Il passo indietro

Dopo il caos in Turingia, AKK rinuncia alla candidatura alla Cancelleria e si prepara a lasciare la guida della CDU

Come hanno scritto tutti gli osservatori, il caos dell’elezione del Ministerpräsident in Turingia ha segnato un momento cruciale della storia politica tedesca, le cui conseguenze, ancora tutte da considerare, sicuramente saranno estremamente rilevanti. 

E lunedì mattina è deflagrata quella che con ogni probabilità è la più rilevante di tutte: Annegret Kramp-Karrenbauer, AKK, la leader della CDU eletta al vertice del partito poco più di un anno fa, nel dicembre 2018, rinuncia alla candidatura alla Cancelleria, e annuncia che in estate lascerà la guida dei conservatori. Un terremoto con epicentro esattamente nel cuore del sistema politico tedesco.

AKK
Annegret Kramp-Karrenbauer (Foto: AP)

La decisione di AKK è sorprendente, soprattutto se consideriamo il piglio aggressivo e bellicoso con cui aveva provato a blindare la sua investitura nel congresso di fine novembre: in quell’occasione aveva tenuto un discorso tutto impostato all’attacco, in qualche modo sfidando i suoi avversari interni a sfiduciarla subito e cogliendoli in contropiede, data la loro impreparazione ad agire così in fretta. Da quel Parteitag AKK era riuscita a trarre, se non più autorevolezza, almeno un po’ più di tempo: sembrava essersi garantita un po’ di tranquillità, e probabilmente sperava di mantenere le cose sotto controllo fino al momento in cui si sarebbe dovuto scegliere il Kanzlerkandidat, il candidato alla Cancelleria – in modo da arrivarci in posizione di forza. Solo che poi è successo qualcosa: è successa la Turingia.

I principali responsabili del terremoto turingiano sono sicuramente la sezioni locali della CDU e della FDP, sfruttate con furbizia da AfD (che, ricordiamolo, nel Land è guidata da Björn Höcke, praticamente un neonazista), ma le cose sono più complesse di così. In questi giorni si sono rincorse voci di contatti fra Höcke e Thomas Kemmerich, l’esponente FDP eletto Ministerpräsident del Land con i voti degli estremisti di destra, in corso già da inizio novembre, cioè una settimana dopo le elezioni regionali, e numerosi articoli hanno ripercorso il quasi-corteggiamento della CDU locale nei confronti degli alternativi. Il contraccolpo per FDP e CDU a livello nazionale è stato tremendo, e è rappresentato plasticamente nei sondaggi, in particolare quelli relativi alla Turingia: meno dieci punti per i cristiano-democratici, addirittura doppiati da AfD, e liberali sotto la soglia del 5% e dunque fuori dal Landtag.

Turingia

Christian Lindner, capo della FDP, è riuscito in qualche modo a metterci una pezza spingendo Kemmerich alle dimissioni (arrivate sabato), anche se certo anche per lui la botta è stata forte; il braccio di ferro nella CDU, invece, fra Erfurt – capoluogo della Turingia – e Berlino, è durato più a lungo, ed è stato molto più sanguinoso. Fin da subito, AKK ha spinto per una risoluzione del pasticcio del 5 febbraio che passasse da un ritorno alle urne, ma la sezione locale, guidata da Mike Mohring, ha contrapposto un fiero diniego: e lo scontro, protrattosi per diversi giorni, non ha fatto altro che evidenziare una volta di più le difficoltà di AKK nel tenere in mano le redini del suo partito. Per rendere l’idea, la Bild ha definito la vicenda una DebAKKle (secondo me non c’è bisogno di traduzione); e probabilmente non è un caso che il vero punto di svolta, fra le file dei conservatori, non sia stato l’intervento di Kramp-Karrenbauer, ma il Machtwort da Pretoria di Angela Merkel, il suo potente discorso dal Sud Africa. Un segnale piuttosto chiaro che sì, forse dal dicembre del 2018 la CDU non è più il partito della Cancelliera, ma certo, come hanno sostenuto i vertici della Linke, non è mai stato quello di AKK.

Ed è probabilmente in questi interstizi, lasciati vuoti da una leadership mai davvero fuori discussione, che gli avversari interni di AKK hanno trovato spazio di manovra per sfruttare a proprio vantaggio il caos turingiano. È infatti difficile pensare che una federazione locale possa rivoltarsi così a lungo e in maniera così plateale contro i vertici nazionali, a meno che tra quegli stessi vertici non si nasconda qualcuno che magari ufficialmente si allinea alla posizione autorizzata, ma ufficiosamente fa il tifo per i ribelli – e cerca di aiutarli come può. Sia chiaro, queste sono speculazioni selvagge: ma visto com’è andata a finire, non è detto che si stia mancando di molto il bersaglio. La decisione di AKK, infatti, sembra davvero il gesto di chi ha capito di essere stato incastrato, e invece di farsi rosolare a fuoco lento preferisce togliersi di mezzo. Nella conferenza stampa seguita all’annuncio, ha spiegato di non aver preso la decisione d’impulso, di pensarci anzi da tempo: probabilmente la Turingia c’entra ma un po’ come un pretesto, cogliere la palla al balzo per sottrarsi a uno stillicidio letale.

Come abbiamo spesso raccontato su Kater, la sua leadership è stata fin da subito fonte di pesanti dubbi tra i conservatori, che fra pessime figure, dichiarazioni discutibili e situazioni imbarazzanti si sono chiesti più volte se AKK fosse davvero l’opzione più adatta per la Cancelleria. Fra nutrire dubbi e avere pronto un piano B, però, ce ne corre: e la CDU si trova ora costretta a trovarlo in fretta, quel piano B. Da tempo si parlava di possibili candidature alternative a quella di Kramp-Karrenbauer, ma nessuno finora si è esposto esplicitamente, anche perché era opinione comune che ci fosse ancora tempo: l’improvviso passo indietro della leader, però, obbliga i pretendenti a rifare tutti i calcoli. Friedrich Merz, il capofila degli avversari interni di AKK e suo sfidante del dicembre 2018, qualche giorno fa ha dichiarato di volersi impegnare ancora di più per il Paese, nelle settimane e nei mesi a venire: parole che, oggi, suonano sibilline, e lasciano intravedere la chiara intenzione di scendere in campo.

Un altro nome risuonato spesso, in questo periodo, è quello di Armin Laschet, governatore della Renania Settentrionale eletto a sorpresa nel maggio 2017, in un Land che tradizionalmente è un feudo SPD: deciderà che è giunto il suo momento? E Jens Spahn, il terzo sfidante al congresso del dicembre 2018 che ora sta svolgendo un discreto lavoro al Ministero della Salute, nonostante il colpo ricevuto sul tema delle donazioni di organi? Che farà Markus Söder, il leader della CSU protagonista di un acclamatissimo discorso al congresso di novembre? Ma soprattutto: che ripercussioni avrà tutto questo sulla tenuta della Grosse Koalition?

AKK ha dichiarato che rimarrà al Ministero della Difesa e che guiderà la transizione fino alla nomina del nuovo leader, in estate: è quindi prevedibile che nei prossimi giorni inizieranno ad arrivare le prime candidature. Ma è davvero difficile, in questo momento, farsi un’idea chiara di chi farà parte della schiera dei pretendenti.

Certo è che, quando ripenseremo a questo febbraio 2020, ci renderemo conto che, come scrive il Welt, la Turingia non è stato un incidente: la Turingia è stata l’inizio.

Edoardo Toniolatti