Com’è andato il primo triello della storia politica tedesca

Il primo triello televisivo fra i candidati alla Cancelleria è stato piuttosto vivace, ma è improbabile che abbia spostato molti voti

Domenica 29 agosto è andato in onda sulla rete privata RTL il primo triello televisivo fra i tre principali candidati alla Cancelleria: Annalena Baerbock per i Grünen, Armin Laschet per l’Union e Olaf Scholz per la SPD.

Per un paio d’ore i tre hanno risposto alle domande di Pinar Atalay e Peter Kloeppel, i due giornalisti che hanno coordinato il dibattito in maniera molto efficace e senza alcun timore reverenziale, anzi spesso incalzando i candidati quando cercavano di svicolare.

Foto: dpa

I temi toccati sono stati numerosi, dalla crisi afghana alle tasse alla gestione della pandemia, intervallate all’inizio e alla fine da un paio di domande incrociate del tipo “cose che ti chiede il dipartimento delle Risorse Umane durante i colloqui di lavoro”. Prima a ciascun candidato è stato chiesto perché uno degli altri due non può diventare Cancelliere, e tutti e tre hanno cavallerescamente declinato spiegando di non voler sminuire gli avversari, ma piuttosto sottolineare la forza della propria proposta. Poi invece è stato chiesto di indicare una caratteristica positiva di un altro candidato. Scholz ha lodato l’impegno e il fervore di Baerbock, che a sua volta ha sottolineato la natura bonaria e allegra di Laschet anche quando ci si scontra, e la sua capacità di resistenza anche nei momenti di difficoltà; il capo della CDU infine ha evidenziato l’esperienza e la competenza del Ministro delle Finanze, ex-Sindaco di Amburgo, che ha svolto un ottimo lavoro “sotto la guida di Angela Merkel”.

Al netto delle gentilezze, però, è stato un dibattito molto vivace e agguerrito. La durata complessiva degli interventi era monitorata, ma non c’era un tempo prestabilito per ogni domanda, dunque ci sono stati numerosi botta e risposta e parecchie interruzioni. Difficile dire con certezza se ci sia stato un vincitore, anche se forse a uscirne meglio è stato il candidato socialdemocratico e peggio quello conservatore. I sondaggi immediatamente successivi alla trasmissione hanno premiato Olaf Scholz su quasi tutti i fronti: il candidato SPD è risultato il più competente, il più credibile, addirittura il più simpatico. Ma l’impressione è che i tre abbiano sostanzialmente confermato l’immagine che i tedeschi hanno già di loro, senza grandi spostamenti di consenso e di voti.

“Tutto considerato, chi ha vinto il dibattito televisivo?”

Baerbock estremamente preparata, fino al dettaglio, pronta a rispondere citando numeri e dati, meno brillante nelle parti a braccio – in quel modo che ai tedeschi fa pensare un po’ ai secchioni del primo banco. Scholz competente ed esperto, molto calmo – fin troppo, in verità, carisma non pervenuto. Laschet politico CDU vecchio stile, navigato ma poco a suo agio nel tentativo di riacciuffare una vittoria che sentiva già in tasca.

