa alla possibilità di libera scelta fra assicurazione generale obbligatoria e strumenti ad essa alternativi. Per le pensioni complementari si pensa invece ad un modello di incentivo alla scelta di un investitore istituzionale privato e non all’istituzione di forme obbligatorie e/o pubbliche.
Non marginale è però il fatto che il maggiore dissenso fra CDU e CSU sul comune programma elettorale si sia manifestato proprio in materia previdenziale. La CDU ha infatti rifiutato di accogliere nel testo comune la richiesta dei “cugini” bavaresi relativa alla Mütterrente (la pensione per le madri). Si tratta in realtà di un problema legato all’introduzione nel 1992 di meccanismi di riconoscimento in sede previdenziale tramite contributi figurativi per quei genitori (in realtà in teoria anche padri) che interrompono per un periodo l’attività lavorativa per dedicarsi ai figli. Tali meccanismi di riconoscimento valgono ad oggi solamente per i figli nati dal 1992, ma non per quelli di annate precedenti. La CSU bavarese propone da tempo l’equiparazione di tutte le madri ai fini pensionistici, indipendente dall’anno di nascita dei figli, la CDU lo rifiuta. La risposta da Monaco suona tuttavia combattiva: la CSU ha dichiarato che senza la Mütterrente non entrerà in nessuna nuova coalizione di governo. Nota a margine: senza i voti dei cristiano-sociali bavaresi, l’ultimo governo Merkel non avrebbe avuto la maggioranza in Parlamento.
La destra estrema di AfD si dedica invece al tema pensionistico con due proposte che ricordano molto due estremi nel dibattito sulla politica economica: da un lato propone un’ampia flessibilità dell’età pensionabile in modo non esageratamente dissimile dalla FPD, dall’altro un’attenzione agli ex cittadini della DDR che in parte la accomuna alla Linke e ne mette in risalto il forte radicamento nei Länder dell’Est. Sulle questioni di finanziamento AfD ricorre a risposte tipiche del vocabolario dei populisti: l’abolizione delle pensioni dei “politici” e la riduzione del funzionariato pubblico agli ambiti più strettamente inerenti alla sovranità statuale, cioè polizia, giustizia, difesa e amministrazione finanziaria. È chiaro all’osservatore che le persone coinvolte in questi ultimi ambiti sono quelle che, almeno agli occhi di AfD, dovrebbero guardare con più simpatia al partito di destra etno-populista, mentre ad essere esclusi dalla conta (e consegnati al meno favorevole regime previdenziale generale) sarebbero i dipendenti pubblici dei settori sociale, dell’istruzione, dell’amministrazione locale ed ambientale. Una proposta che quindi più che di previdenza sociale sa di epurazione politica del pubblico impiego.
E i partiti più piccoli? Secondo tutti i sondaggi non hanno nessuna chance di entrare nel prossimo Bundestag, tuttavia anche i loro programmi non dimenticano il grande tema della previdenza. I Freie Wähler ad esempio – “elettori liberi” civici e centristi, per lungo tempo sottovalutati, ma ormai presenti nei parlamenti di tre Länder (Baviera, Renania-Palatinato e Brandeburgo) – pensano ad incentivi fiscali per l’acquisto di immobili come forma di sicurezza sociale per l’età avanzata, ma soprattutto ad un contributo obbligatorio a favore della previdenza pubblica per le aziende attive nel settore dell’automazione. Il partito ecologista-democratico ÖDP – ne avevamo parlato tempo fa a proposito di una ottimamente riuscita campagna a favore delle api e della biodiversità – si concentra soprattutto sulla giustizia e la solidarietà intergenerazionali, con la proposta di riconoscimenti ai fini previdenziali di tutti i periodi di ridotta attività lavorativa per chi si dedica alla cura di figli, persone non autosufficienti o al lavoro domestico. La formazione europeista transnazionale Volt invece propone un fondo pubblico di investimento per fini previdenziali (similmente ai Verdi) e la possibilità di pensionamento indipendente dall’età anagrafica con 40 anni di contributi.