L’eredità di Angela

Il caso scoppiato con l’elezione di un liberale di provincia, Thomas Kemmerich, a Primo ministro della Turingia grazie ai voti determinanti della destra estrema di AfD ha aperto il vaso di Pandora dell’eredità politica di Angela Merkel. Ed ha fatto venire allo scoperto la domanda par exellence che dominerà i prossimi anni della politica tedesca: in democrazia fanno tutti parte della democrazia?

Quando abbiamo raccontato pressoché live al lettore italiano il caso dell’elezione di Thomas Kemmerich a Primo ministro della Turingia in pochi avevano ancora afferrato come in realtà l’operazione-Kemmerich nel piccolo Land con 2 milioni d’abitanti (circa gli stessi della Calabria) avrebbe fatto venire a galla problemi politici di portata epocale.

Chi scrive della e commenta la politica sa bene che aggettivi quale “epocale”, “storico” e così via sono normalmente da evitare, non foss’altro perché questi stessi soffrono di cronica iper-inflazione fra chi invece agisce la politica in prima persona. Tali parole non sono però fuori luogo quando si tratta di descrivere nella sua complessiva una fase storica durata quindici anni e che ora si avvia al crepuscolo.

Il 2020 della politica tedesca avrebbe dovuto essere un anno tranquillo, da quiete prima della tempesta. Un solo Land al voto, la città-stato di Amburgo il 23 febbraio, nessuna consultazione nazionale, da luglio il semestre di presidenza dell’Unione europea, coronamento anche cerimoniale di un’Angela Merkel che è davvero una politica di respiro continentale. Invece sono bastati alcuni deputati regionali democristiani nella piccola Turingia, ribelli contro le “esplicite preghiere e raccomandazioni del Partito”, ad aprire un vaso di Pandora. Ed una fase politica nuova.

La stagione di Angela Merkel, iniziata nel remoto 2005 con una vittoria di misura contro un Gerhard Schröder che fino all’ultimo si difese come un leone, è stata all’insegna del compromesso e della moderazione. Che dei quattro governi Merkel tre siano stati di Große Koalition con la SPD è dovuto in parte alle contingenze, ma in gran parte corrisponde appieno ad una linea centrista dove la leader viene riconosciuta più per la sua capacità di essere tale che non per un qualche profilo contenutistico particolarmente affilato. La posa ieratica della Bundeskanzlerin, resa icona dalla celeberrima posa a rombo delle sue mani, si fa sostanza in una capacità di mediazione come approccio all’esercizio del potere: leader è chi è al centro del sistema e deve mediare fra parti opposte. Merkel dunque è Machtpolitikerin (politica di potere) in quanto mediatrice-in-capo: che sia fra Putin e l’Ucraina, fra falchi e colombe nella crisi finanziaria greca, negli infiniti vertici del Consiglio europeo finiti sempre a notte fonda e dove la Cancelliera si presentava alla stampa sola e senza appunti sapendo rispondere con competenza e precisione micidiali a qualunque domanda. Quello che sinora, all’estero come in patria (ma non nel suo la partito, la CDU, né nelle nemiche fila di AfD) è passato spesso inosservato è che accanto a questa attitudine da mediatrice al potere Angela Merkel ha un profilo di contenuto politico molto preciso: per un’Europa aperta ed unita, per un Paese tollerante ed accogliente, per una moderata redistribuzione della ricchezza e con una se vogliamo lenta, ma sicuramente non marginale vocazione ambientale. È stata la Merkel delle (apparenti) uscite a sorpresa quella che ha fatto più d’ogni altra cosa trasparire il suo profilo di contenuto: la decisione di chiudere le centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima, la scelta di aprire i confini con l’Austria ai profughi siriani nella tarda estate 2015, la tirata contro Trump ed a favore di multilateralismo e mercati aperti al Forum di Davos nel 2019. E di nuovo la settimana scorsa, a sorpresa da Pretoria dov’era in viaggio diplomatico, parole dal peso di bombe all’indirizzo soprattutto dei suoi compagni di partito in Turingia che avevano eletto un Primo ministro insieme ad AfD: «Questo procedere è stato imperdonabile ed il risultato [l’elezione di Kemmerich] dev’essere eliminato. Quantomeno per la CDU vale il principio che alla CDU stessa non è consentito prendere parte ad un governo guidato da un Primo ministro così eletto. È stato un brutto giorno per la democrazia, è stato un giorno che corrisponde ad una frattura con i valori e le convinzioni della CDU; ora dev’essere fatto tutto il possibile affinché sia chiaro che quello che è successo non corrisponde a ciò che la CDU pensa e agisce».