Laschet è parso subito molto battagliero, a tratti nervoso. Consapevole di dover segnare subito dei punti per recuperare il terreno perduto nei confronti di Scholz, il candidato conservatore non ha esitato a controbattere e a commentare le risposte degli avversari, ma si è concentrato soprattutto su Annalena Baerbock. Una mossa che ha lasciato l’impressione di una tattica sbagliata: è sembrata in qualche modo un’ammissione di sconfitta, un riconoscere di dover lottare per il secondo posto con i Verdi invece che per la vittoria con la SPD. Solo alla fine Laschet ha attaccato frontalmente Scholz, sulla questione delle possibili alleanze in particolare con la Linke. Il candidato socialdemocratico non ha escluso per principio nessun accordo, ma ha indicato alcune condizioni fondamentali, tra cui appunto il riconoscimento della Nato, del suo ruolo e del ruolo in essa svolto dalla Germania: un punto delicato su cui molti esponenti ed elettori del partito di sinistra sono invece molto critici, talvolta irremovibili. Non solo: Scholz ha anche duramente criticato la decisione di 43 deputati della Linke di astenersi dal voto sulla missione di salvataggio a Kabul della Bundeswehr, l’esercito tedesco. Laschet ha tuttavia accusato Scholz di voler “recitare la parte di Angela Merkel e di parlare come Saskia Esken”, co-leader di sinistra della SPD: un modo di tenere un piede in due scarpe. Laschet ha detto esplicitamente di non voler avere nulla a che fare con i due partiti all’estremo dello spettro politico: nessun accordo con la Linke, mentre per quanto riguarda AfD il capo dei conservatori vuole proprio buttarla fuori dal Bundestag. E ha accusato il socialdemocratico di non voler prendere una posizione chiara in merito. L’impressione tuttavia è stata di un duello fra due candidati, Laschet e Baerbock, con un terzo – Scholz – che faceva più o meno da spettatore.

Il commento del gruppo satirico Browser Ballett: “Ecco che aspetto ha un vincitore!”

Il capo della CDU ha cercato spesso di passare per quello vicino alle persone comuni, all’average Joe: die kleine Leute (“la gente piccola”), come si dice in tedesco. Sulle tasse, ha rilanciato il piano dell’Union di una riduzione fiscale invocando le difficoltà che la pandemia ha causato ai piccoli commercianti; sul tema della mobilità, poi, ha difeso le ragioni di chi magari non può permettersi di comprare un’auto nuova ogni due anni, magari pure elettrica. Anche quando si è discusso di gender e politically correct Laschet ha detto che certo, vanno rispettate tutte le sensibilità, ma non possiamo inventare una nuova lingua che “la gente non capisce”. 

Nonostante il piglio battagliero, nel suo appello finale Laschet cercato soprattutto di rassicurare gli elettori, riprendendo il pregio che Baerbock aveva in lui indicato durante il dibattito: la capacità di affrontare con fermezza  le avversità. La sua offerta, e l’offerta dell’Union, sono stabilità e affidabilità in tempi difficili, dice Laschet: “da Konrad Adenauer passando per Helmut Kohl fino ad Angela Merkel, il team CDU vuole assicurare la stabilità.”

Dal canto suo, Scholz ha evitato scontri diretti con gli avversari: una scelta comprensibile, visto che nei sondaggi è dato in testa e dunque non gli conviene giocare in attacco. Ha puntato molto sulla continuità: nonostante la Cancelliera sia del partito di Laschet, Scholz ha sottolineato spesso il lavoro finora svolto e la necessità di continuare lungo la linea tracciata in questi anni. La sua tattica è sembrata chiaramente quella di presentarsi come il vero candidato del weiter so merkeliano, come il vero interprete del centrismo moderato e pragmatico incarnato dalla Cancelliera nel suo governo, magari spostato un po’ più a sinistra su temi come ad esempio le tasse. E in alcuni punti del dibattito Laschet, che comunque è pur sempre il capo della CDU, è parso intenzionato a lasciarglielo fare: già alla prima domanda, sulla crisi afghana e la politica estera, il candidato conservatore è andato giù durissimo, definendo la situazione “un disastro” per tutto l’Occidente e anche per il governo tedesco e le sue scelte degli anni passati. Una posizione molto netta che sembrava provenire dai banchi dell’opposizione più che dal capo del partito che da sedici anni guida il paese. E anche all’inizio del dibattito è stato proprio Laschet a dire che “16 anni di Angela Merkel sono stati anni positivi, ma inizia ora una nuova fase, di modernizzazione”: un modo piuttosto evidente di mettere distanza fra sé e la Cancelliera, che però non ha fatto altro che rafforzare l’immagine di Scholz come vero erede di Merkel.