Questo discorso, apparentemente “solo” una brusca tirata d’orecchi alla CDU turingiana, in realtà svela la risposta di Merkel alla domanda par excellence delle politica occidentale contemporanea: Cosa fare con i populisti di destra? Considerarli parte della democrazia o invece un nemico interno della democrazia? La risposta che si dà a questa domanda definisce l’identità di un sistema democratico perché ne delinea il perimetro.

Per Merkel la questione è chiara. AfD potrà essere anche votata all’Est (lo stesso da cui la Cancelliera viene) dal 20-25% dell’elettorato, ma essa non è e non può essere parte del gioco democratico. Chi la tocca, accordandosi con essa in modo esplicito o anche solo accettandone implicitamente i voti, viene automaticamente squalificato. Per dirla con Horst Seehofer, non certo un amicone di Merkel ma pur sempre il suo Ministro dell’interno, “AfD corrode lo Stato democratico”. Ora Seehofer è a processo per questa frase, trascinato davanti alla Corte costituzionale da AfD stessa.

A pensarla come Merkel e Seehofer sono in tanti. Impressionante la circostanza che, il giorno dell’elezione di Kemmerich, il leader dei cristiano-sociali bavaresi Markus Söder ed il segretario nazionale della Linke Bernd Riexinger abbiano usato pressoché le stesse parole e gli stessi toni per ribadire che no, AfD non fa parte dell’arco costituzionale e quanto accaduto in Turingia con Kemmerich rappresenta una “rottura di un argine” (Dammbruch) che è invece ritappare immediatamente. Un ¡No Pasarán! condiviso non solo da tutti le segreterie di partito berlinesi, ma da tante piazze che – cosa rara in terra di Germania – si sono riempite dire no al patto con il “demonio” politico Björn Höcke (AfD).

Annegret Kramp-Karrenbauer non è riuscita a riportare all’ordine i parlamentari turingiani ribelli contro questa visione della politica e della società e, dovendo aggiungere questo smacco ad una fin troppo lunga serie di errori e debolezza, ha dovuto lasciare la guida della CDU. Ad AKK va però il merito – tocca dirlo – di aver fatto venire a galla il problema attraverso le sue dimissioni. Ora la CDU in cerca di nuovo leader e, insieme alla sorella CSU, di un nuovo candidato cancelliere dovrà rispondere alla domanda rimasta insoluta con il mancato successo di AKK fra i parlamentari regionali di Erfurt: La Germania si avvia a diventare l’ennesimo Paese europeo dove la destra nazionalista e populista torna ad avvicinarsi ai banchi del governo o invece prosegue per la sua via peculiare, dettata soprattutto da una radicata convinzione critica sulla propria storia, e lascia AfD fuori dall’arco delle forze accettate come parti della democrazia?

Questa è l’eredità di Angela Merkel, un’eredità pesante e forse alla lunga impossibile da sopportare, ma straordinariamente coerente con il grido dell’allora Cancelliere centrista Joseph Wirth nel Reichstag il 25 giugno 1922, dopo l’assassinio per strada la sera prima del liberale Ministro degli esteri Walther Rathenau: «Là sta il nemico e non può esservi dubbio: il nemico è a destra!». Che questa citazione sia fra le preferite di Armin Laschet, Primo ministro del Nordreno-Vestfalia e possibile candidato dal campo moderato per la successione di AKK e di Merkel, ci dice abbastanza su quali sfide attendono la Germania dei prossimi anni. Ad Angela Merkel non resta ormai che scegliere un artista che dipinga il suo ritratto per la piccola galleria allestita all’interno della Cancelleria. Gerhard Schröder si fece fare una maschera d’oro, ma lei – ne siamo sicuri – preferirà un’altra forma.

Edoardo D’Alfonso Masarié

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