Nonostante l’insistenza sulla continuità, nel suo appello finale Scholz non si è fatto sfuggire l’occasione di tornare su alcuni cavalli di battaglia storici della socialdemocrazia tedesca, dall’innalzamento del salario minimo alla stabilità delle pensioni – e dell’età pensionabile. Parole chiave che, per un certo elettorato SPD, non devono mai mancare. Il Ministro delle Finanze ha però saputo inserire nel mix anche temi come la protezione dell’ambiente e la modernizzazione del Paese: in sostanza è sembrato un appello fatto da chi, con buone prospettive di vittoria, cerca di parlare a tutti, ben al di là del proprio bacino tradizionale di voti. Nella migliore tradizione del merkelismo: non dimentichiamo che nei suoi comizi la Cancelliera non mancava mai di intervallare una frase che andasse bene per gli elettori conservatori a una che andasse bene per gli elettori socialdemocratici.

La cifra principale degli interventi di Annalena Baerbock è stata invece la discontinuità, il nuovo contro il vecchio. Anche nel suo appello finale la candidata dei Grünen l’ha messo subito in chiaro: la scelta è fra un weiter so incarnato dai due partiti della Grosse Koalition, CDU e SPD, e un rinnovamento profondo che è reso possibile solamente da un governo a guida verde. Baerbock è apparsa sempre molto preparata, precisa nell’indicare dati e numeri e proposte, anche se nelle parti in cui ha dovuto parlare un po’ più liberamente non è sembrata molto a suo agio – ma si sa che, per quanto sappia infiammare il pubblico dei militanti verdi con grande efficacia, non è dotata di formidabili qualità oratorie. Come prevedibile è andata fortissimo sul tema della difesa del clima, questione fondamentale e irrinunciabile di ogni negoziazione post-voto, ma ha segnato dei punti a favore anche su altri argomenti rilevanti. Ad esempio ha saputo giocare bene sul proprio ruolo di madre di due figlie piccole per sottolineare l’importanza della lotta alla povertà infantile – in Germania un bambino su cinque vive in condizioni di indigenza – e mettere in evidenza la scarsa dimestichezza di Armin Laschet col problema, e con le misure per contrastarlo. E ha continuato a spingere su temi legati all’infanzia, dalle Kita (gli asili) alle scuole, su cui ha duramente criticato il governo per non aver saputo ancora garantire il ritorno degli studenti in aula in totale sicurezza – anche se su questo punto ha offerto il fianco alla controbattuta di Laschet: l’educazione è un tema di competenza dei Länder, ha ricordato il candidato conservatore, ed è facile ma disonesto scaricare le colpe su Berlino quando invece si fa parte di 11 governi regionali su 16 come i Verdi.

In conclusione, vale la pena spendere qualche parola sulla politica estera, e su un atteggiamento che tutti e tre i candidati sono parsi condividere al riguardo. Baerbock, Laschet e Scholz hanno tutti sottolineato la necessità che la Germania assuma un ruolo attivo e proattivo sul piano internazionale, all’interno della cornice europea ma anche preparando adeguatamente le forze armate per le missioni di peacekeeping, per evitare che altre potenze, magari autoritarie come Cina e Russia, vadano a riempire un vuoto di leadership. Addirittura commentando la crisi afghana Laschet ha detto che bisogna rafforzare l’Europa in modo tale da garantire che sia possibile rendere sicuro un aeroporto come quello di Kabul “anche senza gli americani”: un’affermazione che rimanda a uno scenario in cui gli USA non sono più il fratello maggiore a cui appoggiarsi, e che naturalmente sottintende l’importanza del ruolo tedesco nell’opera di rafforzamento dell’Unione. 

Forse il commiato di Angela Merkel non implica solo un riaggiustamento interno della politica tedesca. Forse significa l’ingresso in una nuova fase anche al di fuori dei confini: una fase in cui la Germania accantoni la sua tradizionale ritrosia e sia pronta ad assumere un ruolo politico di primo piano a livello globale. 

Edoardo Toniolatti

@AddoloratoIniet

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